Libia e Iran, tra petrolio gas e instabilità politica
Mezzan: «L'Italia avrebbe dovuto accompagnare la Libia sostenendola anche militarmente come sta facendo con l'Ucraina»
Faide interne, lotte tra fazioni, tribù in guerra tra di loro, un intreccio di interessi economici e politici a livello internazionale incide pesantemente (e non da oggi) sull'estrazione di petrolio e gas in Libia e in Iran e di conseguenza sugli approvvigionamenti dei paesi occidentali.
E come se non bastasse l'elemento Russia (dopo lo scoppio della guerra con l'Ucraina) sta scompaginando ulteriormente un panorama in continua evoluzione e di difficile interpretazione anche da parte degli esperti di geopolitica.
Un'area geografica, quella tra Mediterraneo e Medio Oriente, resa ancora più instabile a causa anche degli interventi (o mancati interventi) dei Paesi occidentali, Italia per prima «che avrebbe dovuto accompagnare la Libia anche sostenendola militarmente».
Il tema dell'incontro sulla situazione dei due Paesi e le relazioni con l'Italia dopo lo stop al petrolio russo e la diminuzione della dipendenza dal gas da Mosca è stato introdotto da Sissi Bellomo, giornalista de Il Sole 24 Ore: con lei al teatro Sociale Pejman Abdolmohammadi, professore presso la Scuola di studi internazionali dell'Università di Trento mente on line erano collegati Karim Mezran, Senior fellow Athlantic Council di Washington e Nicola Pedde, direttore Institute for global sudies (Igs).
Dopo la caduta di Gheddafi (2011) la Libia «è precipitata nel caos a dimostrazione che se non si pone un rimedio fin dall'inizio, la situazione non si raddrizza più con conseguenze pesantissime, – ha esordito Mezran. – La Libia è un composto di problemi tra tribù, clan, movimenti ideologici creando così una situazione difficile fra le fazioni fomentate dalle potenze internazionali a seconda dei loro interessi.
«Il risultato, nonostante vari tentativi di composizione fra le fazioni, è il caos in un paese diviso con due premier, in fin dei conti non legittimi, e che ha visto sfumare le annunciate elezioni del dicembre scorso.
«In Iran, dove abbiamo la più laica generazione dopo Khomeini è a rischio destabilizzazione – ha affermato il docente alla Scuola studi internazionali – la scarsa capacità dimostrata dall'Unione europea in politica estera alla quale si aggiunge la miopia di Obama verso il Medio Oriente che è stata fallimentare.
«L'Iran – ha aggiunto Pedde – si avvia verso la transizione istituzionale in una situazione difficilissima dovuta da anni di embargo: sembrava che le sanzioni rientrassero a marzo, ma la guerra della Russia ha scompaginato le carte.»
E torna ancora il conflitto in Europa ad aleggiare sul quadro internazionale con le relazioni e i rapporti di Mosca con la Turchia e l'Egitto, due Paesi che possono far valere i loro rapporti con Libia e Iran.
«La Russia ha interesse a tenere Teheran fuori dal mercato energetico, ma parte della leadership iraniana si sta allontanando da Mosca per avvicinarsi all'Occidente o alla Cina, – ha sostenuto Abdolmohannadi. – In questo quadro quale ruolo riveste l'Italia?
«L'Italia – è la sintesi di Mezran – sconta l'incapacità di utilizzare tutti gli strumenti per i suoi interessi, a quanto hanno fatto altri Paesi.
«Molto è stato fatto a livello diplomatico ma non a livello politico e militare.
«L'Italia avrebbe dovuto accompagnare la Libia sostenendola anche militarmente come sta facendo con l'Ucraina.»