«I due presidenti» – Quarto capitolo
Spy story di Guido de Mozzi
IL PERIODO DEI DUE PRESIDENTI
PERSONAGGI |
MARCO BARBINI |
A mia Madre |
Capitolo 4.
Uscii dal bagno che stava finendo una telefonata di servizio.
"Continuo avere l'impressione che stiate esagerando la situazione."
- Le dissi quando finì.
"Verificavo adesso lo stato delle cose. Noi due veniamo tenuti
sotto controllo dal Bureau, e..."
"Beh, se è così, devo dire che sapete fare il vostro lavoro perché
non me n'ero accorto. Come sei entrata nell'FBI?"
Ci fu una piccola pausa. Evidentemente stava pensando alla versione
più adatta alle circostanze.
"Sono loro che ti cercano. Se vai bene all'università di legge, se
parli più di una lingua, se sei di provata solidità morale..."
"Di solito di cosa ti occupi?"
"Fin'ora di bambini e di donne. Anche il nostro è un mondo di
uomini. Tu sei il primo uomo che ho per le mani." - Sorrise.
"Stai facendo carriera, eh?"
"E a te piacciono le donne in carriera, vero?"
"Centrato." - Divenni serio. - "Tu sei capace di spiegarmi qualcosa
di più sulla storia in cui sono coinvolto?"
Girò lo sguardo altrove cercando argomenti.
"Non posso dirti nulla di più di quello che sai."
"Ripetimelo lostesso."
"Conosco il trucco. Mettere insieme due verità per filtrare quello
che rimane. Mi dispiace."
"Potrei sempre rifiutare la tua presenza."
"Hai ragione. Se preferisci avere un agente maschio..."
"Fanculo."
"Ecco, bravo. Senti." - Mi disse a riprova che le mie opinioni non
le importavano gran che. - "Dimmi i tuoi programmi per il
pomeriggio e per la sera. Meglio ancora se mi dici anche cosa
intendi fare domani."
"Se vuoi, inizio comunicandoti il programma che ho in testa per
stasera."
"Inizia da dove ti fa comodo."
La guardai paziente, e allora capì il senso.
"Oh, al diavolo. Sii serio."
"Va bene. Tra un'ora andiamo alle Relazioni Esterne del Museo, come
hai sentito anche tu."
"Quanto ci staremo?"
"Un paio d'ore, se ci riesce. Cioè se mi lasciano mettere mano ai
programmi disponibili."
"E poi?"
"Sono libero. Ahia... Siamo liberi. Si fa per dire, comunque,
perché a seconda di come va all'Air & Space mi programmo i
giorni successivi. Penso che andrò anche a Deyton..."
"E' bene che lo decidi subito, perché devo programmarmi."
"Jill. Se tu fossi un uomo, ti direi che non me ne importa nulla
dei tuoi problemi di programmazione."
Arrossì e distolse lo sguardo: sapeva di avere una rendita di
posizione col fatto di essere una donna. E' l'aspetto positivo del
vivere in un mondo gestito da uomini.
"Sì. Domani mattina andremo alla NASA e alla Federal Aviation
Administration. Nel pomeriggio visiteremo tutti i Gift-Shop dei
vari Smithsonian. E siamo a giovedì. Ci manca un solo giorno
lavorativo, il venerdì, poi gli uffici pubblici chiudono. Non so
come vuoi passare tu il fine settimana, ma io ho voglia di giocare
a golf a casa mia, a Fort Lauderdale in Florida. Ci starò il sabato
e la domenica."
"Hai intenzione di tornare a Washington, dopo?"
"Direi di no, a meno che non si presenti la necessità..."
"Suggerisco di andare giù al bar. Prendiamo un caffè, così io
riesco a parlare un attimo con i miei colleghi."
"Sono in albergo?" - Jill non rispose. Stranamente, la loro
presenza mi dava un maggior senso di pericolo. Con la sola giovane
Jill invece pareva un gioco.
Andammo al bar attraversando il salone, scatenando pettegolezzi
sulla mia compagna. Neanche uno sguardo per me. Al bancone
ordinammo un paio di caffè. Dopo un po' si aggregò un altro
cliente. Era un collega di Jill. Ridemmo e scherzammo per
consentire loro di scambiarsi alcuni pareri che non riuscivo ad
afferrare.
