Marchionne: «L’Agenda Renzi è l’unica in Europa, ascoltatelo»

In realtà, i due rappresentano di persona il tema stesso del Festival dell’Economia: il Tecnico e il Politico

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In platea all'Auditorium ad ascoltare Renzi, poi sul palco del teatro Sociale a dire che spera che «Renzi sia ascoltato, perché la sua è l'unica agenda che abbiamo in Europa».
Con il racconto industriale che Sergio Marchionne ha fatto dell'operazione Fiat-Chrysler, la «strana coppia» del Festival (Marchionne e Renzi) sembra aver voluto chiudere il cerchio attorno al tema di quale classe dirigente serva oggi al nostro Paese e di cosa si debba intendere, nella parabola della prima industria manifatturiera italiana ma non solo quella, per bene comune.
Partendo dall'analisi di Giorgio Barba Navaretti e Gianmarco Ottaviano nel loro «Made in Torino? Fiat Chrysler Automobiles e il futuro dell'industria», e rispondendo alle domande «troppo complicate» di Roberto Napoletano, direttore de Il Sole 24 Ore, l'Ad del gruppo FCA ha inaugurato il primo giorno del suo undicesimo anno alla guida della multinazionale italoamericana riavvolgendo il nastro dell'alleanza con la casa di Detroit («Se non l'avessimo fatta, ora la Fiat non esisterebbe più») promettendo di far mangiare la polvere ai costruttori di automobili tedeschi.
 
Nel volume di Barba Navaretti e Ottaviano si racconta la storia di un gruppo, di una multinazionale italiana che è diventata un gruppo globale da valutare per quello che è: una storia aziendale di successo che ha un valore di metafora per molte delle scommesse che questo Paese deve ancora affrontare a viso aperto, un segnale per passare all'azione. 
 
Ma come è nata e perché l'operazione Chrysler?
«Oggi è molto facile farsi i complimenti – è stata la risposta di Marchionne. – Nel 2009 non ci credeva nessuno, pochi anche in America. Se non ci fosse stato Obama non credo che la Fiat avrebbe portato a termine l'operazione.
«Dopo 5 anni possiamo dire che la storia della Chrysler è oggi più convincente di quella della General Motors. Fiat, risolvendo il problema che aveva con General Motors, e i banchieri che hanno affondato i mercati dell'auto, si è trovata in quel momento con una domanda crollata e una continua riduzione delle vendite di auto in Europa.»
 
«Abbiamo cercato allora di trovare a livello europeo un modo razionale per uscire da questa situazione, senza riuscirci. Abbiamo atteso che Bruxerlles si muovesse, ma non lo ha fatto. Nel frattempo Fiat non ha chiesto interventi statali o appoggio al sistema bancario italiano. Se io avessi ascoltato tutte le critiche avrei portato i libri in tribunale nel 2012.
«Dopo averla salvata nel 2004 saremmo tornati sull'orlo della crisi. La soluzione che abbiamo trovato è stata quella di utilizzare il sistema italiano per ricavarci spazio e credibilità a livello internazionale. Abbiamo fatto richieste specifiche a Monti e poi all'allora ministro Passera affinché venissero agevolate le esportazioni, ma non si è fatto assolutamente niente.»
 
«Ora siamo qui e non abbiamo risolto il problema: il mercato continua a essere investito da problemi che porteranno a un'altra crisi nei prossimi 4-5 anni. Io ho bisogno della cassa americana per finanziare l'attività europea. Siamo tutti nelle stesse acque: noi, i francesi, una parte dell'industria tedesca, ma noi oggi non siamo più vittime, ci siamo sottratti a questa guerra.
«Il vero problema è che adesso la concorrenza tedesca è diventata veramente spietata. L'alleanza con Chrysler è stata una opportunità che abbiamo potuto cogliere grazie alla sfacciataggine di presentarci a Detroit da Obama, un'occasione che non si ripeterà, mai più.»
 
Che cosa vorrebbe che cambiasse in Europa?
«Vorrei che quello che ha detto Renzi si facesse: l'obiettivo è creare lavoro, il resta non conta più. L'agenda di Renzi è l'unica che abbiamo in Europa e spero che lo ascoltino.»
 
