Quando alla Vela si faceva il Presepio – Di Guido de Mozzi
L'albero di Natale non c'era proprio e in casa nostra era Santa Lucia a portare i regali (non il «Bambinèl», né tanto meno Babbo Natale)
Purtroppo le immagini non sono nostre ma perlopiù ricavate da Wikipedia.
Quando ero piccolo, una montagna di anni fa, abitavamo alla Vela, un piccolo borgo antico di gente per bene, laboriosa, generosa e altruista.
Un borgo che il comune di Trento ha dimenticato per anni.
Un tempo la corriera che dalla città andava a Zambana passava dalla Vela e dalla Polveriera. Una corriera blu sgangherata, con muso lungo, sulla quale non sono mai salito.
Poi, nel 1955, quando la frana costrinse gli abitanti di Zambana Vecchia a trasferirsi a Zambana Nuova, la corriera fu soppressa. E gli abitanti della Vela furono costretti a recarsi in città a piedi, potendo scegliere tra due strade: la Strada Fonda e la strada vera e propria. La prima, stretta e in piena campagna, portava dalla chiesa al ponte di San Giorgio (costruito in legno dai Tedeschi durante la guerra quando fu distrutto il ponte di San Lorenzo); la seconda passava dal cimitero, raggiungeva il Doss Trento e da lì portava al ponte di Piedicastello.
Si andava a piedi. Due chilometri di camminata prima di arrivare ad una fermata dell’autobus cittadino. Mia madre, l’unica alla Vela ad avere auto e patente (mio padre non guidava), portava in città tutti coloro che incontrava per la strada, o che le chiedevano espressamente il favore. Spesso era l’unica risorsa in caso di necessità.
La scuola della Vela era un fenomeno. Una insegnante seguiva nella stessa aula la prima la seconda e la terza elementare. Un'altra insgenante seguiva in un'altra aula la quarta e la quinta.
Chi poi voleva (e poteva) accedere alla scuole medie, doveva fare l'esame di ammissione. Il che presupponeva dei corsi specialistici di analisi logica, che venivano svolti solo alle Scuole Verdi di Trento.
Il ponte di San Giorgio fu rifatto in cemento dopo l’alluvione del 1966 che lo aveva semidistrutto, mentre il primo autobus che collegò la Vela al resto della città venne attivato con la crisi del petrolio del 1973, quando la domenica non si poteva circolare con l’automobile. E per l’occasione venne perfino allargata la strada…
Il paese stava diventando il borgo più verde della città, quando il suo territorio venne devastato dal sorgere di un quadrifoglio autostradale, dalle Gallerie sotto il Doss Trento e dal viadotto che, attraversando il parco di Villa Salvotti, scendeva affiancando il versante nord del Doss Trento. Erano davvero altri tempi…
Questo era il piccolo mondo antico della Vela, dove ho avuto l’onore di vivere per una trentina d’anni.
Quand’ero piccolo, una montagna di anni fa, in casa si faceva il presepio. Era l’immediato dopoguerra e dell’albero di Natale non si sapeva nulla.
Allora, a casa nostra, i regali li portava Santa Lucia. Gesù Bambino non faceva regali, Babbo Natale era di là da venire.
Quindi, a Natale c’era una grande festa, ma di regali non se ne parlava proprio. Se era bello riceverli in anticipo, cioè il 13 dicembre, era triste non ricevere nulla a Natale. Ma a papà piaceva così.
Però Santa Luzia era diventata una tradizione così importante da spingere il mio papà a inventarsi di tutto purché credessimo che i regali venivano portati proprio dalla santa che lui amava di più.
La sera del 12 dicembre dovevamo scrivere la letterina dei desideri per Santa Lucia e riempire di sale e crusca il piatto da mettere fuori dalla porta perché, dicevano, il suo asinello ne era ghiotto.
I regali, sia ben chiaro, erano quelli dell’immediato dopoguerra. Dei mandarini, dei datteri e dei fichi secchi. E questo anche se eravamo una famiglia benestante… La fame durante la guerra l’avevano patita tutti e per anni l’economia familiare girava intorno alle scorte alimentari.
I regali che chiedevi a Santa Lucia arrivavano raramente, ma l’atmosfera era unica, irripetibile. L’evento era ovattato di mistero e gonfiava i cuori di emozione, di gioia, di aspettative. Era come se una volta all’anno le cose potessero acadere davvero. Aiutava a guardare la vita con ottimismo.
