Storie di donne, letteratura di genere/ 385 – Di Luciana Grillo
Lauretta Colonnelli, «Le muse nascoste, Protagoniste dimenticate»:sono le muse, modelle, figlie, mogli, amanti, sorelle, nobildonne...
Titolo: Le muse nascoste. Protagoniste dimenticate
di grandi opere d'arte
Autrice: Lauretta Colonnelli
Editore: Giunti Editore 2020
Pagine: 240, illustrato, Rilegato
Prezzo di copertina: € 29
Ho già letto con grande piacere e recensito in questa rubrica un testo di Lauretta Colonnelli: al centro l’arte, i dipinti che nei secoli hanno dato colore e vita a sale di grandi palazzi…
«Le muse nascoste» è una bellissima passeggiata nella pittura di ogni tempo, da Mantegna e Botticelli a Matisse e Balthus, dal Ghirlandaio a Kokoschka, da Filippo Lippi a Hopper: al centro dell’interesse ci sono le muse, le modelle - figlie, mogli, amanti, sorelle, nobildonne, belle o brutte, giovanissime o mature, glabre o pelose.
Colonnelli ci svela la storia di Margherite, figlia di Henri Matisse e di Caroline, dipinta sempre con una sorta di sciarpa nera al collo.
Questa ragazza suscitò l’interesse di Picasso, che a Matisse propose una sorta di baratto, ricevendolo «con i suoi amici più intimi, poeti e non: Guillaume Apollinaire e Max Jacob, Georges Braque e Maurice de Vlaminck, André Salmon e Maurice Princet…».
Michelina Terreri, modella di Balthus, racconta di aver cominciato a posare quando «ero una bambina che stava per diventare adolescente… Guardavo i disegni in cui lui mi ritraeva, vi scoprivo il mio corpo che cambiava».
L’interesse del pittore polacco per le adolescenti fa pensare ad un atteggiamento da pedofilo, «anche se lui non ha mai commesso alcun atto osceno».
Per lui, «la posta in gioco era l’anima, durante quei lunghi momenti di posa», Michelina dice che «mi guardava intensamente, e capivo che non mi vedeva più come una persona, ma come un vaso, un fiore. Solo un oggetto da disegnare… avevo la percezione che non cercasse solo l’aspetto fisico, ma qualcos’altro, che so, un’emozione».
Tornando indietro nel tempo, Colonnelli racconta l’amore di Gian Lorenzo Bernini per Costanza Piccolomini, moglie di Matteo Bonucelli, collaboratore dello scultore, e la gelosia di Gian Lorenzo nei confronti di suo fratello Luigi, a cui Costanza concedeva i suoi favori.
Pare che Gian Lorenzo abbia pensato di uccidere Luigi e di far sfregiare il bel viso di Costanza, che sia entrato in Santa Maria Maggiore armato e che abbia distrutto a calci porte e banchi.
La madre chiese al Papa di intervenire, ma Urbano VIII lo scagionò completamente, gli suggerì caldamente di sposarsi e in esilio fu mandato Luigi.
Ma si dice che Costanza fosse rimasta nel cuore dello scultore: una volta morta, fu seppellita accanto ai fratelli Bernini nella basilica di Santa Maria Maggiore.
Ancora indietro nel tempo, incontriamo Andrea Mantegna e la sua preziosa nana che si vede nella famosa Camera degli Sposi di Mantova (Castello di san Giorgio), poi si ritorna alla fine del 1800 e alla Hortense dipinta da Cézanne, sempre coperta da abiti anche modesti, accollati e annodati in vita.
Di scoperto, viso e mani. Il celebre dipinto che mostra Hortense in poltrona attirò Rainer Maria Rilke, che considerava protagonista del quadro la poltrona più che la donna, dotata di una incredibile capacità di sopportazione.
Con un altro salto temporale, Colonnelli ci fa incontrare Lucrezia Tornabuoni, moglie di Piero de’ Medici, nuora di Cosimo e madre di Lorenzo il Magnifico, immortalata dal Ghirlandaio nella basilica di Santa Maria Novella a Firenze, quando era già morta da tre anni, colta e autrice anche di poemi sacri.
L’autrice si chiede «se Lorenzo sarebbe diventato Magnifico senza il sostegno continuo di Lucrezia… donna di elette virtù e di vasta cultura, esperta di problemi politici» che il suocero Cosimo aveva definito «l’unico uomo della famiglia», presente e attiva in ogni momento, perfino durante la peste.
Gabriele Munter era «una giovane donna minuta e decisa…aveva venticinque anni, era di Berlino e aveva vissuto negli Stati Uniti», conobbe Kandinskij, fu sua allieva e dal 27 ottobre 1902 vissero insieme, viaggiarono molto, sostarono a Rapallo, a Parigi, a Sèvres, crearono scandalo perché Vasilij era sposato, separato, e la moglie non gli concedeva il divorzio.
