La via del Volto Santo/ 3 – Di Elena Casagrande
In Garfagnana siamo invogliati a rallentare, per godere più a lungo di questi paesaggi, nascosti tra le Alpi Apuane, gli Appennini e il fiume Serchio
Sull’antica strada San Romano-Orzaglia davanti alla Fortezza delle Verrucole.
(Link alla puntata precedente.)
Da Piazza al Serchio passa anche il Cammino Italiano di Santiago
Nella chiesa di San Pietro stanno dicendo Messa. Ci fermiamo anche noi. Nel frattempo si è fatta ora di pranzo. All’Hotel Bertolini, in Via Roma, troviamo un bel clima, forse perché è un punto di accoglienza sulla Via del Volto Santo. Lo si intuisce dalle cartine geografiche e dai simboli che sono esposti, sia all’ingresso, sia nella sala da pranzo.
Teo prova la minestra tiepida di farro. D’estate la propongono così. Io vado sul sicuro con i tortelli. Qui passa anche il Cammino Italiano di Santiago, come scopriamo all’uscita dall’abitato, vicino alla locomotiva, simbolo del paese. Da lì si attraversa la strada regionale per salire nel bosco, fino all’antica strada San Romano-Orzaglia.
I castagni centenari stanno fiorendo e sono uno spettacolo. Peccato solo per le zanzare che, quando mi fermo a bere, in pochi secondi mi assaltano. «Mai fermarsi all’ombra» – mi ripeto da sola, ad alta voce.
La locomotiva di Piazza al Serchio.
Attraversare le periferie industriali delle città più grandi richiede pazienza
Dal cammino, una volta arrivati in quota, si vede in lontananza la Fortezza delle Verrucole.
«Dai che manca poco al paese!» – mi fa Teo.
A Verrucole ci fermiamo alla fontana, davanti alla chiesa di San Lorenzo, dove stanno riposando due camminatori della domenica. Sono del posto e proseguono con noi verso Sillicagnana.
«Che belle case di pietra!» – diciamo all’unisono.
Finalmente, poco dopo, arriviamo a San Romano.
«C’è una panchina. Ora mi tolgo gli scarponi e faccio respirare i piedi!» – dico a Teo.
L’afa è fastidiosa. La Via del Volto Santo ora scende alla ferrovia e la supera per proseguire poi fino a Pontecosi. Il lago artificiale è prosciugato. Ciononostante il baretto lì davanti è pieno di gente. Possiamo bere qualcosa di fresco prima di riprendere per Castelnuovo Garfagnana. Siamo spossati. A parte la chiesetta della Madonna del Ponte, il tratto finale è poco attraente, come tutte le periferie dei grandi centri.
Prima di Pontecosi.
Il dominio degli Estensi si estendeva su alcuni borghi della Via del Volto Santo
Castelnuovo Garfagnana è il capoluogo dell’Alta Valle del Serchio e le sue fortificazioni servivano a controllare il guado sul fiume. Passato sotto il dominio estense nel 1429, vi rimase fino all’arrivo di Napoleone e, dopo la Restaurazione, fino all’Unità di Italia.
Un simbolo «estense» è la Rocca Ariostesca, fatta costruire da Castruccio Castracani, su una struttura antecedente. Si chiama così perché prende il nome da Ludovico Ariosto, inviato qui dagli Estensi come commissario ducale della città.
«Deve aver avuto un bel da fare a tenere buoni i briganti, con un drappello di appena 12 balestrieri!» – dico a Teo. – «E, oltretutto, lontano dalla sua Ferrara e dal suo amore».
Purtroppo la Rocca è chiusa, per cui non possiamo entrarci. L’unica è ammirarla da fuori, col calar della sera. Dormiamo in un hotel in centro, consigliato per i camminatori.
La Rocca Ariostesca di Castelnuovo Garfagnana.
Il pernotto a Castelnuovo Garfagnana non è soddisfacente
Non riposiamo un granché. Sulla strada passano i camion e, a giudicare dal rumore, trasportano i blocchi di marmo delle Apuane. Ad ogni minimo sussulto tremano i vetri e la finestra non chiude bene, come la porta.
A colazione un cappuccino amaro ed un croissant bruciacchiato.
«Chissà cosa diranno i giapponesi seduti laggiù» – domando a Teo. E poi mi taccio.
Lasciamo Castelnuovo in salita, vicino ad un murales del Sentiero Italia. L’erba è bagnata e l’umidità è altissima. Divento paonazza e fatico a respirare: manca l’aria e la mia asma certo non aiuta.
Mi riprendo ai ruderi della Chiesa di Santa Maria Maddalena. Poi scendiamo verso Cascio. È un bel borgo fortificato, come testimoniano le mura seicentesche che lo circondano.
Furono erette dagli Estensi, per proteggerlo dai Lucchesi. A fine luglio si terrà la Sagra delle Crisciolette, una sorte di piadine, con farina di mais e grano duro. Peccato passarci oggi: niente festa.
Il murales del Sentiero Italia.
