Centenario della Marcia su Roma e il Trentino – Di G. de Mozzi
Il 3 e il 4 ottobre 1922 i fascisti fecero la «Marcia su Bolzano», una sorta di prova generale di quella che avrebbero scatenato il 28 ottobre su Roma
La Marcia su Bolzano l’abbiamo già pubblicata il 3 ottobre scorso, in occasione del centenario dell’evento. La pubblichiamo nuovamente oggi, aggiornata, perché fa parte di questa serie che raccontiamo in otto puntate e perché i lettori oggi sono molto più numerosi di quelli che la lessero un mese fa. |
Secondo gli storici di allora, questi fatti potevano essere considerati degli «anticipi» della Marcia su Roma che sarebbe avvenuta meno di un mese dopo.
L’azione sarebbe stata ordinata da Mussolini in persona il 27 settembre 1922, cioè qualche giorno prima.
È nostra opinione invece che il promotore dell’iniziativa fosse stato Roberto Farinacci, sia perché Mussolini non era ancora sicuro di attivare la Marcia, sia perché Farinacci non riusciva a stare fermo e perfino il giorno stesso della Marcia partì di testa sua provocando, oltre a inutili morti da entrambe le parti, l’ira dello stesso Mussolini
Di Marcia su Roma, tuttavia, si parlava da un pezzo. Come vedremo nella prossima puntata, Mussolini si era mosso un po’ a tutti i livelli per trovare gli appoggi necessari. Era chiaro che sarebbero bastati i Reali Carabinieri a fermare i Fascisti, se solo il Re lo avesse voluto.
Il 25 settembre, il National Zeitung osservava: «I Fascisti vogliono dominare lo stato liberale. La rivoluzione è imminente.»
L’indomani il Frankfurter Zeitung pronosticava che «È chiaro che la situazione che regna attualmente in Italia porta alla Marcia su Roma.
Nessun giornale pensava invece che il Trentino Alto Adige ci sarebbe stata una sorta di prova generale, un autentico prologo.
Le motivazioni
Dopo quattro anni di «annessione provvisoria» del Trentino e Alto Adige, che il Trattato di Saint Germain aveva affidato all’Italia al posto di Fiume a la costa dalmata, i fascisti decisero che era giunto il momento di fare sul serio.
Nella notte tra il 30 settembre e il 1° ottobre 1922, da Vicenza, Verona, Brescia, Cremona e Mantova, circa 7.000 squadristi si concentrarono a Trento per marciare l’indomani alla volta di Bolzano, agli ordini di un quartier generale composto da Francesco Giunta (inviato di Mussolini), Alberto De Stefani (delegato regionale dei Fasci per il Veneto), Achille Starace (sedicente capo dei fascisti trentini e altoatesini), Italo Bresciani (capo dei fascisti veronesi e vice-delegato regionale dei Fasci per il Veneto), Luigi Barbesino (capo dei fascisti di Bolzano).
Tra i comandanti più noti e carismatici vi erano dunque Roberto Farinacci, Gilberto Arrivabene, Nicolàs Rodriguez e Carlo Buttafuochi.
Giunti a Bolzano, dapprima i fascisti cercano di trattare con le autorità, poi presentano un ultimatum:
1. Dimissioni del sindaco Perathoner («che non è altro che Pierantoni, rinnegato italiano diventato tedesco», dicevano i fascisti);
2. Calmiere sui generi di prima necessità;
3. Scioglimento della Polizia Austriaca (che evidentemente c’era ancora);
4. Bilinguità in tutti gli atti del Comune, con assegnazione dell’edificio scolastico di Via Elisabetta alla scuola italiana;
5. Censimento degli alloggi e requisizione di quelli liberi da affidare alle famiglie bisognose;
6. Esposizione del tricolore negli edifici pubblici, negli alberghi e negli istituti di credito;
7. Una chiesa della città di Bolzano da mettere a disposizione di preti italiani.
Ma l’intimazione cadde nel vuoto. Allora i fascisti passarono ai fatti.
