La parola che ogni governo vuole esorcizzare: «Autarchia!»
Ma le tentazioni protezionistiche sono enormi in tutto il mondo, travolto da una recessione che potrebbe portare alla depressione
Abbiamo notato che la parola
«Autarchia», citata da noi nel corso della conferenza stampa di
venerdì scorso per commentare l'invito di Dellai a «consumare
trentino», ha fatto presa soprattutto presso la stampa. Il
Presidente si era affrettato a smentire qualsiasi riferimento
all'Autarchia, memore del significato che porta con sé, ma forse
proprio per questo è bene spendere un paio di parole per spiegarla,
prima di rapportarla al giorno d'oggi.
Il termine «autarchia» definisce il concetto di autosufficienza
economica di una nazione, nel quale non sono ammesse relazioni
commerciali (né interscambio culturale) con ![]() Di solito era il pericolo di una imminente dichiarazione di guerra che spingeva i Paesi a far proprio il principio economico sulla base del quale una nazione doveva mettersi in grado di produrre autonomamente tutto ciò di cui ha bisogno. In Italia, invece, fu adottata una politica autarchica come risposta alle sanzioni economiche (e quindi il blocco del commercio) imposte dalla Società delle Nazioni per l'invasione italiana dell'Abissinia. Erano venuti a mancare i rifornimenti essenziali, come petrolio, carbone, ferro, gomma, lana, caffè, cotone. Il Duce, quindi, non aveva fatto un grande sforzo a prendere la decisione di imporre l'autarchia, dato che comunque nessuno (almeno sulla carta) avrebbe dovuto tenere rapporti commerciali con il nostro paese. Di conseguenza, non potendo evitare le sanzioni che potevano incidere in maniera pesantemente negativa sulla sua immagine, se ne fece il promotore. Il popolo fu dalla sua, convinto che la colpa fosse dell'Inghilterra e fiero che il Duce «se ne fosse fatto un baffo» (termine fascistissimo, come il «me ne frego», il «tireremo diritto, il «me ne infischio», ecc.).
In realtà, non solo i Paesi non aderenti alla Società delle Nazioni ma anche la stessa Inghilterra non cambiò in maniera significativa le proprie abitudini commerciali con il nostro Paese, né una sola nave della Royal Navy provò neanche lontanamente a progettare un blocco navale. Fatto sta che gli Italiani in quel periodo scoprirono il tessuto di orbace al posto del cotone, il caffè di orzo al posto di quello tradizionale, il ferro recuperato addirittura dai fortini dismessi, e così via. Il miracolo fu che il popolo italiano reagì in maniera così compatta da superare perfino le migliori aspettative. La Lira, che dalla primavera del 1927 si era portata a «quota 90» (cioè per acquistare una Sterlina bastavano 90 Lire) rallentando i rapporti internazionali della nostra economia, aveva sostanzialmente preparato il terreno ad un periodo di autarchia economica. Gli aspetti negativi dell'Autarchia si possono immaginare senza difficoltà. Il risultato positivo dell'autarchia fu lo sviluppo della ricerca scientifica soprattutto nella chimica, in cui grande ruolo ebbero l'Istituto Guido Donegani, la Società Agricola Italiana Gomma Autarchica, e l'Anic. Con il dopoguerra la politica economica mondiale si orientò al libero mercato e in breve furono aboliti tutti gli istituti e le normative basati sull'autarchia. Oggi le situazioni di autarchia sono molto rare. Difatti, una delle caratteristiche fondamentali che hanno caratterizzato i governi democratici che si sono succeduti nell'ultimo dopoguerra, è quella dell'interdipendenza sia politica che economica, che ha trovato la sua più ampia e valida espressione nella costituzione dell'Unione Europea. La politica a cui i governi europei si sono ispirati, è dunque esattamente l'opposto di quella autarchica. Ad una politica isolazionista hanno contrapposto una politica di apertura e collaborazione internazionale. Gli storici (ma, si badi bene, non gli economisti) hanno condannato senza appello l'Autarchia, motivando la sentenza sul fatto che i benefici sono stati molto inferiori ai sacrifici. Noi non siamo così manichei e anzi siamo propensi a pensare che la prossima generazione, quando il Ventennio potrà essere discusso senza le pressioni emotive che inevitabilmente portiamo ancora con noi, riuscirà a commentare più serenamente quel periodo fortunatamente irripetibile. |
Era dunque evidente che nelle parole del Presidente Dellai, che tramite la stampa invitava i Trentini a «consumare trentino», non ci fosse nulla di ispirato all'autarchia. Però ci sono lo stesso alcune considerazioni da fare.
