Da Bari: «Giovani, risorsa ampiamente sottovalutata in Italia»

All’anteprima del Festival dell’Economia affrontato uno dei temi caldi del Paese

Con la lettura della dichiarazione di «vicinanza ai giovani del sud in questo giorno di dolore e smarrimento» del presidente della Provincia autonoma Lorenzo Dellai a nome di tutto il Trentino è cominciato ieri il secondo incontro dell’anteprima del Festival dell'Economia a Bari.
Giuseppe De Tomaso co-direttore della Gazzetta del Mezzogiorno, introducendo l’incontro ha sottolineato, riprendendo un concetto espresso dal presidente Dellai, che «combattere la criminalità per dar voce alla legalità e alla cultura del rispetto è appunto incentivare manifestazione come quella del Festival dell’Economia di Trento».
 
Al tavolo dei relatori si sono avvicendati Tito Boeri, direttore scientifico del Festival, Paolo Collini preside della Facoltà di Economia di Trento, Roberto Cingolani direttore dell'Istituto Italiano di Teconologia (IIT) di Genova, Guido Romano Economista, responsabile dell’Ufficio Studi e Relazioni Esterne di Cerved Group, Fabiano Schivardi docente di Economia politica presso l’Università di Cagliari e fellow dell’Einaudi Institute of Economics and Finance (EIEF), del CEPR, del Centro Ricerche Economiche Nord Sud (CRENoS), Innocenzo Cipolletta presidente dell’Università degli Studi di Trento, Alessandro Laterza Amministratore delegato Gius.
 
Laterza & Figli Spa e Tonia Mastroboni giornalista de La Stampa e curatrice di Incontri con l’autore del Festival.
Nichi Vendola in programma per la tavola rotonda di conclusione dell’incontro non è ovviamente potuto intervenire per la concomitanza della manifestazione svoltasi a Brindisi e in tante altre città italiane in conseguenza del barbaro attentato di Brindisi.
 
Tito Boeri intervenendo all’incontro ha ringraziato Borgomeo e Viesti per aver arricchito la mattinata con il racconto di interessanti esperienze imprenditoriali.
«Mattinata purtroppo rattristata dall’atroce gesto di Brindisi. Le testimonianze di stamane non hanno svalutato la fatica e le difficoltà di realizzarle in un Paese che sta vivendo questa recessione con grandi difficoltà e disagio. Le caratteristiche di questa recessione sono molto più sentite dalle famiglie perché la recessione colpisce soprattutto i consumi delle famiglie e si è molto meno preparati a gestire questa crisi.
«I dati dell’ISTAT sono allarmanti. La recessione porta la distruzione delle imprese e ricostruire il tessuto imprenditoriale è molto difficile. Dalle testimonianze di stamane emergono alcune parole chiave: le idee, la determinazione, la testardaggine di portare avanti le idee e la rapidità sono tre fattori cruciali. Le relazioni di questo pomeriggio riguardano i casi medi, quelli con i quali dobbiamo fare i conti tutti i giorni, mentre quelle di stamane erano esperienze di successo. E’ importante anche trasmettere degli stili, dei modi di comportamenti per far fronte a queste difficoltà.»
 
Paolo Collini, preside della Facoltà di economia di Trento ha evidenziato come «la voglia di mettersi in gioco non si impara sui banchi dell’Università. Il percorso del giovane imprenditore o imprenditrice non è più come prima: tutto è cambiato».
«Il meccanismo della rete imprenditoriale che è mancato – ha aggiunto – è quello della specializzazione è la rete geografica è molto meno importante di un tempo perché la tecnologia ha messo in rete il mondo. Tutta una serie di condizioni che hanno precedentemente contribuito a tessere il tessuto imprenditoriale ora sono molte diversi e il percorso imprenditoriale è molto differente. E' vero che il tema della velocità è forse uno dei fattori più importanti e il nostro Paese non sembra brillare in questo senso. Ora la capacità imprenditoriale si misura sulle idee. Lo studio di questi percorsi è un modo per capire come possiamo aiutare le idee ad essere realizzate. Credo che la matrice di affermarsi socialmente, mettendosi in proprio, sia stata, per lo meno per il Veneto, una matrice molto importante.»
 
Roberto Cingolani direttore dell’IIT ha illustrato con un filmato «una strana storia», gli androidi che l’Istituto produce (che sarebbero già pronti per l’industrializzazione) e che potrebbero essere molto utili in tante applicazioni.
Dalle celle solari si è arrivati a impiantare sui ratti delle particelle magnetiche che possono contenere al loro interno degli antitumorali e altri medicinali per rilasciarli nella zona malata.
«Da una gamba meccanica (primo androide) si è arrivati a qualcosa che opera come un robot nel corpo umano. – Ha detto. – Altre applicazioni sono state sperimentate sulla carta che può diventare magnetica, piuttosto che antibatterica. Perché vi ho fatto vedere queste cose? A differenza di quando si fa nel software, quando si opera nell’hardware si arriva a creare tecnologie sempre meno settoriali. Molto di ciò che vi ho fatto vedere necessita di infrastrutture.
«Che cosa bisogna fare per arrivare a risultati utili per l'uomo? E’ necessario capire come si quantifica l’opera, e poi bisogna tenere sotto classifica queste nano start up. Bisogna rispondere a tutta una serie di domande: il mercato ha bisogno di quello che si sta studiando? C’è possibilità di progresso delle nano start up? Come è la strategia del nostro Paese in questo ambito? E’ probabile che i prossimi anni ci riservino qualcosa di meglio di ciò che stiamo vivendo ora in questo campo.»
 
