Cos’è il dolore? – Di Nadia Clementi
Ne parliamo con il dott. Valerio Barbari, fisioterapista specializzato in terapia manuale
Il dott. Valerio Barbari.
Il dolore rappresenta il mezzo attraverso cui l’organismo ci segnala che c’è qualcosa che non va e che siamo di fronte ad un potenziale problema.
Sebbene si tratti di un importante campanello d’allarme, la percezione del dolore è fortemente influenzata dall’esperienza soggettiva e dai significati ad essa attribuita.
I dolori non sono tutti uguali, esistono dolori che dipendono direttamente da uno stimolo fisico e dolori che invece dipendono da un malfunzionamento delle strutture neuronali periferiche, dolori che sono utili ad evitare danni tissutali e dolori invece che peggiorano le condizioni del paziente e non aiutano il percorso di cura.
Ogni sindrome dolorosa è pertanto una storia a sé, a evoluzione irripetibile.
Si comprende quindi come la complessità del fenomeno dolore (soprattutto a causa delle molteplici implicazioni psicologiche e delle connotazioni emotive) richieda di intervenire efficacemente con approcci differenziati in ciascun paziente, selezionando le misure adeguate ai singoli casi e alle diverse necessità.
Una cosa è certa, il dolore è presente nella vita dell’uomo fin dalle sue origini e a questo fenomeno gli esseri umani si sono accostati sin dall’antichità con un atteggiamento di interesse, curiosità e al tempo stesso di timore.
Nonostante l’uomo sia stato in lotta contro il dolore fin dai tempi più remoti e nonostante gli sforzi dedicati alla risoluzione di questo problema nel corso dei secoli, solo in tempi recenti si sono raggiunti adeguati livelli di conoscenza in tema di fisiopatologia della nocicezione e di meccanismo d’azione delle sostanze analgesiche.
Infatti sulla scorta di approfonditi studi di neurofisiologia si è riusciti a definire la via di trasmissione dei segnali dolorifici.
Di questo parliamo oggi con il Dott. Valerio Barbari, Fisioterapista specializzato in Terapia Manuale ed Esercizio Terapeutico a Rimini, collabora alla didattica presso il Master in Riabilitazione dei Disordini Muscoloscheletrici dell'Università di Genova.
È autore del libro «Scienza e clinica del dolore. Un approccio basato sulle moderne neuroscienze» e socio e fondatore di FiosoScience S.r.l., ne abbiamo parlato nell’ articolo precedente (vedi).
Chi è il dott. Valerio Barbari Il Dott. Barbari è un fisioterapista specializzato in terapia manuale, esercizio terapeutico e nel trattamento del dolore. Si laurea in fisioterapia presso l’Università degli Studi di Ferrara con il massimo dei voti e intraprende immediatamente il Master in Riabilitazione dei Disordini Muscoloscheletrici dell’Università di Genova (Campus di Savona), percorso specialistico dove perfeziona la propria competenza nella gestione del dolore muscoloscheletrico. Terminato tale Master con il massimo dei voti, inizia a svolgere presso lo stesso il ruolo di collaboratore alla docenza nel gruppo docenti specializzato nelle patologie del rachide, tra cui mal di schiena, sciatica, dolore alla schiena alta (dolore toracico), dolore pelvico e al bacino, dolore all’anca, gluteo e sacroiliaco. Intraprende, subito dopo la laurea, il lavoro di fisioterapista presso il proprio studio professionale di fisioterapia a Rimini specializzandosi nella valutazione e nel trattamento dei dolori muscoloscheletrici. È autore e curatore, insieme al Dott. Niccolò Ramponi, uno dei fondatori di FisioScience (che nel frattempo diventa la prima casa editrice indipendente nell’ambito della fisioterapia), di un libro specialistico sul dolore dal titolo Scienza e Clinica del Dolore. Un approccio basato sulle moderne neuroscienze. Attualmente collabora con diverse realtà scientifiche italiane, sta lavorando alla stesura di altre Opere editoriali e ad altre pubblicazioni scientifiche in collaborazione con altri colleghi e medici. |
Dott. Barbari cos’è il dolore e quali sono le sue funzioni?
