Prodi: «Quo Vadis Europa?» Questo è l'interrogativo
A confronto Romano Prodi e Stefano Sannino alla luce della prossima scadenza elettorale europea
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Per Prodi dunque nell'immediato a Bruxelles non cambierà molto, ma non è questo il punto. Il punto vero è che, secondo l'ex-presidente della Commissione, si potrà tergiversare ancora un po’ ma alla fine i nodi verranno al pettine: l’Ucraina, il Medio Oriente, la fine dell'eredità coloniale, a cui abbiamo assistito recentemente in Africa, con il «divorzio» fra la Francia e alcuni Paesi che tradizionalmente rientravano nella sua orbita, come il Mali, costringeranno a prendere decisioni enormi in politica estera e in materia di difesa. Il dato positivo è che la Brexit è stata una sorta di vaccino: ha dimostrato che lasciare la UE è un rischio. Ma è necessaria ora un'assunzione di coraggio.
Anche per Sannino le guerre hanno un peso molto forte per la UE, soprattutto quella fra Russia e Ucraina, perché avviene a ridosso del continente europeo, con riverberi anche su Paesi come Romania e Polonia. Anche l’esito delle elezioni americane condizionerà il futuro della politica europea. Sicurezza militare ma anche sicurezza economica e tecnologica sono temi centrali nel dibattito, e mettono in causa la capacità degli europei di fare da soli o di rafforzare le alleanze esterne. La fine del sistema unipolare ha creato una situazione di caos.
La sfida più dirompente è quella di avere una capacità militare autonoma. Il punto però è come gestire una difesa comune. La Germania, ha ricordato Prodi, ha un bilancio della difesa che è il doppio di quello francese. Si può pensare a una difesa comune in cui il comando è lasciato alla Francia, in virtù del suo essere potenza nucleare?
Sul versante «allargamento» alcuni Paesi pongono problemi non solo politici ma anche economici. «Tutti sono per l’apertura - ha detto ancora Prodi - ma appena l'asse del commercio del grano si sposta di poco i Paesi membri si irrigidiscono. In ogni caso l’allargamento deve comportare un cambiamento della governance». E la Cina? Biden sulle relazioni economiche ha seguito Trump, il quale ha detto che in caso di vittoria adotterà misure ancora più dure.
Il problema del protezionismo americano, hanno concordato i relatori, è reale. In Europa si assiste invece a una divergenza fra il comportamento delle imprese e quello degli Stati.
Le imprese europee hanno iniziato a spostare in Cina i centri di ricerca, soprattutto sul versante dell’automobile, dove la Cina è molto più avanti, senza contare i pannelli solari, mercato controllato oggi dalla Cina al 98%. Gli Stati sono molto più prudenti. La scommessa è: le imprese cinesi inizieranno a delocalizzare, cioè a venire a produrre in Europa? Questo potrebbe innescare meccanismi di competizione fra i diversi Paesi per accrescere la propria attrattività.
E se succedesse qualcosa a Taiwan? Per Prodi almeno a breve non succederà nulla, c'è interesse a mantenere la stabilità nell'area. Tuttavia, ha ricordato Sannino, la situazione rimane molto complessa, e un eventuale conflitto avrebbe delle ricadute pesante anche in campo economico, perché se oggi la Cina è paese leader per quanto riguarda la transizione green Taiwan è la patria dei microprocessori.