Guido Romano, intervenendo all’incontro, ha posto l’attenzione su giovani e imprese con uno studio illustrato da slide.
«I giovani sono una risorsa ampiamente sottoutilizzata nell’economia italiana e la crisi ne ha aggravato la situazione. Sappiamo che l’età media degli imprenditori italiani è in continua crescita. La bassa presenza femminile ai vertici delle imprese ha destato un interesse enorme. Diversi studi hanno dimostrato che le imprese con board eterogenei sono molto meno rischiose e hanno ottime performance aziendali.
«Tre i ruoli dei giovani che analizzo: gli amministratori e capi (per esempio amministratori delegati) e dirigenti (particolari responsabilità e autonomia gestionale). Tra le nostre informazioni abbiamo anche quelle degli organi sociali. Quanti sono i giovani ai vertici delle aziende italiane? Il 90 per cento hanno già di 40 anni. L’esperienza è un requisito fondamentale per diventare capi. I dirigenti, in media, hanno un'età verso i cinquant’anni. Gli under 30 e under 35 non ci sono nelle imprese italiane.
«Le imprese giovani che hanno ai vertici persone sotto i 40 anni sono 1.500 con una prevalenza al sud Italia. Il 35 per cento delle imprese under 40 è stato costituito da meno di dieci anni, quindi ciò vuol dire che sono il frutto di imprese di successo. Le imprese guidate da under 40 hanno più ricavi e hanno un peso di rischio maggiore delle altre. Le imprese dei giovani sono innanzitutto più piccole, si trovano localizzate prevalentemente al Sud, più spesso sono frutto di esperienze di recente costituzione e sono più rischiose.
«La crisi ha promosso o frenato l’accesso dei giovani ai vertice delle imprese? L’incidenza degli under 40 è diminuita in maniera importante mentre è aumentata quella degli over 60. Molti fattori agiscono su questo fenomeno. Il crollo degli under 40 non si può attribuire alla crisi. Rispetto al turnover tra i capi, questo fattore ha costituito una componente positiva favorendo il ricambio ai vertici delle imprese con persone under 40.
«Le difficoltà dell’economia non hanno permesso un ricambio. I giovani sono scarsamente rappresentati, in misura maggiore delle donne. In questo caso (donne) grande dibattito che ha portato alla legge sulle quote rosa. Under 30 e under 35 non sono presenti o lo sono solo come amministratori, laddove c’è una vera responsabilità di impresa. Gli over 40 sono un po’ di più. Fra i dirigenti ci sono un po’ più di donne.»
 
È poi intervenuto Fabiano Schivardi che ha illustrato uno studio sul fatto se si può imparare o meno a diventare imprenditori.
«Oggi ho imparato molto e ho appreso che spesso noi economisti siamo in ritardo sui fatti. Abbiamo parlato soprattutto di hightech però ricordiamoci che il nostro sistema imprenditoriale non è basato su alta tecnologia. I sistemi locali italiani sono diffusi soprattutto al Nord, man mano che si scende al sud la diffusione si dirada sebbene la Puglia, invece abbia un buon tessuto imprenditoriale. Dopo decenni di politiche per lo sviluppo del sud non si è stati in grado di realizzare un tessuto imprenditoriale vero che riesca ad autosostenersi.
«Al sud è più difficile essere imprenditori e ci sono meno capacità/abilità imprenditoriali. Dagli studi fin qui fatti l’imprenditore si impara stando in un posto dove ci sono altri imprenditori e vi è una sorta di apprendistato sociale. Le abilità imprenditoriali si acquisiscono di più quando si ha un’età verso i vent’anni e si imparano dove c'è una diffusione alta di imprenditorialità: formarsi professionalmente in questo clima è un fattore determinante per diventare poi imprenditore.
«Il punto è che non possiamo pensare solo a una politica pubblica ma bisogna incentivare la partnership pubblico-privato. Da questo punto di vista il nostro Paese è in ritardo, servono nuovi operatori finanziari e anche se questo non ha ora buona stampa, la finanza è stata fondamentale in passato per il processo di sviluppo. La ricerca e la sperimentazione sono fondamentali e servono molto per promuovere lo sviluppo.»
 
