Il nuovo governo somalo strappa il porto di Chisimaio ai ribelli di Al Shabaab
Una gazzella che barcolla contro un leone ferito: il duello in Somalia si fa pericoloso
Prende, oggi più che mai, toni violenti la guerra che il vacillante governo somalo porta avanti contro i gruppi ribelli di Al Shabaab che spadroneggiano nel paese.
Soprattutto ora che le milizie islamiche hanno dovuto abbandonare la zona portuale di Chisimaio, baricentro dei loro approvvigionamenti, dopo la vittoria ottenuta dalle truppe governative spalleggiate dai soldati keniani dell'African Union Mission in Somalia (AMISOM) il 28 settembre scorso.
È stato il primo vero smacco che gli estremisti islamici hanno subito dopo anni di incontrastata e instancabile imposizione della sharia nelle grandi pianure somale.
E ora che il leone è stato ferito si aspettano le sue pesanti ritorsioni.
E anche Nairobi inizia ad avere paura. Dopo l'attentato alla chiesa in Kenya nel quartiere di Pangani, il 30 settembre scorso, i maggiori quotidiani keniani hanno pubblicato delle sorte di decaloghi per «il sostegno contro il terrorismo», ovvero l'elenco delle regole comportamentali che i cittadini devono tenere in caso di attentati e le tecniche per individuare i possibili terroristi di Al Shabaab, eventualmente entrati nel paese.
Nati da anni di debolezza istituzionale,divenuti indispensabili nel tessuto sociale con la loro funzione di giurisdizione informale che è riuscita ad arginare il flusso delle inadempienze statali, i ribelli di Al Shabaab sono riusciti ormai a far prevalere nelle zone meridionali i parossismi del loro islam radicale.
Insomma di quell'oscurantismo che inizia con il fagocitare gli «infedeli» e che finisce con divorare ogni forma di cultura vietando la musica, la televisione, i giochi.
Attualmente, accanto alla pratica continua del liberticidio, con una polizia islamica preposta a punire con fustigazioni e amputazioni i blasfemi trasgressori, si trova anche in Somalia l'insensato embargo che gli estremisti di Al Shabaab hanno imposto alle Ong internazionali interdicendo l'arrivo degli aiuti umanitari.
L'ex capo-missione di Medici Senza Frontiere Michiel Hofman riferisce di una situazione insostenibile per il personale internazionale dopo l'uccisione dei due operatori Philippe Havet e Karel Keiluhu dello scorso 29 dicembre nel distretto di Hodan e sottolinea inoltre come nel paese sia impossibile attuare le campagne di vaccinazione previste, data l'opposizione dei ribelli che vogliono evitare ai i bambini musulmani la «contaminazione occidentale».
É difficile motivare la rapida diffusione e trovare la ragion d'essere degli eccessi di questo integralismo che ora abitano non solo la Somalia ma anche il nord del Mali, la Mauritania e la Nigeria dei Boko Haram.
Forse la miseria può essere una delle molte spiegazioni. La povertà lascia senza difese, l'ignoranza lascia senza strumenti, il dolore impone la rabbia.
Rabbia contro l'islam moderato che vive di corruzione.
O contro il traballante governo che accudisce solo la capitale e che non si cura degli altri pezzi di paese che la circondano.
Contro l'occidente che si arroga il diritto di deporre i grandi dell'Africa in nome della sua democrazia capitalistica. O che commette sbavature nei suoi ,spesso, maldestri tentativi di risolvere situazioni di conflitto nei paesi a rischio.
Contro gli USA del Restore Hope e contro i suoi droni che sorvolano, monitorano, controllano le terre del Sahel.
L'islam radicale si limita a canalizzare la furia della gente stanca e affamata verso uno di questi obiettivi o verso tutti e ne fa le fondamenta per la sua architettura estremista.
La violenza degli attentati che, secondo gli esperti, presto mostrerà la risposta armata di Al Shabaab non è che una parte della storia della Somalia di oggi.
Una storia che inizia a mostrarsi troppo tristemente simile alla biografia dell'Afghanistan, il paese degli aquiloni, dove la pazzia indecente dei talebani arrivò a proibire anche, soprattutto e follemente gli aquiloni.
Miryam Scandola