Ad un certo punto lui mi rivolse la parola con l'espressione di chi
ha in testa una furbata.
"Che ne dice di venire a giocare a Golf con me e i miei amici
sabato e domenica? Potremmo fare uno skin-game al Navy & Army
Golf Club. E' un circolo esclusivo..."
"Sì, lo conosco, vi ho giocato. E' a un paio di miglia dopo il
Pentagono. E' molto bello..."
"Affare fatto, allora?"
"No, grazie. E' troppo freddo qui a Washington." - Sorrisi
affabile. - "Tornerò proprio a casa, in Florida. Giocherò al mio
circolo con i miei amici. Se vuole venire anche lei..."
Mantenne il sorriso, ma non rispose. Tornarono a chiacchierare tra
di loro. Quando finimmo il caffè, Jill mi fece presente che era ora
di andare allo Smithsonian.
Salutai il suo collega, facemmo un salto in camera a prendere i
montoni e quindi uscimmo in taxi con lo stesso rito della mattina:
fischio tremendo del portiere e taxi indolente che avanza di due
metri.
Passammo un paio d'ore in pace. Forse Jill si annoiò. Cercava di
dare l'impressione di essere molto interessata ai risultati delle
mie ricerche. Mi chiedeva se stavo trovando qualcosa e se questo
fosse utile al nostro lavoro.
Alla fine le dissi che avevo trovato solo tracce utili per
l'ulteriore ricerca che avrei fatto a Deyton, negli archivi
dell'USAF. - "Sempre che mi lascino mettere il naso." - Le
dissi.
"Se vuoi mi interesso io." - Disse.
"Ci penserò, grazie. Anzi, ci ho già pensato. Pensaci tu,
grazie."
Tornammo in albergo con i videodischi e una fila di floppy disk ad
alta densità. Appena in camera lei si tolse le scarpe e io accesi
il mio computer portatile. La tensione americana è solo 110 Volts,
ma avevo con me il trasformatore giusto.
Iniziai a caricare alcuni floppy, ma mi resi conto che ci sarebbe
stato da lavorare per un'intera giornata, se volevo trovare ciò che
mi interessava.
"Se vuoi andare a fare due passi..." - Le dissi stirandomi.
"No. La mia consegna è di non lasciarti mai fino a nuovo ordine, a
meno che non mi faccia sostituire."
"Dio mio, mi mancherebbe solo di avere un uomo tra i piedi. Magari
che divida il letto con me!"
"E se mi sostituissero con un'altra collega?" - Mi chiese con
civetteria.
"Beh, non sarebbe più mia moglie."
"Potrebbe essere la tua segretaria."
"Meglio la mia amante allora."
"Hai un'amante?"
"Amo mia moglie."
"Questo l'avevo capito. Ma qualche contatto mi risulta che tu ogni
tanto ce l'abbia."
"Solo qualche contatto."
Feci due conti sui tempi. - "Senti. Se mi dai una mano, possiamo
finire per le 8 o le 9 al massimo."
"Cosa vuoi che faccia?"
"Isolami tutti i files che riportano dati direttamente o
indirettamente riferibili al 1943. Io intanto leggo questi grazie
al programma che mi hanno dato."
Ci mettemmo al lavoro. Lei finì prima di me.
"Cosa stai cercando?"
"Il cliente mi ha chiesto qualche rapporto su alcune missioni
alleate durante la guerra."
"Missioni aeree?"
"Sì, di bombardamenti aerei."
"Cosa gli servono?"
"Vogliono dedicare un'ala dell'esposizione al 1943, con tutto ciò
che riguarda l'aviazione alleata nella Seconda Guerra Mondiale.
Quest'anno è il 1993, il 50° anniversario della Caduta del Fascismo
e della svolta della guerra..."
"Trovato nulla di interessante fin'ora?"
"Qualcosa, ma nulla di trascendentale. Però, vedi qui." - Indicai
il monitor del portatile. - "Indicano tutta una serie di missioni
alleate compiute sul Nord Italia nel '43. Raccogliendo tutte queste
informazioni, tra qualche giorno potremmo approfondire solo quelle
che sembrano meritevoli di attenzione."