«L’azione è rapida, travolgente, superba e segna decisamente la fine delle utopie pangermanistiche» – si legge nei rapporti inviati a Mussolini.
«Purtroppo – continuava la nota – fino a quel momento la situazione era favorevole ai tedeschi grazie alla accondiscendenza e alla pusillanimità del Commissario Factiano Luigi Credaro.»
Il 3 ottobre 1922, recitano le cronache di allora, «i fascisti avevano cancellato quattro anni di viltà governative. L’Italia entrava finalmente a Bolzano.»
La sera di quello stesso giorno, Alberto De Stefani e Francesco Giunta inviavano sfrontatamente al Presidente del consiglio Facta il seguente telegramma: «Dopo quattro anni di redenzione, soltanto oggi l’effige del Re d’Italia ha potuto entrare nel Palazzo comunale di Bolzano».
Raggiunti gli obiettivi fissati, il 4 ottobre le legioni fasciste si spostano da Bolzano a Trento.
Già che ci sono, infatti, decidono di lasciare il sengo anche in Trentino.
Assume il comando del corpo di occupazione fascista Roberto Farinacci in persona e stavolta collaborano con i fascisti anche gli ex combattenti non iscritti al fascismo, al comando del Delegato regionale Luigi Razza.
A mezzogiorno di quel 4 ottobre, i fascisti occupano il palazzo della Prefettura di Piazza Dante.
Alle 16.30 Starace, Farinacci e Buttafuochi, su invito del prefetto Credaro, si recano a Palazzo Verdi, sede del Commissariato Generale Civile.
La delegazione fascista espone gli intenti sulle questioni relative alla Venezia Tridentina e «recrimina l’incapacità del governo alla loro soluzione».
Credaro tenta di giustificare se stesso addossando tale incapacità al Governo di Roma.
Ma i fascisti non hanno tempo da perdere in quelle che ritengono «inutili fandonie» e passano all’azione.
E così, tra le ore 23.30 del 4 ottobre e l’una del 5, «settemila fascisti danno spettacolo di forza schierandosi davanti al Commissariato».
Nel pomeriggio del 5 il Commissario Credaro «scappa a Roma per presentare le proprie dimissioni». Verrà sostituito da un prefetto di simpatie fasciste.
I fascisti, già che c'erano, telegrafarono al Presidente Facta per comunicargli che il prefetto di Trento non aveva esposto l'immagine del Re nel Palazzo del Governo...
Scrisse Mussolini sul suo giornale Il Popolo d’Italia: «La guerra portò il nostro confine politico al Brennero, ora il Fascismo vi porta l’Italia».
Tutto questo accadde cento anni fa e passò alla storia come «La Marcia su Bolzano».
Guido de Mozzi - [email protected]
Domani la quinta puntata col titolo «La Marcia su Roma».
Le puntate precedenti a questo link.
Allo scadere del centenario della Marcia su Bolzano, il presidente della Provincia autonoma di Bolzano, Arno Kompatscher, ha inviato alle redazioni il suo commento sul triste anniversario. «Traiamo le giuste conclusioni dalla storia, rimaniamo vigili e sosteniamo i lavori democratici. «La marcia su Bolzano è una lezione che ci deve insegnare ad ascoltare con attenzione e a non distogliere mai lo sguardo, vigilando assieme sul rispetto delle regole democratiche. «In Alto Adige, in uno sforzo comune, siamo riusciti a trasformare importanti monumenti fascisti in memoriali e a contrastare il fascista credere, obbedire, combattere con l'affermazione Nessun uomo ha il diritto di obbedire. «Ma il monito posto dal triste anniversario della marcia su Bolzano è sempre valido: rimanere vigili e sostenere i valori democratici.» Nessun commento invece dalle autorità trentine. |