Centenario della Marcia su Roma e il Trentino – Di G. de Mozzi
Le elezioni politiche del 1919 e del 1921, con i fatti di sangue che le accompagnarono
Questa terza puntata vuole dare risalto al mutamento che i politici di allora non capirono o finsero di non capire. Come vedremo ponderando le tabelle che riportano i risultati delle elezioni del 1919 e del 1921, le figure politiche nate nell’Ottocento stavano per lasciare il posto a quelle del Novecento. Ma il passaggio, come sappiamo, fu estremamente costoso in termini di vite umane. Era cominciato quello che passerà alla storia come «Il secolo breve». |
Gli italiani non votavano dal 1913, quando per la prima volta erano stati chiamati a suffragio universale maschile, con l’ormai tradizionale collegio uninominale a doppio turno, dando vita alla XXIV legislatura del Regno d’Italia, quella che gestì la Prima guerra mondiale.
Le prime elezioni dopo la guerra si tennero il 16 novembre 1919. Il presidente del Consiglio Nitti, certo di trarne vantaggio, aveva deciso di cambiare la legge elettorale, che da uninominale passò al proporzionale. Ottenne esattamente il contrario, ma i socialisti non riuscirono a cogliere la palla al balzo.
Ma ecco qual era la situazione dei partiti dell’Italia di allora.
In Italia il Partito Socialista era nato già nel 1892 su ispirazione marxista. I principali promotori furono Filippo Turati, Claudio Treves e Leonida Bissolati.
Ma il partico socialista ha sempre avuto la proprietà di generare altri partiti di sinistra, taluni estremi, altri moderati. L’anima era divisa tra coloro che non volevano le elezioni perché era di per sé un atto di sottomissione allo stato democratico, altri volevano entrare al governo per via parlamentare.
I deputati socialisti, appena aletti nel 1919, quando il re Vittorio Emanuele III tenne il suo discorso di inizio lavori parlamentari, girarono la schiena al re. Insomma un partito al quale la democrazia andava spesso stretta.
Sta di fatto che già nel 1922 si staccarono Bordiga e Gramsci che fondarono il Partito Comunista Italiano. E anni dopo, nel secondo dopoguerra, nacquero il PSDI, il PSIUP e così via.
Durante il regime fascista, il Partito socialista continuò la sua attività nella clandestinità mentre la direzione del partito in esilio in Francia tentava di mantenere i contatti con i nuclei clandestini e d'influire sulla vita politica italiana, denunciando all'opinione pubblica europea e statunitense i crimini del regime.
Partecipò alla guerra civile spagnola con propri esponenti nel Battaglione Garibaldi e durante la seconda guerra mondiale collaborò con il movimento partigiano nella Francia occupata dai nazisti. Riprese vita dopo il 1943.
Il 18 gennaio 1919 vide il sorgere anche del Partito Popolare Italiano, fondato da don Luigi Sturzo, un prete siciliano rettilineo e coraggioso, fortemente impegnato nel sociale e in politica.
Fondò un giornale, «La croce di Costantino», col quale condannò la politica repressiva di Umberto Primo che portò alla strage di Milano perpetrata dal generale Bava Beccaris.
Nonostante la contrarietà del papa, don Sturzo riuscì a raccogliere consensi in tutto il mondo cattolico, tanto che nel 1919, come abbiamo detto, fondò il Partito Popolare Italiano.
Il Partito Popolare Italiano divenne presto una formazione molto influente nella politica italiana e un suo voto impedì a Giovanni Giolitti di assumere il potere nel 1922, permettendo così l'insediamento di Luigi Facta.
Contro il parere di Sturzo, dopo la marcia su Roma il PPI accettò di sostenere il primo governo Mussolini, ottenendo due importanti ministeri, Tesoro, Lavoro e Previdenza sociale.
Ma, al Congresso del Partito Popolare dell’aprile 1923, Luigi Sturzo, sostenuto dalla sinistra, fece prevalere la tesi dell'incompatibilità fra la concezione «popolare» dello Stato e quella totalitaria del fascismo.
E così, il capo del Fascismo colse l'occasione per dare inizio a una dura campagna contro il «sinistro prete», presentando Sturzo come un ostacolo alla soluzione della questione romana.
Mussolini fece anche in modo che Sturzo perdesse l'appoggio delle gerarchie vaticane e alla fine il prete di Caltagirone fu costretto a dimettersi da segretario del partito.
Don Sturzo, nel 1924, sarebbe poi costretto all’esilio in Francia.