Alle 8 decidemmo di smettere e di andare a cena. Mi consigliò un
locale in Georgetown, vicino all'Università.
Doveva essere un freddo della Madonna, perché il portiere nero di
turno stava all'interno. Appena ci vide mise alla bocca il
fischietto e fece per chiamare il taxi. Per fortuna si accorse in
tempo di non essere all'aperto ed uscì prima di emettere il fischio
diabolico. Le donne in sala erano già tutte in vestito da sera ed
attendevano il loro momento; non avevano attenzioni per noi.
Anche il ristorante dove eravamo andati era nell'interrato di un
palazzo. Washington non può avere edifici più alti del Campidoglio
e deve sfruttare anche il sottosuolo.
Io scelsi l'aragosta del Maine e lei i gamberi imperiali. Pagai io,
ovviamente, perché lei era una donna. Per un attimo mi chiesi se
fosse giusto che lei mi lasciasse pagare, dato che stava lavorando
per il suo Governo.
"Hai fatto campagne pubblicitarie importanti?"
"Sì. E' un lavoro che dà grandi soddisfazioni, se lo fai bene."
"Sai che sarebbe piaciuto anche a me lavorare in pubblicità?"
"Lo si dice sempre, prima."
"E tu, come ci sei entrato?"
"Pensavo di arricchirmi e di trovare donne a volontà."
"E invece?"
"Mi sono arricchito e ho trovato donne a volontà."
"E allora, di cosa ti lamenti?"
"Mi lamento perché non sono le cose più importanti della vita."
Giunse il momendo di tornare a casa e ci venne in mente che avremmo
dormito assieme. Nonostante tutto, la situazione era interessante.
Indubbiamente intrigante. In taxi cercò di stemperare la
tensione.
"Hai mai fatto campagne elettorali?"
"Ahi. Questa è una domanda professionale, vero?"
"No. Scusami. E' che qui a Washington le agenzie di pubblicità non
vivono di altro..."
"Sì, ho fatto campagne elettorali."
"Sono andate bene?"
"Sì."
"Persone o partiti?"
"Persone. Di vari partiti."
"Gente importante?"
"Ho fatto eleggere il sindaco della mia città."
"Però!"
"Ed un paio di Senatori."
"Wow! E ti sono stati riconoscenti?"
"Utili, vuoi dire? No. Non ho mai avuto un incarico grazie ai miei
candidati. Sai, nelle campagne elettorali ho sempre voluto i soldi
anticipati..."
"Li vogliono anche qua. Tutto il mondo è paese."
Arrivammo all'albergo.
"Ben tornato dott. Barbini. Signora contessa..." - Anche il
portiere del conservatore Sheraton Carlton non dà più una chiave ma
una schedina magnetica che puoi tenere in tasca. Evitammo così
possibili imbarazzi, anche se le signore rimaste in sala capivano a
distanza che non dovevamo essere marito e moglie. Precedetti Jill
per non guardarla in faccia. Anche lei non cercava il mio
sguardo.
Entrati in camera le chiesi se voleva andare in bagno prima lei. Mi
disse di precederla pure mentre lei verificava la chiusura delle
porte e delle finestre, controllava altre cose, faceva una
telefonata. Quando uscii, mi disse che avrebbe dormito sul
divano.
"Niente affatto." - Le dissi. O dormi con me o te ne vai in
un'altra stanza."
"Allora dormi tu sul divano." - Mi disse non troppo convinta di
potermelo chiedere.
"Non ci penso nemmeno. Questa è camera mia. Se non ti va, ti faccio
avere un'altra stanza." - Alzai la cornetta. Mi fermò.
"Tu va' a letto. Io resterò sveglia per alcune ore e mi farò dare
il cambio da un collega."
Mi avvicinai a lei e la guardai in faccia. Lei mi sostenne lo
sguardo.
"Hai paura che io ti violenti?" - Le chiesi seriamente.
"Neanche un po'." - Mi disse altrettanto seriamente.
"Allora, credimi, puoi venire a letto con me. Non ho mai scopato
con una donna che non lo volesse fare, e dovreste saperlo."
Ci guardammo in silenzio.