Non fu una coppia serena, ma la comune passione per l’arte li unì tanto da comprare la famosa casa sulla collina, le cui stanze sono state dipinte e ridipinte da entrambi.
In quella dimora hanno ospitato Paul Klee ed Erma Bossi, il compositore Schonberg e tanti altri… ma la loro sensibilità artistica prese strade diverse, Kandinskij «veleggiava verso una luminosa astrazione policroma» mentre Gabriele gli scriveva «L’astrazione è cresciuta dentro di te, è cosa tua; io non ne faccio parte… estraggo gli aspetti più espressivi della realtà e li rappresento semplicemente all’osso, senza fronzoli… non era disposta a seguirlo… agli occhi di molti io sono soltanto un’appendice insignificante di Kandinskij».
«Che una donna sia un essere creativo e possa avere un talento autonomo, lo si dimentica volentieri», allora come oggi.
Per Gabriele una lunga depressione, per Vasilij (ultracinquantenne) un matrimonio con una diciassettenne russa.
Un’altra moglie del ’900 è Jo, il cui marito Edward Hopper non accettò «che la moglie avesse le sue stesse aspirazioni, che pretendesse di far il suo mestiere»: Josephine, che era la più nota dei due, la più apprezzata dai critici di New York, fu praticamente emarginata, tanto da fare persino uno sciopero della fame conto il marito.
Era uno spirito libero e anticonformista, molto lontana dal puritanesimo di Edward, colta e talentuosa, insegnante nelle scuole pubbliche, poco incline alla vita di casalinga.
Ebbe persino l’ardire di andare in Olanda per «seguire le lezioni di paesaggio e di ritratto che Robert Henri teneva ad Haarlem… ma ne approfittò per visitare anche la Francia e l’Italia».
Al ritorno in patria, coltivò la sua passione ed espose opere insieme a Modigliani e Picasso, prima di incontrare, ormai quarantenne, Edward Hopper, che spinse a dedicarsi agli acquerelli.
Insieme parteciparono ad una Mostra e i critici ignorarono Jo e magnificarono Edward.
Il loro matrimonio fu lungo e litigioso, Edward era geloso del gatto, «più il suo lavoro era apprezzato e premiato, e più infieriva sul lavoro della moglie… verso la fine della vita … ammise che soltanto Jo sarebbe stata in grado di scrivere la sua biografia».
Da Jo a Simonetta Cattaneo Vespucci, amata da Giuliano de’ Medici e dipinta da Botticelli il passo è molto lungo… Simonetta la sans par, conosciuta da tutti, sposa quindicenne di Marco Vespucci, muore in giovane età nel 1476, e l’anno successivo Giuliano viene ucciso. Botticelli, in tutti i dipinti, ha replicato «la giovinezza e la grazia di Simonetta…, il viso dolcissimo, velato di malinconia».
Questa recensione sta diventando molto lunga, per me che amo la pittura dover «tagliare» è doloroso, mi limito solo a ricordare che l’arte al femminile è ancora presente, c’è Marie-Guillemine autrice di una splendida Madeleine e del famoso ritratto di Paolina Bonaparte, si cita Grant Wood che nel 1930 «chiese alla sorella Nan di posare per lui» e, a sua insaputa, costruì il ritratto di una coppia in cui l’uomo era molto più vecchio di lei; si ricorda la bellissima modella di Tiziano dai capelli rossi, forse amante del pittore e si incontrano le adolescenti conturbanti di John Everett Millais, che si innamorava solo di bambine, condannate per così dire a non crescere, come Sophie, la sua modella preferita, «a conservare il corpo esile e innocente».
Un ritorno alla metà del 1400 ci presenta Filippo Lippi e Lucrezia Buti, suora che diventò modella del frate carmelitano Filippo con il permesso della badessa: «ed ebbe inizio così uno degli amori più romantici, e boccacceschi, della storia dell’arte», prima di arrivare a Kokoschka, al giallo di un corpo di donna nudo, ad una bambola di pezza «con i capelli biondi, il viso dipinto, le fattezze di una signora conosciuta in mezza Europa e perfino in America: la viennese Alma Maria Schindler, già vedova del compositore Gustav Mahler, e adesso moglie dell’architetto Walter Gropius».
Infine, questo bellissimo volume si chiude sorprendentemente con la vicenda del pittore spagnolo Jusepe de Ribera, che visse a Napoli nella prima metà del ’600 e dipinse Maddalena Ventura «che quando aveva 37 anni cominciò a coprirsi di peli e a sviluppare una barba così lunga e rigogliosa…» da far dire a lord Byron che «Ribera imbeveva il suo pennello nel sangue di tutti i santi» in nome di una certa «estetica dell’orrore».
In realtà le figure femminili barbute erano già presenti, ad esempio, in Agostino Carracci e Lavinia Fontana, alla fine del 1500.
Bellissimo questo zigzagare tra secoli, artisti, muse…un viaggio nel tempo, nell’arte, nel mondo delle donne.
Luciana Grillo – [email protected]
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