Storie di donne, letteratura di genere/ 490 – Di Luciana Grillo

Sabina Zanini, «A una voce» – È uno strano romanzo, lo si legge quasi attendendo un colpo di scena, un cambiamento della protagonista, un evento straordinario…

Titolo: A una voce
Autrice: Sabina Zanini
 
Editore: Capelli - GCE, 2022
Genere: Letteratura femminile moderna e contemporanea
 
Pagine: 128, Rilegato
Prezzo di copertina: € 16,00
 
Questo è il primo romanzo di Sabina Zanini che ha vinto il «Premio Studer/Ganz 2021 per una prosa inedita d’esordio».
È uno strano romanzo, che si legge quasi attendendo un colpo di scena, un cambiamento della protagonista, un evento straordinario.
Invece, non accade nulla, la vita dell’io narrante scorre nella ricerca continua di conquistare una sorta di invisibilità, di anonimato, in una giornata scandita dalle ore che passano ineluttabilmente: i capitoli infatti sono intitolati «Mattino», «Mezzogiorno», «Pomeriggio», «Sera», «Notte».
Al Mattino piove, la donna attende l’autobus e va in ufficio, sollevata dall’idea che, a causa della pioggia «abbasso l’ombrello e nascondo il viso».
 
Non si affretta a salire sul bus, attende per scegliere chi avere vicino, convinta che «le nuove conoscenze si possono evitare. Sono quelle vecchie a spaventarmi. Sentinelle del passato».
È immediato pensare che questa donna abbia un passato difficile, che non vuole ricordare…
Lavora in banca, evita i gruppi di colleghi che parlano e commentano qualche evento, pensa alle foto che tutti i turisti scattano, «sennò certi viaggi potrebbero credere di averli solo sognati», considera l’ambiente di lavoro, fatti «per ricreare un ambiente a noi congeniale.
Come se fossimo al bar o a casa» e si dice con rammarico: «Stiamo perdendo il diritto di non esserci, svanisce la possibilità di un’assenza, siamo sempre raggiungibili».
 
A Mezzogiorno, pausa pranzo: lei va in un parco, lei – che ama la musica – riconosce che in quegli abeti rossi, nati in un bosco di risonanza, dorme un violino. In quel bosco sceglieva il legno per i suoi violini, nel Settecento, Antonio Stradivari.
Nel Pomeriggio, si ritorna al lavoro, ma ciascun collega «pensa solo al proprio ruolo, infischiandosi di come gli altri si stiano muovendo sulla scena».
E allora, «non bisogna muoversi, non bisogna farsi notare… Si è gelosi delle proprie conquiste o creazioni, e si è invidiosi di ciò che non si ha… L’errore risiede nel confrontare la propria vita con quelle degli altri… Il nemico va annacquato nell’indifferenza».
Lei non è cattiva, non farebbe del male a nessuno, vuole solo mettere le cuffie e, non vista, ascoltare la sua amata musica.
 
Adora Paganini, «mi piace ascoltare i suoi Capricci a mio capriccio», non essere invischiata nelle chiacchiere dei colleghi, «non spreco energie in battaglie che non si possono vincere, e neanche pareggiare».
Arriva la Sera, si torna a casa, una casa semplice, dove «voglio che non si infili nessuna leziosa suppellettile. Fortunatamente nessuno me ne regala»; qui c’è musica e disordine, solo i dischi non saranno mai coperti di polvere.
La televisione non fa che proporre trasmissioni sul cibo, «ma, quando si mangia soli, prevale l’io ancestrale dell’uomo accucciato al riparo da eventuali concorrenti, che divora il più velocemente possibile quel che ha trovato. Gli servono le calorie per affrontare un altro giorno. Si nutre, non cucina».
 
Quando scende la Notte, non si sentono che voci dagli appartamenti contigui di gente che sembra vivere recitando, «a favore di telecamere»… «Se riuscire a rimanere soli è un’arte, ho coltivato quest’arte ai massimi livelli…».
Vorrebbe pregare e ascoltare ancora Paganini, nella cui musica «il tema grave della preghiera è seguito dalle variazioni in cui la melodia si stempera nella gaiezza dei virtuosismi… Questa allegria che, alla fine, ci fa dimenticare le invocazioni alla pietà divina. Dalla preghiera accorata si può dunque spiccare il volo verso la spensieratezza». E finalmente dormire.

Luciana Grillo - [email protected]
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