"Lo so." - Disse poi. - "Mi fai una promessa?"
"Assolutamente no. Se tu vorrai fare l'amore, puoi stare certa che
lo farò. Ma se non lo vorrai, non ti toccherò neanche con un
dito."
Entrò in bagno. Credo che ci fosse rimasta una mezz'ora.
Comunque, quando tornò io stavo dormendo il sonno del giusto.
Avevo chiesto la colazione per le 6.30, e quando il cameriere ai
piani bussò alla porta, lei balzò dal letto con la Beretta in mano
e si mise in piedi davanti a me come per proteggermi da possibili
colpi provenienti dalla porta. Chiese chi fosse. Io le guardai il
culo, coperto da un pigiama maschile leggero. Sotto non si vedeva
lo slip e pensai soddisfatto che ne fosse senza.
"Non sei male." - Le dissi in italiano mentre il cameriere cercava
di spiegarsi attraverso la porta. Lei si scostò, prese il primo
accappatoio a portata di mano, il mio, se lo mise, mi fece andare
in bagno ed aprì la porta. Dopo un paio di minuti la riaprì
"Esci pure." - Mi disse. Poi si accorse che stavo facendo la pipì e
mi chiese scusa.
"Prego." - Le dissi prima che chiudesse la porta. - "Se sei
curiosa, entra pure..." - Sbatté la porta.
Quando uscii stava portando il caffè alle labbra.
"Dormito bene?" - Le chiesi sornione.
Fece una smorfia scottandosi la gola.
"Non mi hai neanche aspettato per fare colazione con me."
Poggiò la tazza. - "Scusami."
Prendemmo posto al tavolino vicino la finestra. Fuori doveva fare
un gran freddo perché c'erano cristalli sul vetro.
"Ho scopato bene?"
"Una delusione." - Rispose vincendo un primo imbarazzo. - "Sei il
primo uomo che abbia dormito con me senza neanche cagarmi."
"Allora questa sera ti faccio godere come un facocero."
"Sempre romantico la mattina, eh?"
"Solo se la notte non ho scopato." - Mi avvicinai a lei. Sorrisi.
Le baciai la fronte. "Buongiorno Gina."
"Buongiorno Marco.
"Dove l'hai imparato?"
"Dove ho imparato cosa?"
"A dire «cagare o non cagare qualcosa o qualcuno». Credo che sia un
modo di dire intraducibile in qualsiasi altra lingua..."
Rise. - "Ho una cugina italiana che viene a trovarmi ogni
anno."
La guardai con attenzione. - "Mi piaci."
"Grazie."
"Vuoi fare l'amore con me? Abbiamo tempo, se vuoi."
"Mi sento lusingata."
"Vuol dire che lo facciamo?"
"No. Mettiti qualcosa addosso."
"Scusa." - Dissi. Mi si era mosso e lo si notava sotto il pigiama.
Misi l'accapppatoio, il suo.
"Ce l'hai un uomo?"
"Me lo sta chiedendo mio marito?"
"Non vuoi rispondermi, vero?"
Non disse altro.
La giornata passò tranquilla fino alle 6 del pomeriggio. Eravamo
tornati in camera con i piedi doloranti per l'enorme quantità di
passi che avevamo fatto negli spacci dei vari musei, dopo la visita
alla NASA.
Agli Smithsonian avevo comperato qualcosa di significativo per il
merchandising dei miei clienti, come il cibo iperenergetico degli
astronauti, il programma "I Principi del volo" in floppy disc che
avrebbe fatto schiattare d'invidia un museo di casa, e tante altre
cose ancora. Alla NASA ci avevano dato un catalogo di filmati sul
sistema solare e diapositive dell'Universo da commercializzare nel
gift-shop del museo di Guidonia. Alla Federal Aviation Association
non eravamo riusciti ad andare. Lo avrei fatto un'altra volta,
anche perché mi avevano detto che probabilmente queste cose la FAA
le gestisce da Oklahoma City.
Ci eravamo tolti le scarpe con i piedi gonfi e stavamo sdraiati io
sul letto e lei sul divano. Tra un po' avrei preparato un paio di
drink. Suonò il telefono. Come d'accordo risposi io: poteva essere
mia moglie nonostante l'ora, e non volevamo creare pasticci
inutili.