«Il dolore è scientificamente un’esperienza emozionale e sensoriale spiacevole associata o meno a un danno tessutale reale o potenziale.»
Emozionale e sensoriale? Cosa ci dicono questi due termini?
«Ci segnalano che il dolore è sia un’esperienza di tipo fisico sia di tipo mentale, o emotiva. Se ci pensiamo bene, in effetti, i conti tornano: il dolore impatta sia sul nostro corpo che sul nostro stato psicologico!
«La funzione del dolore è essenzialmente una: protezione. Lo scopo del dolore è quello di avvertirci quando qualcosa non sta funzionando o quando succede qualcosa che il nostro corpo in quel momento non è in grado di sopportare (un trauma, un eccesso di stress lavorativo, una postura mantenuta per ore nel corso del tempo), ma, come vedremo, qualcosa potrebbe andare storto e non essere sempre così.»
In quali casi il dolore deve insospettirci?
«Sono certo saremo tutti d’accordo se sostenessi che è normale percepire dolore dopo una distorsione di caviglia o avere mal di schiena riprendendo gli allenamenti in palestra dopo anni di inattività.
«In questo caso, così come nel caso di un colpo di frusta e del conseguente dolore al collo, siamo di fronte a un dolore che, di fatto, non ci insospettisce e, se vogliamo, lo aspettiamo!
«Purtroppo, però, ci sono alcuni casi in cui il dolore deve destare alcuni sospetti sia per i professionisti della salute che per tutti i pazienti!»
Qualche esempio?
«Ecco un breve elenco schematico che potrebbe essere utile a chiunque:
• Dolore notturno che non concede alcun sollievo indipendentemente dalla posizione del corpo adottata;
• Dolore costante che non si modifica per tutto il giorno (se ci sono momenti di assenza di dolore durante la giornata, è già poco probabile che ci troviamo di fronte a un dolore che ci insospettisce!);
• Dolore che si presenta in associazione con sintomi cosiddetti costituzionali, quali febbre, brividi, nausea, malessere generale e, se vogliamo, tutti quei sintomi che non ci farebbero richiedere il consulto di un fisioterapista ma di un medico! Potreste rispondermi Beh, Valerio, chi mai si recherebbe da un fisioterapista con mal di schiena e sudorazione notturna associata anche a brividi?. Succede eccome. Qualcuno, giustamente, potrebbe pensare che non siano collegati e che, quindi, il fisioterapista risolva il mal di schiena e che, successivamente, il medico aiuti nella gestione degli altri sintomi. La prima cosa da fare, quindi, qual è? Contattare il proprio medico!
«E nel caso non fossi un addetto ai lavori e fossi, quindi, un potenziale paziente, come mi comporto in questi casi? Dovrò contattare, immediatamente, un professionista della salute, nella fattispecie un medico, per una buona valutazione! Al meglio, infatti, sarà possibile escludere problematiche serie!»
Quali sono le forme di dolore più frequenti e quali le cause?
«Il dolore muscoloscheletrico – a carico del nostro apparato locomotore – è il dolore più comune al mondo.
Senza dubbio, le forme di dolore più frequenti, al contrario di quanto si possa pensare, sono quelle non traumatiche (come una distorsione di caviglia, uno strappo – lesione – muscolare, e così via). La maggior parte dei dolori cosiddetti muscoloscheletrici (a carico del nostro sistema di movimento come ossa, legamenti, muscoli e tendini) non hanno origine traumatica, ma avvengono per un difetto o un eccesso di movimento.»
La classifica?
«La prima causa di dolore muscoloscheletrico è, secondo le stime più recenti, il mal di schiena, seguito dal dolore a livello cervicale (collo e regione dei trapezi fino alla zona inter-scapolare) e, infine al terzo posto, dal dolore alla spalla.»
«Cosa intendevo dire con difetto o eccesso di movimento?
