Agente della polizia penitenziaria diventa diacono

Michele Maurizio Mastrolitti sarà ordinato domenica dall’arcivescovo Lauro Tisi

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Michele Maurizio Mastrolitti ha 46 anni, è nativo di Foggia ma residente a Roncegno, sposato con tre figlie, lavora a Trento come agente della polizia penitenziaria.
Nel pomeriggio di domenica 24 aprile sarà ordinato diacono permanente dall’arcivescovo Lauro Tisi nella chiesa parrocchiale di Roncegno.
 
Con Mastrolitti saliranno a 29 i diaconi permanenti attivi in Diocesi di Trento.
Poco più di un mese fa, il 19 marzo, a Riva del Garda la doppia ordinazione diaconale di Michele Albertani, rivano, 55 anni e di Antonello Siciliano, 47 anni, della parrocchia di Nago-Torbole.
Oltre all'impegnativo lavoro in carcere, Michele si è mostrato particolarmente attivo nella comunità di Roncegno fin da quando si è trasferito in Trentino, nel 2007.
 
Gradualmente ha manifestato il desiderio di dare al proprio servizio la caratteristica di un impegno ancora più intenso e stabile, chiedendo di poter accedere al percorso di formazione al diaconato permanente. Una decisione condivisa con la moglie Maria Eva e con le tre figlie piccole: Chiara, Sofia e Francesca.
 
La Messa di ordinazione diaconale avrà inizio alle ore 16 nella chiesa parrocchiale di Roncegno, intitolata ai santi Pietro e Paolo, e sarà trasmessa in diretta streaming sul canale YouTube della parrocchia a questo LINK.
Nell'annuncio dell'ordinazione, accanto all’icona di Gesù che lava i piedi ai discepoli, Mastrolitti ha scelto la frase del Vangelo di Marco.
«Anche il Figlio dell’uomo, infatti, non è venuto per farsi servire, ma per servire» (Mc 10,45).
 
«Provo un'emozione grandissima, – commenta Michele Maurizio. – Sarà per me una tappa molto significativa, anche per il lavoro all'interno del carcere, dove si prova a mettere in pratica le opere di misericordia, ma sempre al buio non alla luce del sole.
«Confido – aggiunge l’agente pensando soprattutto al proprio lavoro – che il diaconato mi aiuti a guardare ancora con più intensità la sofferenza, per tendere sempre una mano, sperando che l'altro voglia aggrapparvisi.
«Lavoriamo in un ambiente molto particolare, sempre sotto i riflettori, ma quasi mai quelli giusti. Tante volte sono i detenuti stessi a ringraziarci di quello che facciamo e questo ci dà la forza per andare avanti.»