"Dottor Barbini?" - Sentii dire in americano.
"Sono io."
"Sono l'assistente del Vice Direttore Garcia."
"Piacere, mi dica."
"Il signor Garcia mi ha pregato di telefonarle non appena fossi
riuscito a trovare il software di gestione dell'archivio militare
di Deyton."
"Ma va'?" - Questo poteva risparmiarmi il volo a Deyton
dell'indomani. - "Posso dargli un'occhiata subito?"
"Sì." - Disse. - "Se passa qui domattina dopo le nove..."
"No." - Dissi secco. - "Domattina è troppo tardi. Se voglio evitare
un possibile volo inutile a Deyton, devo vederlo ora."
Vidi Jill alzare le braccia e lasciarle ricadere sfinita.
"Dov'è adesso? Non può attendermi per un quarto d'ora?"
"Beh... Sì... Posso aspettarla un quarto d'ora, se vuole. Dopo però
devo andare. Abito in Pennsylvania e ..."
"Volo. Mi dica dove."
"Ha presente l'ingresso degli uffici amministrativi dell'Air &
Space?"
"No."
"E' esattamente dietro l'ingresso principale delle sale espositive.
Se viene in taxi, le conviene chiedere della NASA..."
"So dov'è. Ci sono stato stamattina."
"...E farsi scaricare là. Deve solo raggiungere la 7th., quella
vietata al traffico, e camminare fino al numero 1117."
"Mi attenda."
Mi misi le scarpe con difficoltà. Jill se le era già messe con
enormi sofferenze.
"Lasciami andare da solo." - Le dissi sempre più convinto
dell'inutilità della scorta. Non mi rispose nemmeno. Si mise il
montone e mi precedette nell'ascensore.
"Non dirmelo, lo so dove vai."
"A chi parli?"
"All'ascensore."
"Going down." - Disse infatti l'elevatore.
Jill rimase senza parole.
Al salone d'ingresso le donne del secolo scorso si erano date il
cambio con altre di epoche più recenti che tenevano lo sguardo su
di me per capire se ero rimasto soddisfatto della mia compagna.
Il nero all'ingresso aprì la porta girevole e cacciò il fischiaccio
verso il taxi che aveva già acceso il motore.
"Dove vanno i signori?"
"Alla NASA."
"Porta i signori alla NASA, alla 7th Street. Prendendo la Jefferson
Drive. OK?"
"Sissignore." - Mentì il tassista, e si allontanò con tutta
calma.
Un quarto d'ora dopo pagavo 8 dollari vicino alla NASA e scendevo
senza attendere il resto perché faceva freddo. Ci prendemmo a
braccetto e ci spostammo alla vicina 9th. Scendemmo dal marciapiede
per attraversare la strada a testa bassa per scansare l'aria
cruda.
A metà ci fermammo per far passare un'auto. E quando mi ricordai
che la strada aveva la circolazione vietata, fu troppo tardi.
L'auto spense i fari, fece stridere le gomme e con la massima
accelerazione provò ad investirci. Ci fu un attimo di confusione
tra me e Jill che tuttavia salvò la vita a entrambi: io cercai di
salvare lei e lei cercò di salvare me. In una specie di apparente
impacciata incertezza, riuscimmo a cadere in terra malamente, lei
di pancia ed io di schiena, ma molto lontani uno dall'altro. Quanto
bastò, probabilmente, per confondere il pilota che voleva
travolgere entrambi; ci passò in mezzo solo sfiorandoci.
L'autista frenò un attimo, forse cercando di pensare alla mossa
successiva, ma vedendo Jill che, pur caduta pesantemente, stava già
in ginocchio puntando la sua piccola arma, diede un'altra sgommata
e se la filò.
Jill sparò 7 o 8 colpi. Corsi da lei.
"Tutto a posto?" - Le chiesi col cuore in gola e la voce stridula
per l'emozione.
"Tu piuttosto!" - Disse posandomi la mano libera sulla guancia
destra.
"Io sto bene." - Guardai il montone che mi aveva attutito la
caduta. Era a posto.
"Non mi sono fatto male, posso ancora giocare a Golf." -
Ironizzai.
