Una mela al giorno toglie davvero il medico di torno...?

Inchiesta di Karyn Dallago e Daniele Bebber sulla pericolosità dei trattamenti nell'agricoltura della Val di Non

Diciamo subito che l’inchiesta che segue non riguarda minimamente il prodotto finale, la mela. È e resta un prodotto sano che arriva sulle tavole di mezzo mondo, facendo sempre bella figura di sé e quindi dell’ambiente dove viene prodotta.
Ciò che emerge di pericoloso da questa intervista, fatta dai due ragazzi Karyn (15 anni) e Daniele (19 anni), entrambi del Liceo Artistico A. Vittoria di Trento, è l’ambiente dove vive la gente che lavora la campagna o in prossimità dei bellissimi frutteti della Val di Non.
Bene, adesso che abbiamo garantito la salute dei consumatori di mele, cerchiamo di rivolgere un pensierino anche a coloro che le producono. O che ci vivono vicino.

La Val di Non. Forse uno dei luoghi più belli del Trentino, conosciuto in tutto il mondo.
È un luogo dove le immense distese di verde, i fiori primaverili e soprattutto le mele fanno da regine.
Insomma un paradiso terrestre che tutti, soprattutto i turisti, adorano.
Ma siamo sicuri che sia davvero così fantastico questo territorio?
All’apparenza sì, nessuno lo nega, ma se indaghiamo un po’ non è che ne resteremo, magari delusi?
Tutte queste belle mele, rotonde, succose, perfette e buone faranno davvero bene?
Come tutte le cose... Sembra troppo bello per essere vero. Meglio verificare.
Per questo abbiamo voluto parlare con Sergio Deromedis, che fa parte del Comitato per il diritto alla salute in val di Non, e risolvere così eventuali dubbi che riguardano appunto l’agricoltura della valle.
 
Sig. Deromedis, che sostanze vengono usate in Val di Non per ottenere tutti gli anni i prodotti agricoli sulla quale si basa l’economia della valle?
«In Val di Non, per assicurare un risultato positivo dell’agricoltura vengono usati dei prodotti nella maggior parte chimici di sintesi, ovvero costituiti da molecole non esistenti in natura.»
 
Le sostanze usate nell’agricoltura sono nocive per noi?
«La pericolosità delle sostanze usate varia da molecola a molecola, comunque molte sostanze usate sono nocive per l’uomo e per l’ambiente. Le particelle di questi prodotti si disperdono nell’ambiente e in diversa misura rappresentano un pericolo per la salute delle persone, soprattutto per quella dei bambini, che sono i soggetti della popolazione più esposti ai rischi sia per il loro metabolismo accelerato sia per il fatto che spesso sono a contatto con il suolo.»
 
Che danni possono causare?
«Tanto per fare un esempio, secondo lo studio di un pediatra newyorkese, il dottor Philip Landrigan, a causa dell’insetticida chlorpyrifos ethyl, i bambini nati da mamme esposte a questa molecola rischiano di nascere con un diametro del cervello più piccolo della norma, sottopeso e con vari problemi tra cui accrescimento e sviluppo.
«Dopo queste scoperte, dal 2006 negli USA è stato vietato il suo uso nelle zone residenziali, ma purtroppo in Val di Non viene ancora usato.
«Per fare un altro nome, la sostanza attiva denominata captano, che è un fungicida, è classificato come sospetto cancerogeno. Infatti in etichetta viene riportata la relativa frase di rischio (R40).
«L’agricoltura è necessaria, ma esistono sistemi meno nocivi con cui si ottengono gli stessi risultati, se non migliori.»
 