Alla stazione di Mologno per noi termina la prima parte della Via del Volto Santo
Ancora in discesa arriviamo a Gallicano. Sullo stradone un pannello con un calco in gesso del Volto Santo ci indica il cammino: è il nuovo segnale di questo tratto. Ci attende la Chiesa romanica di San Jacopo, ma la troviamo chiusa, per cui la guardiamo da fuori. È stupenda. Poi proseguiamo per Mologno, poco prima di Barga.
Il week-end è agli sgoccioli e bisogna rientrare. Alla stazione, dove passa anche una corriera per tornare alla nostra macchina, terminiamo la tappa.
Finiremo il cammino più avanti, ripartendo da qui. Non sappiamo quando, ma questo è il bello dei cammini: non hanno scadenza e si possono riprendere da dove ci si è fermati l’ultima volta. D’altronde è sempre una buona opzione lasciare «aperto» un cammino vicino a casa e concluderlo nei ritagli di tempo.
La segnaletica del Volto Santo a Gallicano.
Con l’arrivo della primavera rinasce la voglia di mettersi in cammino
Anni fa Teo, il primo giorno di primavera, mi inviò una mail con un messaggio molto bello, che ancora ricordo. Non so se fosse o meno farina del suo sacco, ma poco importa.
Recitava: «Con la primavera rinasce la voglia di mettersi in cammino e ricordare le sue radici fa sempre bene».
Ed è proprio a metà marzo di quest’anno che decidiamo di terminare il Cammino del Volto Santo, lasciato incompiuto la scorsa estate per altri impegni. Manca poco. Il grosso è stato fatto, ma abbiamo voluto tenerci queste ultime tappe per gustarci un po’ più a lungo la Garfagnana, un angolo nascosto - e per questo preservato - della Toscana.
Il ponte medievale di San Michele Garfagnana.
Gli Appennini sono costellati da antiche vie di transito e meravigliose abbazie
Per tornare al punto di ripartenza della Via del Volto Santo attraversiamo gli Appennini dal Passo delle Radici.
Di qui passava la Via Bibulca, un’importante via di comunicazione medievale, che univa il Modenese con la Garfagnana, molto prima della Via Vandelli. Era chiamata così perché larga quanto due buoi appaiati con carro al seguito: una vera autostrada ante litteram.
La via era costellata da luoghi di culto medievali, dediti anche all’accoglienza di mercanti, viandanti e pellegrini, come la Pieve di Rubbiano, l’Abbazia di Frassinoro (fondata dalla madre di Matilde di Canossa, gemellata con Cluny e col privilegio di riscossione del pedaggio sulla via) e il Santuario di San Pellegrino in Alpe.
San Pellegrino in Alpe.
Barga, il centro più popoloso della Valle del Serchio, è uno dei più bei borghi d’Italia
Poco prima di arrivare al Passo Radici incrociamo la Via Vandelli. «La facciamo, prima di invecchiare troppo?» - propongo a Teo. Lui nicchia e mi fa: «Dai che andiamo a visitare il Santuario». Al Passo sembra inverno e la chiesa è gelida. Dietro l’altare riposano mummificati gli eremiti Pellegrino e Bianco. Peccato che non abbiamo molto tempo.
«Se vogliamo camminare è meglio andare!» – sentenzia Teo.
E così scendiamo in Garfagnana. A Mologno riprendiamo la Via del Volto Santo. La salita verso Barga è faticosa, ma il Duomo di San Cristoforo ripaga dello sforzo.
Dal suo piazzale si vede tutta la cittadina e persino la strada da cui siamo scesi prima. Ora è chiusa per il rally. Facciamo asfalto fino al bivio per la Pieve di Santa Maria a Loppia, chiusa per restauro.
Un sentiero lastricato sale verso Filecchio. Al giardino dei sassi dipinti si devia verso Ponte all’Ania e poi si arriva a Piano di Coreglia.
Davanti al Duomo di Barga.
Lungo il Serchio, prima degli imballaggi di cartone, si producevano le statuine dei presepi
Teo mi chiede se mi va un caffè.
«Certo. E con un biscotto pasquale! Guarda che belli» – gli rispondo.
Io scelgo il coniglietto, Teo l’orso: ça va sans dire! (non serve dirlo). Nel frattempo il cielo ingrigisce.
«Meglio riprendere il cammino». Dopo una fabbrica di imballi, a fine paese, dietro ad una curva, ecco apparire un paesino arroccato.
«Sembra un presepe!» – esclama Teo.
È Ghivizzano. Sotto la rocca, una casa in pietra, con la statuina del Volto Santo sull’architrave, ci ricorda la meta del nostro cammino. Se la parte alta del borgo è ancora medievale, la parte bassa, lungo il fiume, è piena di stabilimenti abbandonati.
In zona si producevano scarpe e, soprattutto, le statuine in gesso per i presepi. Le casalinghe dei dintorni le dipingevano per arrotondare le entrate familiari. Con l’avvento della plastica questa produzione è morta: ora è rimpiazzata dalle cartiere. Oggi terminiamo la tappa a Ponte Calavorno.
Elena Casagrande - [email protected]
(La quarta puntata della «Via del Volto Santo» sarà pubblicata mercoledì 31 luglio)
Il giardino dei sassi.