"Io mi sono un po' ammaccata, ma niente in tutto." - Si alzò
prendendosi al mio braccio. Cercò nella borsa una minuscola radio
portatile. L'attivò e disse alcune parole.
Non aveva ancora riposto la radiolina che già arrivava un'altra
macchina a tutta velocità. Mi misi all'erta, ma mi fece capire che
erano i suoi. Scesero, effettuarono una serie di precauzioni
tattiche, qualche altra comunicazione via radio e ci fecero salire
nella loro auto. In 10 minuti eravamo all'Hotel.
In una saletta riservata ci stavano già aspettando l'Agente
Speciale Growe insieme ad un collega.
Gli raccontammo tutto almeno 5 volte. Ci fece ripetere ancora un
paio di volte degli inutili particolari. Dovetti ricostruire parola
per parola la telefonata che ci aveva fatto cadere in trappola.
Mentre parlavamo, Jill aveva tolto il caricatore dalla Beretta,
aveva contato i colpi rimasti, li aveva reinseriti aggiungendo
quelli che mancavano, aveva tolto il proiettile dalla canna e
smontato l'arma. Aveva tolto dalla borsetta un minuscolo necessaire
per lubrificare la canna sollevata, l'asciugò con una salvietta di
cotone e la rimontò. Inserì la sicura e rimise un proiettile in
canna. Ripose la Beretta in borsetta.
"Dottor Barbini." - Disse Growe. - "Allo Smithsonian avevano chiuso
gli uffici alle 4 come sempre. Lei c'è cascato come un tordo."
"E' stata colpa mia." - Disse Jill.
"No." - Le risposi. - "Se fosse dipeso da me ci sarei andato da
solo."
"Dovevo chiederti i particolari della telefonata."
"Cosa cambiava? Lo sai come sono fatto, ormai."
"E' evidente che l'apparente normalità della situazione vi aveva
fatto abbassare la guardia." - Intervenne Growe. - "Come è evidente
che l'aver toccato il pericolo da vicino vi impedirà di fare altre
leggerezze. Vero?"
"E quali fottute leggerezze avremmo fatto?"
Jill mi mise una mano con dolcezza sulla gamba per farmi stare
calmo. Un gesto intimo, ma era solo per non farsi vedere da
Growe.
"Il problema è un altro." - Disse questo facendosi molto serio. -
"Lei deve aver parlato con la persona sbagliata. Chi conosceva i
dettagli della sua ricerca?"
"Voi."
"A parte noi, naturalmente."
"Il mio ufficio."
"E' altrettanto evidente che il suo ufficio non c'entra: questi la
seguono molto da vicino. Almeno quanto noi. Giuro che scopriremo
come. Domani a Deyton vi portiamo noi. Verremo a prendervi alle 8.
Ci vogliono due ore di volo. Ora andate a letto e dormiteci
sopra."
Si alzò, ringhiò e uscì. Il portiere non fischiò ai taxi.
Chiesi a Jill come facevano essere sicuri che il mio ufficio non
c'entrasse. Io ne ero più che sicuro, ma l'FBI?
"Il tuo ufficio è sotto controllo telefonico e ambientale." -
Tagliò corto.
"Dio mio!"
Salimmo in camera. Io andai in bagno a lavarmi le mani e, mentre mi
asciugavo, mi venne in mente che Jill si era ammaccata. Dovevo
galantemente lasciare il bagno a lei. Uscii e vidi Jill che si era
tolta la gonna e seduta sul letto. Cercava di sfilarsi i collant
ridotti a brandelli sulle ginocchia.
"Jill, Dio mio! Perché non lo hai detto a Growe?"
"Mi avrebbe sostituita."
"Stronza. Tu devi essere sostituita!"
"Potrebbero darti un uomo." - Ironica.
"Ancora più stronza."
"Se non ti senti più protetto da me perché sono in queste
condizioni, mi faccio sostituire."
"Non pensarci neanche, cazzo, ti sei ridotta così per me!" - Mi
accorsi che l'incidente ci aveva avvicinati molto.
La aiutai a togliersi le calze. Le guardai le ginocchia
attentamente, entrambe avevano subìto abrasioni. Il ginocchio
destro era anche gonfio. Si piegò di lato per guardarsi il fianco:
aveva un ematoma sull'anca.