Quante particelle restano in aria e per quanto tempo?
«Secondo alcuni, le particelle nocive che non raggiungono la pianta e si diffondono nell’aria rappresentano una percentuale che varia dal 50% al 97%, lasciandone nel peggiore dei casi soltanto, dall’1% al 3% per la pianta.
«È stato dimostrato con lo studio Deriva dei dottori Lorenzin e Betta che per cercare di tutelarci l’unica possibilità è quella di non usare gli atomizzatori a distanze inferiori ai 100 metri da case, orti e tutto ciò che il veleno non deve colpire.
«Inoltre queste particelle rimangono nell’ambiente per molto tempo: alcune sostanze soltanto per dimezzarsi impiegano ben sei mesi.»
 
Quanto tempo deve passare per l’agricoltore dall’ultimo trattamento a quando può ritornare nel campo senza protezioni?
«Questo intervallo di tempo, che è tecnicamente chiamato tempo di rientro, varia da prodotto a prodotto, ma generalmente servono 48 ore per poter tornare a svolgere attività senza bisogno di proteggersi.»
 
I contadini che trattano usano le maschere con i filtri, ma la gente locale cosa deve fare?
«Bella domanda! A parer mio chi tratta nei campi con i prodotti chimici è meno esposto perché, per l’appunto, è protetto con tute, maschere, guanti ecc.
«Gli abitanti delle zone interessate dai trattamenti con pesticidi invece non sono così protetti e assorbono le sostanze così come sono.
«Dire che non si ha più libertà di uscire di casa è un po’ esagerato, ma di sicuro bisogna fare attenzione a non esporsi troppo a questi veleni e quindi molte banali attività quotidiane quali stendere i panni, uscire nei parchi e nei giardini, andare a piedi… vanno limitate.
 
Rischiano di diffondersi nelle abitazioni civili?
«Purtroppo sì, sono stati ritrovati residui di questi prodotti chimici tra la polvere delle camere da letto nelle abitazioni della val di Non.
«Ma non solo. Sono stati trovati anche nelle urine dei bambini per valori, secondo un nostro studio, sei volte maggiori a quelli di riferimento.»
 

 
Il pericolo dei pesticidi ci minaccia tutto l’anno o solo in certe stagioni?
«L’Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari della provincia Autonoma di Trento nel 2009 ha eseguito un monitoraggio sulla popolazione esposta, selezionando venticinque case in due periodi dell’anno (senza e con uso di pesticidi) ed è risultato che i territori vicini a esse sono maggiormente inquinati nel periodo in cui le piante vengono trattate.
«Comunque in val di Non la causa principale dell’inquinamento consiste proprio nei pesticidi dispersi nell’ambiente: quelli trovati nel Rio Ribosc vicino a Cles ne sono un esempio molto preoccupante che si dovrebbe tenere sempre presente.»
 
Si possono fare delle analisi costanti come per le polveri sottili?
«Probabilmente si potrebbero fare, ma mi risulta che per adesso non esistano macchine che tengano i valori sotto controllo in continuo ed in tempo reale.»
 
Gli agricoltori sono consapevoli dei danni provocati dai pesticidi o manca informazione?
«I contadini spesso sottovalutano i rischi dei pesticidi e si limitano ad applicare le indicazioni dei tecnici e le scelte dei dirigenti. Inoltre molti politici, amministratori locali e dirigenti tendono a minimizzare il problema dei pesticidi e le evidenti criticità che ci sono tra la melicoltura intensiva e i residenti.
«È necessario informare su come stanno realmente le cose e i danni che si provocano. Per questo motivo le associazioni, di cui anche io faccio parte, organizzano diverse serate informative.
«Chi vuole migliorare la situazione però viene considerato un terrorista ambientale e spesso non viene ascoltato.»
 
Essendo una provincia autonoma, potremmo prestare maggior attenzione alle nostre colture?
«Come provincia autonoma siamo avanzati su diversi settori, ma purtroppo l’agricoltura praticata in modo intensivo rischia di perdere il passo rispetto a modelli agricoli di più alta qualità.
«Comunque ci sono zone più attente, ad esempio la piana Rotaliana dove da anni non si ricorre più all’uso degli insetticidi.
«È stato fondato anche un comitato nazionale per superare questo problema, e sono in molti a chiederci come facciamo ad accettare una qualità della vita così limitata a causa di questi metodi di coltivazione.»
 
