Gli adolescenti, la scuola, la guerra – G. Maiolo, psicoanalista
Si studiano più facilmente le guerre puniche che la seconda guerra mondiale. E si tace su questa di oggi che potrebbe diventare la terza
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«Qui a scuola non parliamo di guerra perché ci hanno detto che non vogliono farci terrorismo psicologico.»
«Non è il massimo parlare della sofferenza che vediamo in questo periodo, ma è impossibile star lontani dall’informazione.»
Sono due frasi che mi sono sentito dire in questi giorni dagli adolescenti di una scuola che incontro per un laboratorio sulla comunicazione.
Devo dire che queste loro parole mi hanno colpito perché esprimono l’urgenza di confrontarsi sulla guerra e capire quello che sta accadendo, ma anche dire ciò che sentono.
E poi sorprende quella evidente scollatura che segnalano tra la vita che accade negli immediati dintorni e la scuola che invece tace.
Si studiano più facilmente le guerre puniche e in parte si affronta la seconda guerra mondiale, ma si tace su questa di oggi che potrebbe diventare la terza.
Tacciono gli adulti che hanno paura di affrontare il disagio e la sofferenza, quando invece è fondamentale dare spazio ai pensieri difficili e alle emozioni forti che produce una guerra così vicina e piena di incognite.
Se li lasci parlare, quegli adolescenti ti dicono che tra di loro si confrontano, per fortuna, ma anche che hanno bisogno di conoscere la verità dagli adulti significativi e non avere da loro menzogne o silenzi, perché questo genera in loro più ansia.
Del resto non si tratta di insistere sulla morte in diretta o sulle atrocità della guerra che i media documentano copiosamente, ma di dare spazio ai dubbi dei ragazzi, alle loro paure e avere qualcuno che sappia contenerle senza giudicarle.
Così se si richiudono, come capita, nelle loro difese intellettuali o fuggono nel mondo virtuale non vanno obbligati a parlare della guerra, ma vano inseguiti dagli adulti e, ora più che mai, coinvolti nelle riflessioni sulla natura dei conflitti e aiutati a riconoscerli e gestirli.
Serve assolutamente affrontare la conflittualità quotidiana più che avere parole per spiegare questa guerra.
Ma anche a scuola conta la relazione affettiva ed emotiva che riusciamo a costruire. È fondamentale la relazione di ascolto come la sosta nella riflessione comune, guidata dall’adulto.
La scuola è di per sé il luogo in cui il gruppo può esprimere e condividere stati d’animo e vissuti, anche difficili e ingombranti.
Il gruppo che rappresenta la dimensione del «NOI» da coltivare per favorire la cooperazione e superare l’«IO» dell’individualismo e della competizione così dominante.
Allora penso ad una scuola che educhi precocemente all’ascolto reciproco dove l’insegnante sia capace di contenere l’angoscia e la rabbia dei pensieri.
La scuola che aiuta preadolescenti e adolescenti al confronto col dolore interno e non lo faccia tracimare o trasformare in azioni autolesionistiche.
Una scuola che dia un tempo ai pensieri degli adolescenti e ai loro sentimenti senza censura e giudizio.
Il silenzio va evitato. La rimozione della paura è pericolosa e non aiuta a vincere l’angoscia per il futuro.
Serve la scuola che faccia riflettere sul dolore e aiuti a rivedere quella «filosofia del fare» senza sosta con cui, per paura della loro noia, organizziamo da anni ormai il loro tempo.
Facciamo che la scuola di oggi sappia trasformare la negatività di questo periodo difficile e dia spazio ai laboratori del pensiero e delle emozioni con cui promuovere la generatività che serve nelle situazioni quotidiane di conflitto.
Giuseppe Maiolo - psicoanalista
Università di Trento - www.iovivobene.it