«Il Palazzo del Diavolo», un romanzo che si legge in una notte

L’abbiamo letto: Riccardo Fox ha scritto un capolavoro di narrativa thriller contemporanea che si rifà a un fatto mai accaduto a Trento 450 anni fa

 PREMESSA
Come avevamo promesso alla presentazione (vedi articolo), eccoci a scrivere una recensione sul romanzo scritto da Riccardo Fox, intitolato «Il palazzo del Diavolo».
Desidero precisare che il sottoscritto ha vissuto e lavorato nel Palazzo del Diavolo fin dal lontano 1971, per cui conosce bene storie e leggende che hanno accompagnato il Palazzo Fugger-Galasso nei secoli.
Non nascondo che anch’io avevo pensato di scrivere un romanzo ambientato nel Palazzo, che effettivamente rappresenta una fonte inesauribile di sorprese. Poi non l’ho mai cominciato perché, vivendoci, mi era difficile uscire dalla realtà. Anche la mia impostazione, peraltro, partiva dalla leggenda per cui il castello e i palazzi della città di Trento sarebbero collegati da cunicoli segreti scavati in profondità.
La diceria, peraltro, non è mai stata verificata e pare addirittura improbabile che potessero esistere tali collegamenti, perché la città è percorsa da tante rogge che renderebbero pericoloso ogni scavo. Inoltre, quando sono stati effettuati gli scavi per il rinnovo dell’arredo urbano cittadino non è apparso nulla che potesse far pensare a passaggi segreti.
Il Palazzo invece ne ha e tanti. Senza svelare segreti che potrebbero intaccare la privacy di chi ci vive e lavora, ci sono molti corridoi nascosti nelle mura portanti della costruzione, voluti ufficialmente per consentire alla servitù di alimentare le stufe a olle senza infastidire i padroni di casa.
Cogliamo l’occasione per precisare che gli scalini delle rampe sono bassi perché chi l’ha fatto costruire voleva salire ai piani superiori a cavallo.
 
Il Palazzo è sorto sull’argine dell'Adige che scorreva nel lato nord, sul quale era sorto con un progetto da Fondaco veneziano. Il cancello, da dove oggi si entra con le auto, allora portava al fiume.
Il fondo era dunque cedevole, tanto vero che le cantine (che, contrariamente a quanto versato dall’autore Fox per motivi di narrativa, esistono in tutto il perimetro e hanno una profondità di 11 metri) dimostrano che già in fase di costruzione il palazzo ha cominciato a cedere. Chi ha la fortuna di accedervi, può notare che le colonne portanti sono inclinate verso via Torre Verde (dove c’era il fiume, appunto), ma sono controbilanciate da altrettante colonne messe fin da allora in posizione uguale contraria.
Come dice l’autore, la presenza delle cantine sarebbe stata pericolosa per via del vicino scorrere del fiume Adige. In effetti, a ogni piena l’acqua ha invaso le cantine. Sulla parte nord, esiste una targhetta che riporta la data e il livello raggiunto dall’acqua in una piena di fine Ottocento. Posso affermare che nell’alluvione del 1966 l’acqua arrivò alla stessa altezza. E, in entrambi i casi, le cantine vennero allagate.
Il pozzo che sorge a ridosso del porticato è profondo una decina di metri e sicuramente raccoglieva l’acqua filtrata del fiume.
I soffitti del palazzo sono alti sei metri, cioè il doppio di un palazzo normale. Le mansarde, dove viveva la servitù, hanno la parte più bassa di tre metri e la più altra di sei.
Il Salone delle Feste è alto due piani (e quindi 12 metri), lungo una quindicina di metri e largo 11. Forse è il più bel salone della città.
I portoni sono istoriati di altorilievi che raccontano le gesta del cpitano di ventura Galasso. Sopra all’ingresso principale è collocata una scultura portata via nel Sacco di Ferrara. D’altronde, sappiamo che il condottiero Mattia Galasso comandava una formazione dei Lanzichenecchi.
 