Quanto può pesare ancora il capitale di ricerca e di innovazione che è proprio della Fiat?
«Abbiamo la fortuna di avere ereditato una serie di cose fatte in Fiat: la Ferrari, che speriamo torni a vincere, la Maserati, che è stata fatta ripartire dal nulla; e abbiamo questa Alfa Romeo, marchio di valore internazionale, che quando uscirà sarà la vera incarnazione di ciò che dovrebbe essere un'automobile.
«L'italianità al di fuori dell'Italia ha un valore. Il nostro obiettivo è di togliere le lacune che avevamo con i tedeschi dal punto di vista tecnico. Sono dovuto andare a crearmi credibilità al di fuori dell'Italia per poter tornare.
«Per il 2018 venderemo mezzo milione di jeep in Cina. L'unico impegno è che fino al 2018 non costruiremo Alfa al di fuori dell'Italia, se poi Alfa avrà successo si potrà eventualmente costruire fuori, ma dopo il mio mandato.»
 

 
Qualcuno dal pubblico, un volto di vecchio operaio metalmeccanico, chiede a Marchionne perché sia stato lasciato morire il marchio Lancia.
«Abbiamo provato per dieci anni a piazzare la Lancia nei mercati del Club Med e non ci siamo mai riusciti, – la risposta di Marchionne. Poi si è fatto serio. – Abbiamo dovuto scegliere, come fece Cervi con i suoi figli, fra Lancia e Alfa Romeo. Nei momenti di crisi occorre scegliere, l'alleanza con Crysler ha permesso di liberare Fiat da una zavorra.»
 
Rimarrà in Confindustria?
«Abbiamo cercato di cambiare le regole dentro Confindustria, che non si è messa a disposizione. Avevamo bisogno di tranquillità sindacale, e così abbiamo continuato coi sindacati firmatari; chi rimane in Confindustria lo fa oggi per altre ragioni, tutto lì. La Fiat in questo momento non ha bisogno di Confindustria.»
 
Come spiega che sia Volkswagen sia BMW abbiano distribuito bonus ai propri dipendenti?
«Lo abbiamo fatto anche noi in America, vorrei farlo anche in Italia. Se guardiamo però i margini operativi del marchio Volkswagen si vede che la maggior parte dei profitti derivano dal marchio Audi, che Volkswagen utilizza a livello globale per salvarsi, mentre ora usa così anche la Porsche. Se guardiamo Opel e Ford stanno tutte e due in cattive acque.»
 
La segretaria della Cgil Susanna Camusso le chiede di normalizzare i rapporti anche con la Fiom.
«Il contratto è aperto, Cgil e Fiom possono associarsi quando vogliono. La maggioranza dei nostri lavoratori ha scelto il contratto, punto.»
 
Oggi Renzi ha citato le crisi aziendali, anche Termini Imerese. La Fiat ha intenzione di collaborare?
«Ci siamo messi a disposizione di tutti i governi che hanno deciso di risolvere i problemi di Termini Imerese, ma lo stabilimento continua a non essere utilizzabile da Fiat.
«Era nato come piano di sviluppo per il Mezzogiorno. Se la Fiat ha ricevuto un sussidio per Termini Imerese lo ha ripagato con una barca di soldi, 1.500-1.600 euro persi per ogni vettura prodotta lì.»
 
Da quando è in Fiat si sente di dire che ha commesso errori?
«No e non sarei disposto a discuterne in pubblico.»
 
Retribuzione dei dirigenti e degli operai, qual è il limite di questo rapporto?
«Difficile rispondere: non è il mercato comunque che può dare una risposta.»
 
L'auto ecologica?
«Se Bruxelles ha creato qualcosa, è stato mettere standard impossibili da rispettare. A livello europeo l'industria dell'auto non è certo il principale colpevole dell'inquinamento.»
 
Come sarebbe andata a finire se nell'operazione Chrysler fosse entrata anche la Opel?
«Preferisco non pensarci. Una delle cose che siamo riusciti a fare è ridurre a zero la dipendenza di Fiat dal sistema bancario italiano. Non potevamo più dipendere da un sistema che, se lo guardiamo adesso, non avrebbe salvato la Fiat.
«Oggi però non mi vergogno a chiedere soldi a nessuno.»
 
Nella foto che segue, le due collaboratrici de l'Adigetto.it che hanno seguito da vicino Renzi e Marchionne.