La «Scalinata del larici secolari» – Di Alberto Pattini
In val Saent nel comune di Rabbi una suggestiva scalinata conduce al cospetto di 23 insoliti giganti vegetali, da riscoprire nel Parco nazionale dello Stelvio
Diciamolo subito: si chiama «scalinata» non a caso. Per avvicinarsi agli alberi ultracentenari è necessario percorrere un itinerario fatto di gradini, ben settecento, realizzati con la pietra locale.
Non è insomma una camminata da prendere alla leggera, anche perché prima di raggiungere l'attacco del percorso c'è un altro bel pezzo di strada da percorrere, ma ne vale la pena.
Si parte infatti dal parcheggio Ramoni al Coler, dove per avvicinare i più piccoli alla flora e fauna tipica della zona è stato allestito il «Gioco del Parco», raggiungibile seguendo le indicazioni per Piazzola e poi per Somrabbi e proseguendo quindi sulla strada.
Dal Parcheggio fino alla malga Stablasolo d’estate passa un bus navetta ogni mezz’ora tutti i giorni.
Si giunge poi in pochi minuti al Centro Visita Stablet, un museo dedicato alla marmotta.
Seguendo il sentiero numero 106, passando per il Doss de la Cros si raggiunge quindi il pascolo a Prà Saent.
Quest'ultimo è una pregevole radura, detta anche «Prato delle marmotte» per la presenza di questo animale, che ospita la malga e da cui parte la scalinata dei larici monumentali.
Si tratta di ben 23 piante ultracentenarie, che variano dai 250 ai 400 anni circa, arrivando in un caso anche ai 500, significative non solo per la loro età, ma soprattutto per le forme insolite che le caratterizzano.
I «guardiani» della val Saent infatti, dopo secoli d'intemperie, valanghe, siccità e quant'altro hanno sviluppato forme davvero uniche, spesso necessarie per adattarsi ai cambiamenti dell'ambiente e per non soccombere.
Così è possibile trovare un larice che è cresciuto interamente sulla roccia, senza terreno, avviluppando la stessa nelle sue radici per far sì di estrapolare acqua e sali minerali indispensabili per crescere, o un altro che, crescendo appena a monte di uno più a valle, lo ha protetto per anni e anni dalla caduta dei massi e da eventi traumatici che hanno intaccato in più punti la sua corteccia ma non quella dell'albero sottostante, cresciuto dritto e perfetto.
Altri si sono sviluppati in un intreccio con altri larici oppure hanno rami che formano forme bizzarre verso l'alto, per aver dovuto adattarsi alla natura, ai danni che le cadute, specie di massi, hanno provocato.
Tutti i larici del percorso hanno un nome che li identifica e che ne ricorda la caratteristica principale.
«Grande piede» per esempio è un albero particolarmente sviluppato nella parte inferiore, tanto da formare un gigantesco bulbo per ancorarsi meglio al terreno e sopravvivere.
Il «Dinosauro» è un larice ormai morto da tempo, visibile su una roccia in alto, ma modellato dal vento e dall'acqua in modo tale da ricordare, appunto, il profilo di un animale preistorico.
«Grande arco» invece ricorda questo strumento ed è visibile anche la freccia pronta ad essere scoccata.
Vi è poi anche una ceppaia che, nel suo sfaldarsi a poco a poco, ricorda le pagine di un libro e in un certo modo racconta la storia dell'albero che è stata.
Verso la fine del percorso si trova anche un tronco di larice, il «Colosso a terra» non più in vita e adagiato poco più a valle dell'itinerario, di ben 500 anni mentre conclude la visita l'«Ospite», stavolta un abete, il più vecchio di tutta la val Saent e veramente maestoso nel suo intrico di rami e licheni.
Ogni albero ha una vicenda tutta sua, narrata dai pannelli posti accanto che permettono di comprenderne l'età, l'altezza, la particolare situazione che ha inciso e ha determinato la formazione della pianta.
Al termine si giunge in località malga Vecia da cui si può scegliere di proseguire verso il rifugio Dorigoni e ai laghi di Sternai, oppure di tornare a valle scoprendo anche la cascata alta di Saent, che precede quella più nota e che però non è meno spettacolare di quest'ultima.
Continuando fino al Doss de la Cros, poi, una deviazione consente di vedere da vicino anche la seconda cascata di Saent.
Alberto Pattini
(Il Taumaturgo)
Si ringrazia il Parco Nazionale dello Stelvio per le notizie e per le immagini.