Il nostro corpo è fatto per muoversi, e la sua dose di movimento la pretende ogni giorno. In caso di inattività o di poco movimento o, ancora, di posizioni mantenute nel tempo (siano essere in piedi, sedute, gobbi o drittI) il nostro corpo ci avvertirà facendoci percepire dolore.
«Allo stesso modo ma nel caso contrario, ovvero in caso di eccesso di movimento, il nostro corpo farà scattare l’allarme dolore per avvertirci che stiamo stressando il nostro corpo in maniera superiore rispetto a ciò che può sopportare in quel momento.
«Ecco spiegati, ad esempio, il dolore cervicale o lombare (della schiena bassa) dei lavoratori sedentari (come un lavoro al computer per diverse ore al giorno) o il dolore al ginocchio del runner che ha ripreso la sua corsa e ha aumentato il chilometraggio dei propri allenamenti in maniera importante rispetto al mese precedente.»
In che modo viene diagnosticato il dolore?
«Attraverso un colloquio e una visita vera e propria. Eventuali indagini strumentali che non sempre servono.»
Com’è classificato il dolore e quando ne determina la patologia?
«Grazie per la splendida domanda. Facciamo chiarezza sui termini specialistici per poi fare qualche esempio pratico da portare a casa.
Il dolore, semplificando, si suddivide in:
• Nocicettivo (meccanico, infiammatorio, ischemico);
• Neuropatico;
• Nociplastico.
«Il primo è il dolore normale che percepiamo dopo una distorsione alla caviglia (dolore nocicettivo infiammatorio) o che percepiamo alla schiena ogni volta che ci pieghiamo in avanti con il busto dopo un importante trasloco (dolore nocicettivo meccanico). Il dolore neuropatico, un po’ più tosto, è quello che ha origine dal nostro sistema nervoso (il sistema elettrico del nostro corpo – i nervi) come nel caso di quella che viene definita impropriamenteanifesta con scorre, bruciori, formicolii, sensazioni di intorpidimento, e così via.
«Mi è stato chiesto, però, quando il dolore determina patologia. In effetti, il dolore potrebbe essere la normale conseguenza di un avvenimento (serve, come dicevamo, proprio a questo!) o, purtroppo, anche una patologia a sé stante.
Senza entrare nei dettagli tecnici che spettano solo agli addetti ai lavori, il terzo tipo di dolore (nociplastico), anche conosciuto a volte come sensibilizzazione, è quello che possiamo definire patologia dolore: un dolore che non rispetta più i normali tempi di guarigione dei tessuti (è normale che un mal di schiena persista per 5 anni? I miei tessuti, dopo 5 anni, sono guariti!), che si manifesta in maniera casuale e che porta con sé un importante impegno psicologico ed emotivo (stress, paura di muoversi, assunzione esagerata di farmaci, e così via).
Ci dice qualcosa dolore cronico?
«Ecco, dolore cronico, per chiarezza, significa esclusivamente che dura da più di tre mesi ma al di là dei termini, è proprio quello di cui abbiamo appena parlato. In questo caso, l’allarme dolore (come l’abbiamo chiamato prima) è difettoso e segnala problemi che, in realtà, non ci sono!»
Ci spieghi le scale di valutazione del dolore.
«Come ogni sintomo, il dolore deve essere quantificato, bisogna dargli un valore!
«Esistono, infatti, delle scale di valutazione specifiche per aiutare sia i professionisti che i pazienti a quantificarlo e a rivalutarlo nel corso del tempo durante e dopo le terapie. Ecco due esempi.
«La più semplice, probabilmente, è quella definita NPRS (Numeric Pain Rating Scale), ovvero scala di valutazione numerica del dolore, grazie alla quale il paziente conferisce un vero e proprio valore (numero) tra 0 (che significa nessun dolore) e 10 (massimo dolore sopportabile o percepibile).
«Un altro esempio, piuttosto simile, è quello della VAS (Visual Analogue Scale), ovvero scala di valutazione analogica del dolore, grazie alla quale il paziente traccia una linea in una scala (con valori sempre tra 0, nessun dolore, e 10, massimo dolore), conferendo, così, un valore al dolore, quantificandolo.»