Ricordo una vigilia in cui nevicava intensamente (allora d'inverno nevicava spesso) la mamma ci portò in fretta alla finestra che dava sul giardino e ci chiamò «Presto, venite a vedere Santa Lucia!». Guardammo affascinati col naso attaccato al vetro e, miracolosamente, vedemmo una donna di schiena allontanarsi da casa nostra sotto la neve. Arrivata al cancello, usciva, prendeva l’asinello e se ne andava, verosimilmente a portare regali ad altri bambini.
Questo ricordo non mi abbandonò mai. Quella sagoma sotto la neve è rimasta impressa nella mia memoria come scolpita nella pietra.
Quando mi spiegarono che in realtà Santa Lucia era mio padre, feci fatica ad abituarmi all’idea…
Però mio padre aveva un’altra indimenticabile abitudine, che coincideva proprio con Santa Lucia. All’inizio di dicembre cominciava a costruire il presepio, che doveva essere pronto immancabilmente per il 13 dicembre.
Non era una cosa da poco, perché impiegava giorni e giorni per farlo. Nella grande sala centrale della casa sistemava quattro cavalletti di legno, sui quali inchiodava delle assi in modo che il presepio fosse sollevato più di un metro da terra. Veniva appoggiato alle pareti con una forma ad angolo e misurava in tutto quasi sei metri per un metro e mezzo di profondità.
Dietro, sulle due pareti, veniva appeso un grande cielo notturno di carta che faceva da sfondo a tutto il presepio, dipinto dalla zia Pia, sorella pittrice del mio papà. Alcune decine di stelle, oltre ad essere dipinte, erano animate da lampadine piccolissime, infilate con pazienza da mio padre e allacciate alla corrente con un apposito trasformatore. L’energia elettrica costava molto e lo si accendeva solo quando lo si voleva guardare…
Anche la Stella Cometa si stagliava in cielo, alimentata da un filo invisibile. La cometa sarebbe poi stata applicata al tetto della capanna all'Avvento.
Papà copriva la parte inferiore del tavolato con dei teli verdi, poi metteva della carta da giornale sulle assi (non c’erano teli di nailon), poi creava i paesaggi e collocava i personaggi.
Nell’angolo più importante metteva la sabbia, raccolta sulla sponda dell'Adige e asciugata sulla cucina economica, sulla quale sistemava tre piramidi e la sfinge, con alcune belve feroci. Era l’Egitto.
Più a sinistra c’era il bosco, costruito sapientemente con del muschio fresco che ci portavano apposta a casa per fare il presepio. Il ruscello era fatto con delle striscioline di specchi tagliati in modo da sembrare acqua. Sopra sistemava anatre e cigni, ma c’era posto anche per il mulino e il pescatore con tanto di canna.
Nella parte centrale sorgeva il villaggio, verosimilmente Betlemme, con tutti gli artigiani del caso. Dal maniscalco col cavallo al falegname con la sega, dal panettiere col forno al taglialegna con la mannaia, dal contadino con la zappa al pastore con le pecore e il cane. Le donne lavavano alla fontana o portavano la spesa. Non mancavano i cani né le vacche, una delle quali veniva munta da una donna.
Infine, sull’estrema destra, sorgeva la capanna destinata a ospitare il bue e l’asinello, la Madonna e San Giuseppe. Degli angeli costituivano il drappello d’onore per quando fosse arrivato il Bambinello Gesù. Restava rigorosamente spenta fino alla sera del 24 dicembre, quando nasceva il Salvatore e allora gli angeli illuminavano la santa mangiatoia.
A quel punto i personaggi venivano spostati vicino alla capanna a osservare la scena della Natività.
Dall’Egitto partiva una strada che portava alla capanna sulla quale, dal 25 dicembre i tre Re Magi a dorso di cammello si avvicinavano ogni giorno di più, fino ad arrivare alla capanna il 6 gennaio a rendere omaggio a Gesù Bambino.
Questo era il presepio che ho visto costruire per anni in casa mia. Una costruzione davvero importante, tanto che le insegnanti della Vela portavano le classi a visitarlo poco prima delle vacanze natalizie.
Io ero davvero privilegiato perché il presepio lo vedevo tutti i giorni.
Questo era il Natale di un piccolo mondo antico che non esiste più.
Il materiale e i personaggi per fare il presepio ci sono ancora, ma rimarranno sempre in soffitta, soppiantati dall’albero di Natale.
Anche Santa Lucia non c’è più, soppiantata prima dal Bambino Gesù e poi da Babbo Natale. Ma è sempre nel cuore mio e di mia sorella: il 13 dicembre di ogni anno ci scambiamo gli auguri nel nome di nostro padre.
E quell’antico ricordo della santa che se ne andava sotto la neve dopo averci portato i regali riaffiora sempre a Natale con le stesse emozioni di quand'ero piccolo, una montagna di anni fa.
G. de Mozzi.