Modi de dir 'n trentìm/ 32 – Di Cornelio Galas

32ª puntata dei modi di dire e frasi fatte della tradizione dialettica trentina

SÈNTETE ZÓ – (El se sènta zó, sentéve zó quando si usa la forma di cortesia) - Invito a prender posto in una stanza. Tipica frase utilizzata per accogliere ospiti in casa.
Di solito segue un’offerta: «Dai che ’ntant meto su la moka». Attenzione alla risposta: «me sènto zo» significa anche essere giù di morale oltre che l’accettazione dell’invito a sedersi. Quindi bisogna semmai precisare: «Và ben, grazie, me sènto zó alòra». Per non ingenerare equivoci sul proprio stato d’animo, s’intende.
Quel «zó» è fondamentale per indicare la sedia e non altro. Che magari nol se senza su.
 
SMÒRZA TÙT – Tipica frase che chiude una sessione di lavoro. Non solo in ufficio. Si tratta proprio di spegnere la luce e andar via. Quel «zó» sta per giù, nel senso di portare l’interruttore generale in posizione «off». Che non vuol dire uovo in questo caso, ma in trentino serve per ricordarsi che «on», l’altro bottone, lascia invece acceso l’impianto.
Ovvio che «méti su l’òff» potrebbe significare anche mettere un uovo in padella e accendere (ecco che serve l’on) il gas.
 
SMÒRZA SÙ TÙT – Frase simile a quella sopra, ma più secca, volitiva, categorica. Si dice di solito quando si è incazzati di come è andata la giornata lavorativa.
 
L’È ZÓ CHE ’L TRÀPOLA EN CÀNEVA – Non vuol dire che qualcuno è rimasto intrappolato in cantina. Semplicemente: sta facendo bricolage. Cioè non qualcosa che rientra nella sua attività primaria. Ma un hobby, di cui a chi te lo dice non dà molta importanza.
 
MÀGNELO? – Interessamento sull’appetito altrui. In genere l’oggetto è qualcuno che ha avuto problemi di salute e che quindi si sta gradualmente riprendendo.
Ma si usa anche per i bambini. «Se el magna e sta ben».
 
STÀME ARÈNT – Stammi vicino. Stammi di fianco, altrimenti si direbbe «stàme drìo». Di solito si usa quando si deve insegnare qualcosa a qualcuno. Può essere un ottimo consiglio per non perdersi tra la folla ma, soprattutto con i bambini, anche un ordine per evitare i pericoli della strada. In quest’ultimo caso si può dire anche «stà denòr ala straa», ovvero stai vicino al ciglio della strada.
 
M’È’ VEGNÙ EN RÉCIA… – Ho sentito dire. Solitamente pettegolezzi, gossip popolare. Ma perlopiù si tratta di male lingue, di cattive notizie.Inutile chiedere la fonte di queste notizie. Anche perché di solito quando a qualcuno «l’è vegnua ’n recia», vuol dire che quell’indiscrezione ormai ha fatto il giro del paese. Insomma la sanno tutti tranne magari l’interessato.

EL CIAPO PER NA RÉCIA… – Lo castigo, gli faccio un culo così.
 
DAI CHE NÉM FORA A FAR ’NA GHEBÀDA – Invito a uscire (dopo il divieto nei locali pubblici) per fumare insieme una sigaretta. Ghèba sta anche per fumo. «Che ghèba che gh’è en cosìna… Vara che me sa che se brusa qualcòs nel forno».

HO FÀT SU EN GHEBÓN – Come sopra, ma in senso figurato. Come dir che ho «smissià» le carte per confondere le idee.
 
LÀSSEL NEL SO BRODO – Lasciar qualcuno nei suoi guai, nella sua situazione, nel suo egocentrismo soprattutto. Persona che non aveva voluto sentir ragioni prima di mettersi nei guai.

VÈGNO SÙBIT – Rassicurazione ipocrita di chi è già in notevole ritardo all’appuntamento. La «spósa», per esempio, quando stai per uscire e lei è ancora in camera.
 
I ZINQUE MINUTI DEL BARBÉR – Corrispondono a circa 15 minuti di orologio. «Quant se ghe vòl?» «Oh, zinque minuti.»
 
SE PRÒPRI PRÒPRI… – Ammissione palese del fatto che si è costretti, controvoglia, a fare qualcosa.
 
VÀRA, EL FÀGO SU LA ME PÈL… – Lo dice di solito il bancario quando ti lascia sbordare di un po’. Ovviamente la pelle è sempre del cliente.

M’È VEGNÙ LA PÈL DE GALINA – Brividi (sgrisoi), per uno spavento. Ma anche per il freddo. Dalla reazione della pelle e soprattutto dei peli alle variazioni termiche.
«Vara tì, l’è istà e g’hò la pèl de galina dal frét». Per il freddo anche «Bagolàr dal frét».
A volte lo si dice anche se in realtà non ti viene la pelle d’oca, lo dici per spiegare che la situazione ti spaventa.
 