Da cosa dipende la soglia del dolore, perché non è uguale per tutti?
«Prima ci siamo detti che il dolore è un campanello d’allarme e che la sua percezione ha anche risvolti emotivi e psicologici, non solo fisici.
«La soglia del dolore dipende da tantissimi fattori e, come giustamente mi ha detto implicitamente ponendomi la domanda, non è uguale per tutti e, oltretutto, si modifica anche nel corso del tempo per la singola persona!
«Cosa determina la nostra soglia del dolore? Qualche esempio:
• Genetica. Esistono più di 100 geni coinvolti nella percezione del dolore. È chiaro, però, che su questo non possiamo farci nulla e possiamo solo portarci a casa un concetto: c’è chi è più predisposto a percepire dolore e c’è chi è meno predisposto a percepire dolore. O meglio, c’è chi è più predisposto a percepire maggiore dolore e chi è predisposto a percepirne meno rispetto agli altri;
• Sonno. Per motivi molto complessi, dobbiamo sapere che il dolore altera la qualità del sonno ma, allo stesso tempo, una bassa qualità e quantità del sonno ci predispone a percepire maggiore dolore! Cosa ci portiamo a casa? Chi dorme meno ha più probabilità di esporre il proprio corpo a percepire dolore. Non dobbiamo stupirci: dormire poco significa compromettere la capacità del nostro corpo di sopportare gli stress fisici e psicologici!;
• Stile di vita. Alimentazione, (di nuovo) sonno, esercizio, stress psicologico. Tutti questi aspetti, per quanto potremmo non curarcene nel momento in cui stiamo bene, devono essere considerati;
• Carico fisico. Posture mantenute (a prescindere dalla nostra posizione nello spazio, in piedi, seduti, seduti gobbi o dritti), allenamenti troppo intensi o incremento degli allenamenti sportivi in maniera repentina senza gradualità, inizio di attività mai eseguite o dopo periodi prolungati di inattività (lavoro, sport, hobby) o sforzi fisici eccessivi (trasloco importante in una persona sedentaria e, come detto prima, in una situazione di stress psicologico importante e con uno stile di vita non appropriato!) sono altri aspetti da considerare;
• Comorbidità, ovvero la presenza di altre patologie di competenza medica (diabete, patologie cardiovascolari, oncologiche, e così via). Senza entrare nel dettaglio della complessità delle patologie, dobbiamo sapere che tutte queste condizioni possono mettere allo strenuo il nostro organismo e renderlo sicuramente più suscettibile a rispondere precocemente con quell’allarme che abbiamo chiamato dolore;
• Stanchezza. Non è sicuramente sufficiente essere semplicemente stanchi ma, allo stesso tempo, il mio consiglio è quello di non esagerare e di non tirare troppo la corda. Mi spiego meglio. A un congresso specialistico incentrato sul dolore, ricordo un esperto australiano sostenere che molto il dolore muscoloscheletrico si presenta nei momenti in cui siamo stanchi o non siamo pronti. Mi trovo assolutamente d’accordo. Chiunque chi noi, in caso di stanchezza (inteso come stress psicologico, emotivo, lavorativo o fisico) o di non prontezza (nello svolgere un’attività diversa dal solito, mai fatta o, semplicemente, più intensa), si trova nella situazione in cui il corpo non può dare il suo 100%. Ricordiamo? Il dolore è un campanello d’allarme e questo allarme, tendenzialmente, suona molto prima di incorrere in danni reali, strutturali e importanti. Per questo motivo, visto che l’allarme può essere sfasato per tutti i motivi elencati fino a ora, non essere al 100% (semplificando), potrebbe predisporci a sentire più dolore.»
L’approccio al dolore è diverso tra uomo e donna?
«In realtà no. Probabilmente è interessante sapere che alcuni studi hanno scoperto come vi siano delle differenze di percezione del dolore tra uomo e donna. È vero.