Ci sono delle soluzioni? Magari una nuova raccolta firme?
«La vera soluzione è volere. Solo volendolo davvero si possono cambiare le cose.
«Per ora è non in programma nessuna raccolta firme, dato che è molto faticoso riuscire a raccoglierne in numero significativo e soprattutto, come già è successo in passato, non porta ai risultati sperati.
«C’è spesso più attenzione alle richieste dei portatori di interessi economici che non dei cittadini, benché siano numerosi.»
 
In questi anni è migliorato qualcosa?
«No, non si è fatto niente. Anzi la situazione è peggiorata: infatti in molti comuni era vietato l’uso dell’atomizzatore a distanze inferiori di 50 metri da case, orti e giardini.
«Nell’aprile 2011 il Presidente della Comunità della val di Non, il dott. Menapace Sergio, inviò a tutti i Sindaci della valle una lettera in cui proponeva di adottare un regolamento per i trattamenti fitosanitari che consentiva agli atomizzatori di arrivare fino a 10 m dalle case; riducendo le distanze del 500%.
«Dei piccoli passi per migliorare la qualità ambientale e della vita in val di Non potrebbero essere: aumentare la biodiversità coltivando altre specie ed evitare la monocoltura e gli squilibri del nostro ecosistema, poi si potrebbero piantare delle siepi ai confini dei prati per ridurre la “deriva” dei prodotti nocivi ed usare delle varietà più resistenti (richiedenti quindi meno trattamenti) vicino alle case e alle strade.»
 
Sarebbe possibile passare all’agricoltura biologica? E con quali vantaggi?
«Già centinaia di aziende trentine hanno deciso di non utilizzare più prodotti di sintesi e grazie all’agricoltura biologica hanno comunque ottenuto ottimi risultati, se non addirittura migliori.
«Ad esempio l’anno scorso hanno evitato totalmente la nebbia (ticchiolatura).
«Con questo innovativo metodo di agricoltura alcuni agricoltori lo scorso anno sono riusciti a ridurre a solo quattro trattamenti annui per alcune varietà resistenti e undici per le golden delicious, a differenza dei quasi quaranta nell’agricoltura integrata.
«Il bilancio per l’agricoltura biologica rimane comunque ottimo e si guadagna anche nella salute.»
 
La domanda sorge spontanea... Cosa blocca i contadini a passare all’agricoltura biologica?
«Sicuramente non è il guadagno, perché anche cambiando i sistemi di coltivazione nessun contadino ci rimetterebbe, forse uno dei fattori principali è la mentalità un po’ chiusa della valle e inoltre, come secondo, manca l’informazione.»
 
Com’è cambiata la situazione della Val di Non nel corso degli anni?
«Alla fine degli anni ’60 non c’erano regole sull’uso dei pesticidi e le vacche che pascolavano nei campi morivano e questo ha notevolmente contribuito a causare la scomparsa delle stalle.
«Alla fine degli anni ’80 è stato istituito il protocollo della lotta integrata con il quale venne decisa una quantità controllata di fitofarmaci da utilizzare.
«Questo è stato una passo molto positivo, a parer mio ora andrebbe fatto un passo successivo: la lotta biologica
 
Ha un messaggio per le persone interessate al rischi causati dalla nostra agricoltura?
«Vorrei dire a tutti gli abitanti della Val di Non, contadini e non, di informarsi su tutti i prodotti usati e sui danni che provocano.
«E, rivolgendomi ai giovani, li invito ad interessarsi davvero all’argomento e nel loro piccolo cercare di aprire delle nuove porte per dare un futuro migliore alla nostra valle.»
 
Karyn Dallago e Daniele Bebber