In chiusura sono intervenuti dapprima il presidente dell’Università degli Studi di Trento Innocenzo Cipolletta che ha fatto il punto su quanto detto durante le relazioni.
«Noi abbiamo costruito la nostra crescita anche attraverso la finanza. Oggi stiamo parlando di imprenditoria con relazioni di grande interesse, di ambiti verso i quali l’imprenditoria sta andando. Abbiamo visto il ruolo dei giovani, dell’università e che direzione dobbiamo prendere per creare sviluppo.
«L’Italia non è un paese a scarsa imprenditorialità, tutt’altro. Quello che manca a noi è la capacità di crescere da parte delle imprese, capacità che deve essere supportata dalla finanza e dalle capacità imprenditoriali. L’imprenditore nasce all’interno di un ambiente favorevole all’impresa e da questo punto di vista noi abbiamo un bacino limitato perché la nostra impresa si fa in ambito familiare. Il mondo delle imprese fa pochissima attività formativa e qualche volta lo considera una cosa contro natura.
«Auspico – ha continuato il presidente Cipolletta – che il mondo delle imprese possa sviluppare una politica per far nascere le imprese. La seconda considerazione è quella che ha portato Cingolani come esperto: il mondo dell’Università è tornato ad essere una fucina di imprese. Negli anni Cinquanta e Sessanta aveva perso questa bella opportunità. Cingolani ci dice anche che sono i problemi che guidano la Scienza. Dovremmo affrontare i problemi che guidano la crescita e lo sviluppo delle imprese come fattori determinanti per fare imprenditoria e sviluppo.»
 
Poi ha preso la parola Tonia Mastrobuoni che ha detto «di essere una minoranza nel consesso prestigioso di questo appuntamento del Festival». Ha ricordato come nel 1885 Matilde Serao fondò il Corriere di Roma.
«È talmente raro questo fatto che il quadro nel mio ambito specifico (giornalista) è deprimente. Nella gerarchia dei giornali la presenza femminile è sempre più rarefatta. Stamattina io ho imparato moltissimo dagli interventi e la presenza delle donne rispecchia quella nazionale. Nel Pubblico, In Italia, solo l'11,9 per cento sono donne manager, le donne imprenditrici il 23,9 per cento.
«Nel Mezzogiorno c’è una percentuale maggiore il 26,9 per cento con il Molise in testa. La presenza delle donne nelle società italiane quotate in borsa è bassissima. Queste e altre sono cifre che dobbiamo tenere a mente quando parliamo di donne. Possiamo dire che ci sono per le donne ci possono essere incentivi o ostacoli. Gli incentivi in Italia funzionano e le esperienze di stamattina ce lo dimostrano. I problemi sono gli ostacoli: è un dato di fatto che dove le donne amministrano c’è meno propensione a fallire.
«In genere la gestione femminile dei soldi è più oculata, ma allora se è vero tutto questo perché oltre metà delle imprenditrici italiane hanno molte più difficoltà di accesso al credito e perché a loro applicano maggiori interessi che agli uomini? E ancora, se le donne sono accompagnate in banca da uomini vengono applicati interessi più bassi, mentre se vanno in banca da sole l'interesse è più alto. Questo è un mistero incredibile. Dobbiamo cominciare a considerare le donne come opportunità per questo Paese.»
 
Alessandro Laterza, a questo proposito, pensa «che ci sia un pregiudizio di genere giocando sul fatto che ci sia una minore propensione all’imprenditorialità delle donne».
«C’è oggettivamente un pregiudizio di genere – ha aggiunto Laterza – ed è necessario riconsiderare questo tema e questo problema. Io vengo da un’associazione territoriale, Confindustria, dove non c’è nessuna quota rosa e arrivo a pronosticare che la prossima presidente sarà donna. Il rapporto di Union Camere descrive il Mezzogiorno con una classe di imprese giovanile molto numerosa al Sud e con le prime 16 province per imprenditorialità giovanile sempre localizzate al sud con, in testa, Enna.
«Non è vero, quindi, che i giovani che rimango al Sud appartengono a una categoria che non vuole fare, tutt'altro. Io questo dato lo leggo con gli effetti positivi, col desiderio di trovarsi una strada qui. Più complicato è del come. Può darsi che si debba scommettere di più su questa cosa rischiosissima che si chiama spin off universitarie (gli spin off sono piccoli e molto a rischio) ma sono dell’avviso che dobbiamo avere una visione costruttiva e quindi non solo incoraggiare per le esperienze che ci sono, ma fare anche associazioni imprenditoriali per insegnare a fare impresa.
«Concludo con una questione importante: per piacere, lo dico ai miei concittadini, non è vero che nel Mezzogiorno arrivano più soldi che al centro nord. Ogni cittadino al sud ha ricevuto nel 2011 € 7.700, al nord poco più di 9.000. Al Sud, non produciamo abbastanza ricchezza per ricevere gli stessi soldi del Centro-nord. Se cresce il Sud cresce il Paese, non è un messaggio pubblicitario, ma una grande opportunità.»