«Da un punto di vista clinico, però, l’approccio non cambia in maniera significativa. Non è il sesso a fare la differenza, ma il tipo di dolore (Nocicettivo, neuropatico, nociplastico)!»
Quali conseguenze provoca il dolore?
«Il dolore impatta sul nostro fisico, sul nostro stato emotivo e psicologico, sulle nostre attività ludiche e ricreative, sul nostro lavoro e sulla nostra partecipazione sociale.
«Un po’ esagerato? Purtroppo no.
«Mi offro per fare un semplice esempio.
«Io sono un fisioterapista e da qualche giorno ho mal di schiena. Un dolore così forte da impedire qualunque movimento e rendermi un inferno anche il solo scendere dal letto. Nessun collega riesce a visitarmi prima di una settimana e i farmaci prescritti dal mio medico non mi aiutano in alcun modo.
«Non riuscendo a lavorare, disdico tutti gli appuntamenti della settimana.
«Sono un libero professionista, fortunatamente lo studio è di proprietà ma tutte le altre spese gravano sulle mie spalle e, diciamo così, inizio ad avere qualche preoccupazione. E se i miei pazienti non possono aspettare e si recano da altri colleghi e rischio di perderli? E se questo dolore, in realtà, non ci mettesse solamente pochi giorni a ridursi concedendomi di riprendere il lavoro?
«E il beach volley? Quando posso riprendere il mio svago e passione personale nel tempo libero?
Nonostante il caso proposto non sia così importante, siamo tutti d’accordo che il nostro dolore non ha di certo un impatto esclusivo sul nostro corpo. Tutta la nostra vita, in quel momento, è compromessa e ne risente!
«Se questo dolore non passasse e durasse non solo qualche giorno, ma anche due, tre o, addirittura, sei mesi, seppur meno intenso? Sfido chiunque a non essere ansiosi, preoccupati, demotivati o, nei casi più estremi, rassegnati (spese dello studio, della casa, assenza di attività sportiva e svago, disturbi del sonno, preoccupazione rispetto al dolore che non passa e conseguente paura di muoversi, assunzione spropositata di farmaci, e così via). Ecco come il nostro dolore impatta su tutti gli aspetti della nostra vita!»
Qual è l’approccio multidisciplinare al dolore?
«L’approccio multidisciplinare al dolore (più discipline ovvero più specialisti che si approcciano al paziente con dolore) è la chiave del successo terapeutico per chiunque soffra di dolore.
«Perché reclutare tutti questi specialisti? Perché, come abbiamo visto prima, il dolore ha mille sfumature, cause e conseguenze: psicologiche, fisiche, patologiche, e così via.
«Ogni professionista è specializzato in un aspetto del dolore e, sicuramente, l’unione fa la forza!»
Qual è il team «perfetto» per combattere il dolore?
«Ecco i professionisti:
• Fisioterapista;
• Psicologo;
• Medico Specialista in Algologia (algologo);
• Medico di Medicina Generale;
• Medici Specialisti (tra cui, solo per riportare qualche esempio non esaustivo, ortopedico, fisiatra, neurologo).»
Quanto potere ha la mente sul dolore?
«Un potere importante.
Il dolore è molto complesso e subisce l’influenza di tanti fattori. Ora stiamo parlando della mente in generale quindi faremo qualche esempio di fattore psicologico.
«Pensiamo alla paura, allo stress emotivo o a quei pensieri che vengono definiti catastrofizzanti, una sorta di esagerazione Diciamo che alcune zone del cervello deputate all’analisi dello stimolo dolore sono le stesse di alcune nostre emozioni, come, appunto, la paura, lo stress emotivo e pensieri catastrofizzanti. Qual è la conseguenza? Che in caso di ansia, timore, stress o paura (anche secondarie al dolore!), la percezione del dolore potrebbe essere alterata e, purtroppo, aumentata (percependo più dolore).
«Non solo. Nei casi di dolore cronico (intendiamolo come dolore persistente non solo come dolore che non passa in soli 3 mesi), dal momento che la maggior parte dei tessuti corporei guarisce in tempi inferiori, sono proprio i fattori psicologici i responsabili del mantenimento di questo dolore!