Il 9 novembre 1921 - e quindi dopo le elezioni del 1919 e quelle del 1921 - nacque il Partito Nazionale Fascista, naturale evoluzione dei Fasci Italiani di Combattimento fondati da Mussolini due anni prima.
Quindi alle elezioni del 1919, Mussolini si era presentato frammentario, con numerose formazioni e liste diverse.
Mussolini, che allora teneva (peraltro abilmente) un piede nella borghesia e l’altro nel proletariato, da una parte prendeva contributi da industriali e banche, dall’altra predicava la «decimazione della ricchezza», giungendo a ventilare la patrimoniale indicata nello statuto dei Fasci di Combattimento.
In vista delle elezioni del 1919, i Fascisti tennero un comizio importante a Milano, al quale parteciparono 4.000 persone, cioè ben più di quelle che aderirono alla fondazione dei Fasci. E questo fece pensare a Mussolini che alle elezioni avrebbe sfondato. Invece, pare che abbiano votato per lui neanche la metà di quei 4.000.
La campagna elettorale del 1919 era stata accompagnata da violenze sempre più feroci. Le intolleranze aumentarono e di conseguenza le reazioni opposte.
Riportiamo un episodio particolarmente grave che accadde a Lodi, che bene dipinge il clima di allora.
In un comizio che si svolgeva nella piazza della città, i socialisti provarono a impedire agli altri partiti di prendere la parola. I Popolari si limitarono a esprimere la propria indignazione, ma i fascisti passarono alle vie di fatto. I socialisti non mollarono ma i fascisti, formati da arditi e ufficiali reduci, spararono. Uccisero tre persone e ne ferirono altre otto.
Alla fine si votò, ma, come vediamo nella mappa Wikipedia che riportiamo qui di seguito, per Mussolini le elezioni del 1919 furono un vero e proprio disastro: venne eletto solo un deputato, che non fu neanche Mussolini.
Elezioni del 1919
Partito Socialista ufficiale, seggi 156 – Democratico Liberale: seggi 113 – Popolare Italiano: seggi 100 – Liberale: seggi 46 – Partito Radicale: seggi 36 – Repubblicano: seggi 13 – Socialisti riformisti e Unione Socialista: seggi 13.
Seguono altri partiti minori.
I giornali dell’opposizione giudicarono Mussolini morto e sepolto. Un capitolo chiuso per la politica italiana.
Visto il momento di debolezza del leader fascista, il prefetto di Milano ne ordinò l’arresto. E la moglie di Mussolini, avvertito il pericolo nell’aria, acquistò delle pistole e… una cassa di granate.
Mussolini venne scarcerato pochi giorni dopo, grazie anche all’intervento fatto a suo favore dal Corriere della Sera, che aveva accusato il Governo di «uccidere un uomo morto».
E in effetti, Mussolini sembrava finito. I finanziatori tagliarono gli alimenti e il Popolo d’Italia perse una grande quantità di lettori. Gli storici attribuiscono alla sua amante di allora, Margherita Sarfatti, la sua resurrezione morale, alla quale seguì quella politica.
La sconfitta di Mussolini aveva ringalluzzito le sinistre, tanto che ripresero le scorribande e le azioni para rivoluzionarie, tutte peraltro senza una guida o un disegno preciso. E questo contribuì alla rinascita del fascismo, perché i borghesi si trovarono costretti a contare nuovamente su di lui e i lettori tornarono ad acquistare copie del Popolo d’Italia sperando di leggervi il contrasto alle rinate bande rosse.
I fascisti tornarono e gli scontri ripresero alla follia. Guardate cosa accadde a Bologna.
Il 7 novembre 1920, il Partito Socialista Italiano vinse con largo margine le elezioni amministrative, ottenendo una maggioranza del 58,2% dei voti dopo una campagna elettorale accesa e animata.
I fascisti avevano minacciato di non restare indifferenti e, quando videro issare le bandiere rosse bolsceviche in tutto il municipio di Bologna, scatenarono una aggressione aperta.
Nonostante il forte dispiegamento di soldati e forze dell’ordine, fascisti e socialisti vennero a contatto. Partirono due colpi di pistola, che i fascisti ritennero provenienti dal Palazzo Comunale. Scoppiò una guerriglia vera e propria e, quando i socialisti rimasti fuori dal palazzo provarono a rientrare nel comune, vennero scambiati per fascisti. I socialisti asserragliati dentro lanciarono alcune bombe a mano, uccidendo i loro stessi compagni.
Improvvisamente un disgraziato, mai identificato, cominciò a sparare contro i consiglieri di minoranza. Uno di loro morì sul colpo. Già che c’era, lo scellerato sparò anche contro i giornalisti presenti in aula.