La leggenda vuole che sia stato costruito in una notte, grazie a un contratto stipulato da Georg Fugger con il diavolo. I genitori della futura moglie avrebbero concesso le nozze allo straniero a patto che avesse disposto subito una giusta dimora, all’altezza della famiglia Madruzzo. Pur di averlo per tempo (in una notte), il banchiere si era impegnato per iscritto col diavolo a consegnargli l’anima al momento del trapasso.
Con un trucco inserito nelle clausole vessatorie del contratto (il diavolo doveva raccogliere il numero esatto di chicchi di riso, uno dei quali era troppo vicino a un crocefisso), Fugger riuscì a non consegnare l’anima al Diavolo. Il quale, inferocito per lo smacco subito, sprofondò nell’inferno, annerendo un muro.
La morale della leggenda è «mai fidarsi dei banchieri, anche se firmano un contratto con cintura e bretelle».
Ma il muro annerito esiste veramente. Il giroscale dell’ala est del palazzo ha la parete nera. Noi sappiamo che si tratta dello spaccato delle mura medievali della città, che i costruttori avevano tagliato per far posto al palazzo. Tutte le antiche mura cittadine tendono ad annerire col tempo. Probabilmente si ossidano, come si può vedere nel piano interrato dei magazzini Nicolodi a Trento (sotto la Conad).
Che sia stato costruito in una notte, gli architetti che ne seguono la manutenzione del palazzo non hanno dubbi: sì, è stato costruito in una notte, «e si vede». Costruito con materiale inerte e di riporto, il palazzo è stato realizzato nell’ottica di fare presto. Le pietre che si vedono alla base del palazzo sono solo dei rivestimenti: usarle come pietre portanti avrebbe portato via troppo tempo.
Resta il fatto che il palazzo è durato nei secoli, alle alluvioni, agli incendi e ai terremoti.
 
 IL GIUDIZIO
Ciò premesso, devo dire che - pur avendolo letto con occhio prevenuto e critico - il romanzo non solo mi ha avvinto, ma mi è anche piaciuto molto.
Il romanzo è stato scritto in maniera felice, con precisione narrativa, senza punti morti o sfasature. Ogni frase richiama quella successiva, ogni capitolo ti invita a passare a quello dopo.
Insomma, come si dice, lo si può leggere tutto d’un fiato.
I personaggi che ha creato, compresi quelli storici realmente esistiti, hanno una loro corretta connotazione, un ruolo preciso e il loro comportamento è coerente.
Il personaggio principale e il suo comprimario (Matteo Ranzi e Clara Stella) sono persone di cultura credibili, al punto che credi a tutti gli avvenimenti narrati. I due caratteri sono mantenuti con maestria per tutto il racconto e articolati con grande capacità narrativa.
La suspance è attivata all’inizio e si smorza solo alla fine. Il passato storico si intreccia con il presente in modo piacevole e senza imporre al lettore un cambio di attenzione.
 
Non sappiamo perché l’autore Riccardo Fox abbia collocato la nascita del palazzo nel 1602, quando la targa apposta sulla parete che dà su via Manci indica il 1581.
Però ha declinato in maniera decisamente corretta tutti gli avvenimenti storici così bene, che tutto il resto scompare in secondo piano.
Ha articolato le lunghe sospensioni del Concilio di Trento in modo più che credibile, ma la misteriosa morte di Sigismondo Thun è un capolavoro: deceduto effettivamente in un incendio scoppiato nella settimana santa del 1569, a causa di una gotta che gli impediva ci scappare, Sigismondo sarebbe stato ucciso per ragion di stato.
L’autore cita pure (in appendice) le colubrine acquistate da Sigismondo a difesa del castello di Thun. La Provincia è riuscita ad acquistarne due di originali. Noi avremmo aggiunto che tale armamento, assunto in pieno Concilio di Trento, la spiegava lunga sul clima che si respirava in quel tempo.
Fox non ha citato Bernardo Clesio, o meglio lo ha solo citato. Nella sua vicenda non aveva ruoli, ma sarebbe stato simpatico ricordare che il Concilio di Trento l’aveva preparato lui, anche dal punto di vista urbanistico e logistico, ma che purtroppo morì anzitempo ucciso dal morbo gallico.
Anche la città subì un grande influsso grazie al Concilio, che traghettò il Trentino dal Medioevo al Rinascimento. 
 
Fox ha dimostrato di conoscere la storia, intrecciando fantasia e realtà in maniera così credibile da sentirsi in dovere di separare in appendice il vero dal falso. 
Un particolare stuzzicante, equilibrato quanto realistico, parla di «peli che sfrigolavano». Attirerà indubbiamente le ire dei bempensanti, ma secondo noi è risucito così a rispondere correttamente a un'aspettativa che aveva caricato fin lì.
In realtà, però, ci pare impossibile esprimere altri giudizi senza violare la necessaria riservatezza sulla portante del romanzo. Sarebbe come dire al’inizio di è l’assassino.
Però dovete crederci se vi invitiamo a leggerlo senza timore di annoiarvi.
Riccardo Fox sa scrivere e certamente leggeremo altre opere uscite dalla sua tastiera. Creatività che nasce comunque da un basamento culturale non da poco. Ha dimostrato di conoscere bene la storia del nostro Trentino e del Paese, al punto di manipolarla come portante utile alla sua storia.
I nostri complimenti, con l’augurio, appunto, di leggerlo ancora.
 
G. de Mozzi