«L’allarme dolore, come l’abbiamo definita prima, inevitabilmente, scatterà e suonerà molto prima (abbassamento della soglia del dolore) rispetto agli individui senza dolore persistente. Questo significa che saranno sufficienti degli stimoli (fisici o emotivi) anche normalmente innocui, o comunque poco intensi, per generare dolore.»
Qual è il ruolo del fisioterapista nella patologia dolore?
«Propongo un breve riassunto:
1. Educazione.
Le persone devono essere educate. Il fisioterapista ha il ruolo di spiegare ai propri pazienti le ragioni del proprio dolore, le strategie per combatterlo e dare un significato al dolore. Ricordiamo bene che i pazienti potrebbero aver ricevuto delle informazioni errate da altri professionisti o da amici e parenti. Pensiamo a un paziente con dolore di spalla persistente da 4 anni a cui amici, parenti o qualche altro professionista sanitario abbia detto di non utilizzare nello sport il proprio braccio per via del rischio di incorrere in infortuni, visto come è messo. Escluse cause gravi di competenza medica, non ci sono ragioni per escludere il braccio dalla propria vita, ma in caso di convinzioni errate rispetto al problema, il paziente va educato alla corretta gestione.
2. De-sensibilizzazione.
Riduzione del dolore. Probabilmente questo è la ragione principale di richiesta di cura da parte dei pazienti quando si rivolgono al fisioterapista. Come fa il fisioterapista a ridurre il dolore? Esercizi specifici, movimenti, tecniche manuali, tecniche di rilassamento e tanto altro ancora.
3. Carico.
Nelle righe precedenti abbiamo detto che il sistema muscoloscheletrico è fatto in modo tale da consentire il nostro movimento nello spazio e che, pertanto, siamo tutti d’accordo che debba essere in grado di farlo e, quindi, di tollerarlo. Un semplice esempio, riprendendo il caso del dolore di spalla riportato nelle righe precedenti facendo una metafora. Perché la spalla di quel paziente (ipotizzando di attribuirgli un valore da 0 a 10 pari a 5 a causa del dolore) ritorni alla propria funzionalità (valore 10 su 10) come l’altro, dovrà essere allenato a fare ciò che faceva prima, in particolare in caso di dolore persistente dove la probabilità vi siano lesioni anatomiche vere è molto bassa! Ecco quindi il concetto di carico, o di aumento della tolleranza del distretto specifico (braccio/spalla) al movimento, all’esercizio e all’utilizzo nella propria quotidianità.
In che modo puoi affrontare meglio il dolore fisico?
«Unica soluzione: il movimento.
Il movimento è vitale per le nostre articolazioni, per i nostri muscoli, per i nostri tendini e per le nostre ossa. Il dolore fisico avviene per 4 motivi:
• traumi o cause specifiche;
• inattività (il caso del lavoratore sedentario al computer);
• eccesso di movimento (runner che ha incrementato il chilometraggio in maniera repentina);
• condizioni specifiche (come la sciatica da ernia del disco, il dolore cervicale da colpo di frusta con o senza mal di testa e così via).
Esclusi i traumi, vediamo come la maggior parte dei dolori si genera a causa di un’alterazione della quantità di movimento (poca o troppa) che facciamo fare al nostro corpo.»
Come fare?
• Evitare il riposo assoluto;
• Evitare l’abuso di farmaci oltre il necessario;
• Evitare terapie unicamente passive (terapie strumentali, massaggi fini a sE stessi, o altro di questa natura);
• Avvalersi di movimenti ed esercizi specifici sulla base della tolleranza del nostro corpo in quel momento (non correremo in caso di lesione legamentosa alla caviglia avvenuta due giorni prima e, certamente, faremo esercizi più tosti in caso di dolore alla spalla presente da tanto tempo, come il caso del paziente di cui abbiamo parlato prima);
• Valutare l’ipotesi di rivolgersi alla medicina del dolore in caso di dolori specifici (dolore neuropatico da radicolopatia o dolore radicolare – la sciatica – o altre forme di dolore più importanti e disabilitanti).»