Alla fine si contarono una decina di morti, per la maggior parte socialisti: uccisi dai fascisti, dai soldati e dalle bombe a mano dei consiglieri socialisti e da quello scellerato rimasto sconosciuto.
Alla fine la Polizia trovò nel comune di Bologna casse di granate. E le sequestrò.
Ed ecco cosa accadde a Roma.
Il 24 maggio 1920 gli studenti scesero in piazza a Roma per dimostrare a favore dell’annessione della Dalmazia e di Fiume, come promesso e non mantenuto dagli alleati prima della guerra.
In Via Nazionale le guardie regie spararono contro i manifestanti. Non si sa perché, dato che in molte ben più gravi occasioni non erano intervenute. E, dato che - come si usava allora - molti studenti erano armati, ne seguì una sparatoria inutile quanto assurda.
Morino 8 persone, tra le quali una ragazza di 16 anni.
A Empoli vennero uccisi sei marinai e due carabinieri, scambiati per picchiatori fascisti, o crumiri, dato che stavano facendo funzionare le ferrovie in sciopero.
Gli incidenti di Bologna, di Lodi, di Roma e di Empoli convinsero del tutto i borghesi che fosse necessario farsi difendere dai fascisti. E questo, allo Stato, stava anche bene perché risolvevano un compito che il Governo non amava affrontare. Però aumentarono gli scontri e aumentarono le vittime.
Di fatto, la violenza nera era meglio organizzata di quella rossa, forse proprio perché si trattava di reduci e arditi, esperti di tattica, abituati a comandare e a farsi ubbidire.
Fatto sta che le squadre d’azione fasciste nel 1921 distrussero 119 Camere del lavoro, 103 cooperative, 83 leghe agrarie, 141 sezioni socialiste, 17 tipografie rosse e 59 Case del popolo.
Le vittime furono centinaia.
Insomma, la Grande Guerra aveva indebolito, se non distrutto, il senso di legalità e il valore della vita.
Elezioni del 1921
Partito Socialista Italiano: seggi 122 – Partito Popolare Italiano: seggi 108 – Liberali giolittiani: seggi 58 – Fasci italiani di combattimento: seggi 37 – Associazione Nazionalista Italiana: seggi 12 – Partito Liberale Democratico: seggi 68 – Liberali: seggi 43 – Partito Democratico Sociale Italiano: seggi 29 – Partito Comunista d'Italia: seggi 15.
Seguono altri partiti minori.
Il Re provò a risolvere la situazione affidando il governo all’ormai 78enne Giolitti. Il quale, non riuscendo a raccogliere una maggioranza, chiamò le elezioni anticipate.
La data fu fissata per il 15 maggio 1921.
I socialisti persero 34 seggi scendendo a 122 assestandosi in una percentuale del 24%.
I comunisti elessero 15 deputati.
I popolari di don Sturzo ne presero 108, pari al 20% della camera.
I fascisti, che Giolitti pensava di aver fatto fuori definitivamente con le elezioni anticipate, presero 49 seggi, segnando il successo personale di Mussolini che a Milano prese 125.000 preferenze e alla circoscrizione Bologna-Ferrara-Ravenna-Forlì addirittura 172.000.
A quel punto Mussolini, spiazzando gli avversari, proclamò la fine delle violenze.
«Il bolscevismo è a terra – scrisse sul suo giornale, – inutile infierire.»
Una abile mossa politica che però non gli consentì di entrare nel governo e così falchi del suo partito si scatenarono.
Socialisti e popolari si misero insieme per eleggere Bonomi presidente del consiglio. Ma non durò molto.
I Popolari non volevano avere nulla da spartire con i Fascisti, mentre Giolitti aveva provato a coinvolgerli nel governo, sia per dargli un contentino, sia per tenerli sotto controllo. Ma non riuscì mai nell’intento perché Mussolini sentiva odore di vittoria. I suoi numeri in parlamento erano oggettivamente pochi, ma il partito Fascista aveva dimostrato di essere l’unico a tenere a bada la piazza.
Quindi, mentre il governo fu affidato all’onorevole Luigi Facta, un liberale d’altri tempi e incapace di gestire una situazione come quella di allora.
A guardare i risultati delle elezioni del 1919 e del 1921, non può sfuggire che il Parlamento italiano presentava un’Italia completamente mutata, con i liberali dell’800 sulla via del tramonto, e con l’avanzamento dei nuovi partiti che avrebbero caratterizzato «Il secolo breve», socialisti, popolari e fascisti.
Guido de Mozzi – [email protected]
Domani la quarta puntata col titolo «La marcia su Bolzano».
Le puntate precedenti a questo link.