Andai in bagno e aprii l'acqua calda della vasca e tornai da Jill.
La spogliai con delicatezza e lei mi lasciò fare pur dicendo faccio
da me. Anche un gomito era sbucciato.
"Però!" - Osservai ironico. - "Per fortuna avevi il montone..."
"Non è stato facile cadere a terra con la Beretta in mano." -
Ammise. Rimasta con la sola biancheria intima, si coprì il seno con
il braccio.
"Non guardarmi... Sono senza tette."
"Piantala." - La presi in braccio e la portai in bagno. La feci
sedere sullo sgabello. Controllai la temperatura dell'acqua. - "Va
benone così. Ce la fai a toglierti mutandine e reggiseno da sola ed
entrare in acqua?"
Uscii per andare a prendere il mio beauty e rientrai quando era già
nella vasca. Si copriva le tette che diceva di non avere.
"Prendi questa e falla sciogliere in bocca."
Lo fece chiedendomi cosa fosse.
"Un antidolorifico piuttosto forte. Ora resta lì a cuocere finché
non arriva la cena."
"Attento quando arriva il cameriere. Cerca di riconoscerlo."
Mi avvicinai a lei, mi chinai e la baciai sulla fronte.
"Starò all'erta io stasera." - Le sussurrai con finta
circospezione. - "Tu rilassati, altrimenti domani starai peggio di
adesso."
Chiudendo la porta del bagno le vidi una smorfia di dolore.
Cercai nella sua Louis Vuitton la Beretta. La presi e me la misi in
tasca. Ma ero certo che per quella sera non correvamo altri
rischi.
Mezz'ora dopo la facevo uscire dalla vasca tenendole l'accappatotio
aperto davanti a lei.
"Ce la faccio da sola, sai. Grazie."
"Mettiti sul letto e fatti vedere. Ho sempre con me una fila di
medicinali. Qui in USA non ti danno nulla senza uno straccio di
ricetta. Ho creme di tutti i tipi. Per botte, contusioni,
lacerazioni, dolori articolari, slogature, torcicolli..."
"A cosa ti servono?" - Chiese meravigliata.
"Per ogni evenienza. Sai, gioco a golf e basta una sciocchezza per
rovinarti una vacanza..." - Mi accorsi che per un estraneo poteva
sembrare una stronzata. - "In ogni caso ho tutto quello che
serve."
Misi sulle ginocchia una certa quantità di crema per contusioni.
Sentì bruciare solo un po' all'inizio perché l'acqua bollente aveva
già fatto gran parte del lavoro. Spalmai un'altra crema
sull'ematoma dell'anca e la massaggiai fino all'assorbimento.
Quindi mi occupai del gomito, che ormai era solo poco più che
arrossato.
"Ecco fatto." - Dissi alla fine. - "A cena."
"Hai una mano felice."
"E un palato delicato. Guarda." - Mostrai la zuppiera con zuppa di
pesce, del salmone affumicato pepato con olio e cipolle, del burro
e del pane integrale caldo. - "Non so se il salmone sia selvaggio o
meno..." - Dissi. - "Invece, mi spiace ma... niente champagne."
"E perché?"
"Perché l'alcol non fa bene dopo un trauma."
Mangiammo di gusto. Alle 10 eravamo a letto. Le misi in bocca
un'altra compressa.
"E questa cos'è, dottore?"
"Un Lexotan. Ti farà l'effetto di un sonnifero senza esserlo."
"Non posso. Devo restare cosciente."
"No. Non dormiresti. Probabilmente non dormirò neanch'io, ma tu
devi prenderla. Ci dovremo alzare alle 6, quindi abbiamo 8 ore a
disposizione. Prendila, e falla sciogliere in bocca." - Lo
fece.
Quella sera le piaceva essere coccolata. Rimasi un po' a guardarla
mentre dormiva. Le avevo fatto mettere una camicia da notte molto
leggera e sentivo il calore del suo corpo che accendeva il mio.
Allora la lasciai e mi allontanai un po'. Spensi la luce.
Rivolsi il pensiero a mia moglie e mi addormentai.
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