Cos'è la terapia del dolore e quali patologie tratta?
«La terapia del dolore, intesa come terapia di competenza medica, consiste in tutta quella serie di procedure (infiltrative e non infiltrative – come i farmaci) che hanno lo scopo di ridurre il dolore. Non tutti i pazienti che soffrono di dolore dovranno necessariamente ricevere cure algologiche specialistiche ma, nel caso vi sia indicazione (dopo appropriata valutazione medico-specialistica), lo scopo dell’intervento attraverso la terapia del dolore sarà quello di ridurre la percezione del dolore del paziente in modo tale da intraprendere, meglio e precocemente, il percorso riabilitativo con il fisioterapista che, nell’ambito del dolore muscoloscheletrico, ricopre probabilmente il ruolo più importante del team, insieme allo psicologo a tutte le figure citate nelle righe precedenti.»
Che cosa s'intende per «moderna terapia del dolore» e come si curano i dolori cronici?
«Come in tutto l’ambito medico-sanitario, da sempre, la scienza si evolve. Per stare al passo coi tempi, anche i professionisti della salute devono, quindi, aggiornarsi: ecco quindi le moderne neuroscienze del dolore e le terapie del dolore nate sulla base di queste nuove acquisizioni scientifiche.
«Tirando le somme, la moderna terapia del dolore è poco diversa dai concetti legati al team multidisciplinare.
«Moderna terapia del dolore significa coinvolgere i professionisti giusti al momento giusto.
«Cosa comprende la moderna terapia del dolore?
• Diagnosi corretta e precoce (di competenza medica – in particolare dell’algologo, dell’ortopedico, del fisiatra e degli specialisti che si occupano di gestione del paziente con dolore);
• Trattamento infiltrativo o farmacologico non infiltrativo (di competenza medica – come ponte per la successiva riabilitazione e rieducazione del paziente insieme al fisioterapista);
• Riabilitazione insieme al fisioterapista.
Ora, fatte queste premesse, probabilmente la domanda ancora non ha trovato risposta: cosa è cambiato nel concreto dal punto di vista, ad esempio, fisioterapico? Diamoci risposta rispondendo alla domanda successiva.»
È possibile prevenire il dolore cronico?
«La scienza, purtroppo, non ci dà informazioni esatte su questo aspetto. La prevenzione è un ambito davvero molto delicato all’interno del quale vi sono più ombre che luci. Quello che è certo è che lo stile di vita attivo, l’esercizio e la riduzione dello stress psicologico e fisico, nonché un adeguato igiene del sonno ci aiutano a stare bene sia dal punto di vista del dolore che della salute generale.
«Nel caso stessimo parlando di persone sane, purtroppo, non vi è risposta. Non posso dirvi con certezza che sia possibile prevenire il dolore cronico quando ancora, a tutti gli effetti, non abbiamo problemi. Ancora, non posso dirvi che facendo determinate terapie o procedure specifiche io (o altri professionisti) possano ridurre la probabilità che abbiate dolore, per di più dolore persistente.
«Ora, però, largo alle buone notizie! Se parlassimo invece di pazienti con dolore, magari con dolore da pochi giorni, allora il discorso cambia, in meglio!»
«I professionisti della salute hanno nel proprio bagaglio di competenze anche delle procedure (questionari, valutazioni specifiche) per capire quali pazienti che hanno già dolore potrebbero sviluppare dolore cronico (o persistente). Ecco la buona notizia!
«In caso di dolore, una terapia precoce (farmacologica, infiltrativa e, soprattutto riabilitativa – per quello che riguarda me e la mia categoria) fa la differenza e riduce la probabilità di sviluppare dolore persistente!
«Cosa ci portiamo a casa?
«In caso di dolore acuto (insorto da poco) o subacuto (insorto da poche settimane) non perdiamo tempo e rivolgiamoci, subito, a dei professionisti qualificati per stroncare sul nascere il problema»
In che modo si educa il paziente al dolore?