La prima è che il suio è stato un «invito» e non certamente un diktat. Mentre l'autarchia parte da una condizione di fondo ineluttabile (o perché ti isoli o perché sei isolato), l'invito di Dellai è un'esortazione al puro buonsenso: ae dobbiamo favorire il PIL locale, non fa male ricordare che la scelta di prodotti non trentini non lo favorisce. E dato che l'origine geografica dei prodotti non è una variabile presa in buona considerazione dai consumatori, ha fatto bene a ricordarlo.
La seconda è che se Dellai si ispira al buonsenso, il resto del Mondo sta proprio virando in maniera pericolosa proprio l'economia chiusa. In testa a tutti Spagna, USA, Francia, Gran Bretagna. La Spagna merita un discorso a sé (vedi oltre). Ma Obama non si è fatto problemi a esortare i cittadini americani a «consumare USA», la Francia è pronta a spendere miliardi di euro per aiutare «tutti gli stabilimenti in territorio francese». Gli operai della Gran Bretagna hanno attivato un duro sciopero per impedire agli 80 operai italiani di lavorare per costruire la famosa piattaforma petrolifera il cui appalto è stato regolarmente vinto da una compagnia siciliana (alla faccia di Gordon Brown che li condanna…).
La terza sta nel fatto che la spirale strisciante di autarchia, non voluta ma predicata, rischia di generare nuovi isolazionismi, con i vari governi che faranno gara a chi aiuta di più le proprie industrie e le proprie banche, a discapito di quei paesi che più dipendono dall'estero.
Insomma, non ha tutti i torti la Merkel a volere la costituzione di un organismo mondiale sulla falsariga del'ONU che impedisca il ritorno all'isolazionismo.
Soffermandoci un attimo alla Spagna (che il vicepresidente Pacher ha citato per giustificare l'appello di Dellai), vogliamo ricordare che è la più grande nazione europea che produce generi alimentari strettamente in concorrenza con quelli italiani e che si sta comportando in maniera che «naturalmente autarchica», col vantaggio (per la Spagna) che in questo momento si trova in posizione di superiorità commerciale nei nostri confronti. Gli agrumi spagnoli sono sempre più presenti nei supermercati italiani, il turismo in Spagna fa sempre più concorrenza all'Italia, le grandi marche italiane di olio di oliva sono ormai proprietà dei produttori di olio spagnolo.
Pensate, marchi storici come Bertolli, Carapelli, Dante, Sasso… sono stati da tempo comperati dagli Spagnoli che producono olio in quantità industrializzata grazie anche alle pochissime varietà di ulivo che coltivano contro il migliaio di diversi cultivar italiani. E dato che la legge non obbliga a precisare la provenienza dell'olio quando questo è europeo, disciplinando solo la definizione nazionale al 100 percento, troviamo perfino sugli scaffali USA il Bertolli (in bottiglia di plastica che l'Italia non avrebbe mai adottato) che gli Americani credono italiano.
E si arriva così il paradosso di un'offerta che il Poli metterà in atto dal 3 al 16 febbraio: Un litro di olio di oliva della Monini (ditta italiana) viene proposto a 3,99 euro, cioè più caro dell'olio extravergine di oliva della Bertolli (ditta ormai spagnola) che costa 3,95 euro.
Questo per dire che la politica delle acquisizioni nei tempi di vacche grasse ripaga ampiamente nei tempi di vacche magre. Noi personalmente abbiamo sempre approvato le cantine trentine che hanno acquisito tenute in Sicilia, in Toscana e in Veneto, mentre è ancora bruciante il ricordo di Cavit che voleva acquistare la Mionetto e che ha dovuto rinunciarvi sotto la pressione dell'opinione pubblica trentina.
Per tornare invece all'esortazione del presidente Dellai, dunque, secondo noi è doveroso appoggiarla. Il riferimento che abbiamo fatto all'Autarchia era provocatorio, perché anche noi sappiamo che il Trentino dipende in gran parte dal resto del Mondo e perché crediamo alla forza democratica di un mercato globale libero. Per contro, sappiamo anche che costa molto poco consumare anzitutto quello che il Trentino produce.
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