La delocalizzazione è la nuova fase del commercio globale

Per Richard Baldwin siamo entrati in una nuova fase del commercio globale: la robotica e la telepresenza superano la battaglia per la conquista dei posti di lavoro

«Stiamo assistendo ad un fenomeno per cui la globalizzazione rallenta, o forse ha solo cambiato faccia, e ha rotto quello schema in cui, nella sua età d’oro dei primi anni Novanta, a elevati tassi di crescita del Pil mondiale corrispondevano livelli ancor maggiori di scambi commerciali, con benefici per i produttori del Sud del mondo ma anche alle imprese del Nord» – ne è convinto Richard Baldwin, economista europeo economista del Graduate Institute di Ginevra e autore di «The Great Convergence» uno dei migliori libri di economia del 2016, secondo il Financial Times.
Argomento, del quale continuerà a discuterne anche nella giornata id venerdì 1° giugno alle 10.00 a Palazzo Geremia, sempre nell’ambito del Festival dell’Economia.
Oggi la delocalizzazione è la nuova faccia del commercio globale.
 
Nell’incontro moderato dal giornalista de la Repubblica Eugenio Occorsio, questa sera presso il Castello del Buonconsiglio, Baldwin ha affrontato il tema della globalizzazione in chiave storica, spiegando quale il modo di leggere la storia come apologia morale implicita propria degli economisti: la tecnologia spinge il mondo sul sentiero del progresso, attraverso una successione di epoche storiche che sono a tutta evidenza proposte implicitamente come fasi di civilizzazione e su questo piano giustificate.
La crisi economica iniziata dieci anni fa ha cambiato mano a mano i giochi, portando gli osservatori a chiedersi se la globalizzazione stia arrivando al capolinea o se stia solo assumendo nuove forme sulla cui base si riorganizzeranno varie politiche, comprese quelle sull’occupazione.
 

 
La «vecchia» globalizzazione, avvenuta nell’800, è stata infatti il prodotto dell’energia del vapore e della pace internazionale – ha spiegato Baldwin – abbassandosi i costi del trasporto dei beni si è innescato un ciclo di agglomerazione industriale e di crescita che ha portato le nazioni ricche al dominio assoluto. È stata la «grande divergenza.»
La «nuova» globalizzazione della fine del ’900, guidata dalla tecnologia dell’informazione, ha reso conveniente per le imprese multinazionali trasferire nelle nazioni in via di sviluppo non solo il lavoro ad alta intensità di manodopera, ma anche le idee, il know-how di marketing, manageriale e tecnico.
Alta tecnologia e bassi salari stanno così favorendo la rapida industrializzazione di una manciata di nazioni rimaste finora ai margini dell’economia, mentre si assiste alla simultanea deindustrializzazione delle nazioni sviluppate.
 
È la «grande convergenza». Per Richard Baldwin, quindi, siamo entrati in una nuova fase del commercio globale, in cui la robotica e la telepresenza rendono superata la battaglia tra Paesi per la conquista dei posti di lavoro.
Ora ci troviamo di fronte a una nuova fase del processo di attribuzione del prezzo delle merci e dei servizi risultante dai nuovi processi di delocalizzazione elettronica e riguardante il settore dei servizi e non più quello manifatturiero.
Questa non sarebbe una novità: basti pensare, ad esempio, come i call center (di lingua inglese) siano stati delocalizzati in altri Paesi, quali l’India, e sicuramente molti di noi hanno parlato con persone che vi lavorano chiedendo orari dei treni o altro.
La delocalizzazione elettronica è destinata tuttavia a incidere in maniera assai più profonda dei call center, dicono Baldwin.
Per essere delocalizzato, un posto di lavoro nei servizi dovrebbe avere le seguenti quattro caratteristiche: prevedere un uso intensivo di information technology, riguardare un prodotto trasmissibile via IT, includere mansioni che possono essere codificate e richiedere poca o nessuna interazione diretta tra gli interessati. 
 
Stando a questi criteri, potrebbe essere classificato come «delocalizzabile» il 20 per cento di posti di lavoro delle economie occidentali.
La delocalizzazione è quindi la base del nuovo paradigma della globalizzazione. Significa però anche nuove opportunità per i cittadini e più competizione.
E mentre i governi occidentali iniziano a fare i conti in ritardo con gli effetti collaterali della globalizzazione, il sistema economico internazionale sta di nuovo cambiando forma, con il risultato che i rimedi ai problemi di oggi già domani saranno obsoleti.
Parola di Richard Baldwin.