«Domanda da un milione di dollari.
«La prima cosa che mi viene in mente, e che la letteratura scientifica consiglia, è quella per la quale il paziente debba essere educato attraverso metafore. Non siamo cantastorie, parliamoci chiaro, ma nessuno di noi si aspetta di andare dal proprio commercialista e di ascoltarlo parlare (mentre ci educa) di tutti i dati, di tutte le formule e di tutti i file excel relativi al nostro bilancio fiscale o cose di questo tipo. Non capiremmo nulla!
«Per questo motivo, proprio perché è normale e giusto che i non addetti ai lavori (i pazienti) non siano esperti dei termini specialistici, è necessario trasmettere i messaggi in maniera immediata, semplice e, soprattutto, utile ai pazienti.
«Il paziente deve essere educato, sì, ma nel dettaglio deve sapere:
• Perché ha dolore;
• Quali sono le strategie per gestirlo;
• Cosa deve fare e cosa non deve fare per migliorarlo o peggiorarlo;
• Quali professionisti deve consultare o quali professionisti potrebbero essere inclusi nella sua gestione;
• In quale tempo potrà (se possibile saperlo) risolversi il suo dolore.
Una metafora per spiegare al paziente il dolore persistente?
«Quella dell’allarme antincendio che è diventato così sensibile da suonare anche in presenza di fumo e non di fiamme che ne giustifichi l’accensione.
«Il dispositivo è il nostro cervello, l’allarme che scatta è il dolore.
«Il fumo sta a significare degli stimoli poco intensi o comunque potenzialmente non pericolosi (come un movimento di piegamento in avanti della nostra schiena), mentre le fiamme sono lo stimolo potenzialmente pericoloso e dannoso (un trauma come un brusco sollevamento di uno scatolone eccessivamente pesante durante un trasloco).
«In caso di dolore persistente, i pazienti potrebbero aver ancora dolore nel compiere dei semplici movimenti di piegamento in avanti del busto (stimolo non pericoloso - come il fumo).
Potrebbero essere così «disallenati» a farlo che un movimento di questo tipo (fumo) potrebbe essere sufficiente a far scattare l’allarme (dolore) del nostro dispositivo di controllo (dispositivo elettronico dell’allarme antincendio).»
Perché avete sentito l’esigenza di scrivere un libro dedicato al dolore?
«Il bisogno lo manifestavano sia i professionisti della salute (ne abbiamo poi avuto conferma successivamente, oltre che a saperlo a priori) sia i pazienti.
«Purtroppo, il mondo medico è vittima di pregiudizi e preconcetti duri a morire e dobbiamo tenere a mente che chi ne paga le conseguenze sono i pazienti. Questo non è in alcun modo accettabile.
«Per questo motivo, mossi dalla voglia di aiutare i pazienti e di poter contribuire a fornire delle informazioni rilevanti per la gestione degli stessi a tutti i professionisti della salute, facendoci aiutare anche da psicologici, algologi e ortopedici, abbiamo realizzato un’opera che spaziasse dalla valutazione al trattamento del dolore in maniera pratica.
«Possiamo fare di più e dobbiamo fare di più per i nostri pazienti, poiché oggi abbiamo tutte le informazioni necessarie. Dobbiamo studiare e aggiornarci.
«Questo libro vuole aiutare professionisti sanitari, medici e pazienti a dar vita a un nuovo modo di gestire il dolore per migliorare la qualità di vita delle persone.»
Nadia Clementi – [email protected]
Dott. Valerio Barbari - Fisioterapista, OMPT Orthopaedic Manipulative Physical Therapist
Collaboratore alla docenza presso il Master in Riabilitazione dei Disordini Muscoloscheletrici dell’Università di Genova (Campus di Savona)
Titolare Studio Fisioterapico – Dott. Valerio Barbari (Rimini)
Co-Fondatore FisioScience S.r.l.
Autore e curatore del Libro Scienza e Clinica del Dolore. Un approccio basato sulle moderne neuroscienze.