ME CÀVO FÒR – Non si tratta di estrarre da soli i denti o chiamarsi fuori da un contesto, da una situazione. Semplicemente sta per spogliarsi. Non per esibire nudi integrali, almeno non nella maggioranza dei casi. Può essere anche la necessità di mettersi comodi. O di tirar via indumenti che fanno sudare.
Vale anche nella seconda persona singolare: «Càvete fòr», spogliati, togliti la giacca.
 
TE SAVERÒ DIR – Rinvio di un giudizio. In attesa di una concreta analisi personale. Vale anche nell’altro senso del dialogo («Sàpieme dìr come l’èi nada…»).
È anche una risposta di chi non vuole dare una risposta.
 
MA SE PÒL? – Ma si può? Non necessariamente con la descrizione di quello che si intende per impossibile. Ad esempio, passa una persona completamente nuda in una via del centro. Il commento: «Ma se pòl?».
 
SE TE M’EL DISÉVI … (o SE ‘L SAVÉVO) – Il senno di poi. Mancata informazione preventiva che annulla a posteriori determinati vantaggi. «Se te m’el disévi prima, de pomi che n’avevo a casa fin che te volèvi….senza nar a comprarli».
Vale anche per l’aiuto (probabile ma anche improbabile) a chi ne aveva bidogno.
 
DÀMEL DRÌO – Non è l’invito, masochistico, a farsi fare del male sulla schiena o nel fondoschiena. Semplicemente si tratta di farsi consegnare qualcosa che serve. «Dame drio el martèl che i ciodi i gò zà…».
O anche in caso di persona da accompagnare «Dame drio el putelòt che ‘l porto a l’asilo».
 
L’HAT PU VIST TI? – Denuncia implicita di scomparsa di qualcuno che doveva pagare qualcosa. O di un amico che non si fa più vedere da tempo. «Gò chi ‘n so cont lonch come l’an de la fam… l’hat pu vist ti?»
 
STA CAMERA CHE ME PAR ’NA STÀLA – Il significato è chiaro. Ma di solito lo dice il papà al figlio quando entra nella sua camera.
 
HAT MOLÀ? – Se la domanda è posta con due dita che chiudono il naso vuol dire che la puzza si sente e quindi si tratta di gas intestinale. Se si è in due, proviene dall’interlocutore. Che comunque negherà sempre l’evidenza («Mì no veh…ma vara che forsi l’è le fogne, vol dir che cambia ’l temp»).
 
COM’ÈLA, COME NO ÈLA… Ineluttabilità del destino. Interrogativi senza risposta che possono riguardare anche il passato («Com’èla stada come no èla stada…»). Anche per le partite di giro in ambito finanziario: Dàmela, tòmela…
 
CIAPAR SÙ LE SO STRAZZE… – Prendere tutto quello che si ha e - di solito -– andarsene, uscire dalla porta, senza più tornare.
 
TE SAVERÒ DIR – Implicita ammissione di dubbio su una determinata proposta. Fa il paio, quando si vuol uscire da un negozio senza acquistare alcunché, con «Ghe penso su…» o «Gh’en parlo a me marì…».
Si usa anche per rispondere negativamente ma con eleganza a una proposta.
 
VÀRA CHE TE FAGO NAR VIA SGHERLO – Minaccia classica. Ti azzoppo. Sgherlàr: azzoppare. «Vara che te fago nar via sghèrlo se te me roti ancora i zebedei…»
 
VÀT E GIRO CO’ LE FÈRLE? – Sei azzoppato? Le fèrle sono le stampelle.
 
SLONGÀR ZO LE SGHÈRLE – Morire. sic et simpliciter.

TE DAGO NA SGIÀVELADA – El «sgiàvèl» è il giavellotto ma anche bastone, randello.
«En sgiavèl» sta anche per una grande quantità di cose: «t’en dago na sgiavelàda.»
Per esteso, el «Sgiavelòn» l’è chi va sempre in giro con intenzione cattive.
 
I NOMI DEI COIONI SE I TROVA SCRITI SU TUTI I CANTONI – Chissà se ci si riferiva alle… campagne elettorali. Esclusi i presenti, ovviamente.
 
BÓLP – Volpe. «Ah l’è ‘na vecia bólp…» - «Via, t’hai copà la bólp…» si dice alla zia che ha la pelliccia intorno al collo.
 
SMACÀR EL BÓRTOL – Il bortolo sta per Bartolomeo. Ma anche per deretano, sedere, culo. «Smacàr el bòrtol»: battere sul sedere per punizione ai bambini. Sculacciare. «Vara che te smaco ’l bórtol neh…»
 
CAGADÙBI – Persona confusa, piena di dubbi. Che non decide mai.