Enrico Letta: «La nuova cattedrale della politica italiana»

Al Festival l'ex sottosegretario presenta la sua ultima fatica letteraria

L'esortazione di Enrico Letta è condivisa da Giuliano Amato e Luca Cordero di Montezemolo: «Dalla crisi, anche della politica, si esce guardando avanti».
È nel futuro la via alla speranza e la risposta alla crisi, non solo economica, che ha sconquassato in maniera globale la nostra quotidianità, messo in ginocchio le economie del pianeta e spazzato via un certo modo di intendere la finanza, talmente creativa da oltrepassare la soglia della spregiudicatezza.

Dal Festival dell'Economia di Trento arriva una lettura originale da parte di due testimoni d'eccezione, Luca Cordero di Montezemolo e Giuliano Amato, chiamati a colloquiare sul libro «Costruire una Cattedrale. Perché l'Italia deve tornare a pensare in grande» di Enrico Letta.
L'ultima fatica dell'ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio, durante il governo Prodi, edita da Mondadori, vuole offrire un contributo alla riflessione sul futuro dell'Italia e del Partito democratico, ma si presta ad una lettura a 360 gradi del nostro Paese e del contesto Internazionale.

E, allora, ritorna la domanda: come uscire dalla crisi?
Il Professor Sottile e il presidente della Ferrari preferiscono partire da lontano, dall'analisi globale, meno insidiosa della palude politica italiana.
«Il problema si pone per noi come si pone per il mondo, - spiega Amato. - La crisi che stiamo attraversando è tale che non possiamo uscire come ci eravamo entrati e il Festival ha messo in risalto questo aspetto con la giusta importanza. La crisi ha la causa originaria nello squilibrio tra economie asiatiche ed americane. Noi, italiani, dobbiamo uscirne diversi perché siamo entrati maluccio, siamo entrati con una finanza pubblica che non permetteva interventi, con pochissimi margini con cui operare e con un Paese che negli ultimi anni è cresciuto meno degli altri.»

E, allora, per Amato la risposta è nella capacità, a tutti i livelli, di pensare ad un diverso modo di operare: «La politica deve unire e puntare ad obiettivi reali, l'economia deve mettere nelle condizioni di preparare il Paese alla ripresa. È finito il tempo degli orizzonti chiusi sul presente, i nostri imprenditori e industriali devono investire nel lungo tempo. Così come, in politica, moderati e progressisti devono lavorare insieme su un progetto di largo respiro.»
L'Italia, in buona sostanza, deve trovare oggi la competitività necessaria ad affrontare le opportunità di domani.

Il presidente Montezemolo trova nel libro di Letta gli spunti del dibattito di questi ultimi mesi e l'indicazione a guardare avanti: «Noi non possiamo avere un Paese che ha dei dati che non merita: il più basso indice di natalità e occupazione femminile. Questo è un Paese che merita molto, molto di più ma che è ancorato a temi del passato. Ci stiamo rendendo conto che non possiamo permetterci di avere un dibattito della politica su problemi lontani dal Paese. I cittadini si misurano quotidianamente con problemi quali la burocrazia, la scuola per i figli, il funzionamento dei servizi pubblici e la difficoltà ad arrivare alla quarta settimana del mese.»
Ecco perché il libro di Enrico «è uno stimolo alla classe dirigente».

Aggiunge Montezemolo: «Proviamo a premiare chi è più capace ed ha voglia. In Italia siamo prigionieri del dibattito del passato e dell'emergenza continua e che lo conferma il dato sulla mobilità sociale: siamo un paese bloccato dove gli architetti sono figli di architetti, mentre in America diventa presidente un giovane perché è bravo a prescindere dal colore della pelle.»

Poi Montezemolo parla finalmente del libro di Letta.
«Enrico fa una distinzione tra moderati, progressisti riformatori e populisti. In Italia moderati e progressisti pensano e dicono le stesse cose da tempo: la pensano allo stesso modo sulle riforme e le ricette. Questa maggioranza responsabile si incontra nella società ma si divide nella politica. Io auspico che queste persone e culture si incontrino nella politica, superando questo bipolarismo imperfetto che mostra sempre i muscoli.»

Parole che Letta ha ripreso, fatte proprie e inserito nel contesto attuale della politica italiana.
«Berlusconi è destinato a vincere finché il centrosinistra rimarrà tutto nella parte sinistra della coalizione. Solo evolvendoci saremo interessanti per gli elettori italiani.»
A riprova, l'ex sottosegretario ricorda «il paradigma Bertinotti»: «Lo scorso anno è accaduto a Bertinotti e alla sinistra radicale, passati dall'11 al 3 per cento per effetto del voto utile, e non più del voto di bandiera, espresso dagli elettori. Oggi potrebbe toccare a noi. Se il Pd sposasse la tesi per cui è troppo difficile arrivare al 51 per cento, accontentandosi del fatto che il centrosinistra governa da tante parti nell'Italia, il paradigma Bertinotti rischierebbe di ripetersi.»

Da qui la convinzione di Letta che l'Italia e il Pd sono «condannate» al cambiamento.
«Una condanna positiva perché non abbiamo alternativa. In passato siamo riusciti ad eludere il cambiamento ma oggi non abbiamo scelta. Diciamo no al fatalismo e favoriamo la coralità della cattedrale perché riguarda tutti e il futuro industriale del nostro paese.»
«Il bipolarismo è finito. L'elettorato - come ha messo in guardia Letta dalle colonne del Corriere - non è bipolare ma tribolare: diviso non tra destra e sinistra ma tra progressisti, moderati e populisti. Si tratta di unire progressisti e moderati, in un patto che non potrà includere né Lega da una parte, né Di Pietro e i comunisti dall'altra. Dobbiamo costruire un nuovo Centrosinistra: con la C di centro maiuscola. Con un terzo di voti non si vince: è evidente che dobbiamo rimpacchettare tutto. Il Partito democratico, così com'è, è condannato alla sconfitta. Non a caso il suo insediamento elettorale coincide in modo impressionante con quello del Partito comunista di trent'anni fa.
«Si tratta - ha concluso Letta - di andare oltre questo Pd, e anche oltre l'alleanza con Casini. Uscire dalla riserva indiana dei perdenti e cambiare il sistema.»

Insomma Letta propone di costruire una «nuova Cattedrale». Un'occasione per uscire dal presente e proiettarsi al futuro.
«La cattedrale come la metafora di una comunità che accetta la sfida di contribuire a un grande progetto condiviso e proiettato al futuro.»
Cambiare, a partire dalla politica, e proprio a questa necessità Letta dedica un capitolo del suo libro.
«L'addio di Veltroni - commenta lui che ha "osato" sfidarlo nel corso delle primarie per la leadership - chiude quindici anni di politica italiana; questo libro è il mio contributo ad andare oltre. Saranno decisivi i prossimi tre mesi: l'esito delle Europee, e più ancora quello delle amministrative. Ce la stiamo mettendo tutta, ben guidati da Franceschini, per ottenere il miglior risultato possibile del Pd. E lo stesso impegno dopo le elezioni dovremmo metterlo per un congresso che sposti l'asse del partito, lo aiuti a parlare agli elettori moderati».
L'importante è formare un partito di centro-sinistra, purché la «C» (di Casini o di Centro) sia maiuscola.