Gli «Overseas», i Cinesi diffusi in Italia che non conoscevamo

Al Festival dell'Economia Daniele Cologna parla dei pregiudizi sull'immigrazione cinese



Sono recenti le polemiche sull'espansione del mercato cinese.
Sui loro prodotti si è detto di tutto, che sono di bassa qualità, che sono ricavati da materie prime nocive per la salute umana, o ancora che arrecano pesanti danni all'economia italiana.
Parte dell'Italia ha reagito così, con slogan che invitano i cittadini a comprare prodotti locali e nazionali, ma c'è un'altra parte che di fronte alla loro espansione ha reagito «allungando una mano» per stringere alleanze.

Nel 2003, infatti, Cesare Romiti da Presidente dell'Istituto Cinese ha voluto imprimere un maggiore impulso ai rapporti tra l'Italia e la Cina attraverso l'istituzione della Fondazione Italia Cina.
Quest'anno, alla quinta edizione del Festival dell'Economia di Trento, la stessa Fondazione ha organizzato l'incontro.
«Il ruolo degli overseas chinese: informazione, pregiudizi e realtà sull'immigrazione cinese», in cui Daniele Cologna (Ricercatore dell'Agenzia di ricerca sociale Codici di Milano) ha affrontato il tema dello sviluppo e della diffusione degli "overseas chinese" (cinesi d'oltremare) e delle realtà locali in cui risiedono.

«Quando parliamo di cinesi in Italia - ha spiegato Cologna - parliamo di un gruppo particolare, vale a dire di immigrati che hanno ancora in tasca il passaporto della Repubblica Cinese e che non sono scappati da situazioni di povertà, bensì da un periodo di crescita e sviluppo. Basti pensare che il maggior afflusso di cinesi in Italia viene da Wenzhou, una delle città più ricche della Cina.»

È stato dunque l'aumento del tenore di vita a portare gruppi di cinesi alla ricerca di altre zone in cui vivere.
Di fronte allo sviluppo della Cina nelle zone rurali, molto vicine alle città, le persone si sono trovate a scegliere se spostarsi in provincia per sostenere l'aumento del costo della vita o se migrare in altri paesi dove magari c'era un famigliare ad accoglierli.

«Le persone - prosegue Cologna - che arrivano in Italia non sono grandi economisti. Non è vero che hanno un grande fiuto per gli affari, che mangiano economia con le bacchette, sono semplici contadini, allevatori, pescatori.»

La città di Wenzhou negli ultimi dieci anni ha registrato un elevato sviluppo come mostrano le fotografie che Cologna ha illustrato al pubblico.
Le vie di Wenzhou sono passate da modeste e vuote a vie in cui i grattacieli si innalzano verso l'alto e i palazzi, i negozi, i bar e i ristoranti colorano il centro. Le persone hanno iniziato a spostarsi dalla campagna alla provincia lasciando le proprie abitazioni.

«Alcuni di loro sono migrati in Italia, - ha affermato Cologna. - In tutto sono circa 180 mila e le loro attività non sono quelle manifatturiere come siamo abituati a vedere in televisione, ma sono imprese che rientrano nel settore terziario.
«Il piccolo commercio di quartiere nelle nostre città stava scomparendo, quando il reparto orto/frutta del supermercato è diventato tanto grande quanto quello del fruttivendolo, i fruttivendoli hanno iniziato a chiudere, e così anche le piccole librerie, le sartorie, ecc. Ora il mercato cinese ha reintrodotto questi servizi.»

Il pregio delle imprese cinesi sembra essere racchiuso nella loro capacità d'aver colto le esigenze della popolazione italiana.
«Hanno introdotto prodotti a prezzi modici e la possibilità di contrattare. Non sono imprenditori innovativi, sono solo attenti perché sono indebitati. A Milano per esempio si sono accorti che gruppi di peruviani ed equatoriali non avevano un luogo in cui andare a mangiare, così hanno creato per loro dei ristoranti in cui recarsi. In poco tempo abbiamo visto diminuire il livello di violenza sulle strade e di ubriachezza molesta.»

«Può apparire una provocazione - ha concluso Cologna, - ma in realtà le comunità cinesi non sono isolate, non competono contro di noi, ma agiscono assieme agli altri. Non sono ancora completamente integrati, ma un cinese su quattro in Italia è un bambino e va a scuola, impara la nostra lingua e stringe relazioni umane.»