Migrazione nel Mediterraneo Centrale – Di A. Giada Dibenedetto
Il raccordo tra la nuova politica dell’Unione Europea e l’accordo Italia-Libia
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Il flusso migratorio che percorre la rotta del Mediterraneo centrale prosegue con più di 181.000 arrivi sulle coste italiane facendo del 2016 un anno da record anche per il numero di vittime, che ha superato la soglia dei 4.500.
Questo nonostante la presenza della missione navale europea Sophia, operante da giugno 2015 e finalizzata a smantellare la fitta rete criminale dei trafficanti di uomini e a salvare vite in mare.
Con l’avvicinarsi della primavera 2017 si rischia un ulteriore picco degli arrivi, complici le più alte temperature e le favorevoli condizioni di navigazione.
Al fine di arginare il fenomeno, l’Unione Europea ha lanciato una nuova serie di misure, e l’Italia ha siglato un accordo bilaterale con il Consiglio Presidenziale della Libia, Paese di transito per il 90% di migrati e rifugiati diretti in l’Europa.
Il 2 febbraio 2017, i Premier Paolo Gentiloni e Fayez al-Sarraj hanno firmato un memorandum finalizzato alla cooperazione tra l’Italia e la Libia per mettere in sicurezza i confini libici e contrastare l’immigrazione illegale.
Il testo, tanto impegnativo quanto ambizioso, punta a rafforzare le istituzioni di sicurezza e di difesa libiche e a migliorare la situazione socio-economica del Paese con sostegno tecnico e finanziario da parte dell’Italia e dell’Unione Europea.
Nella stessa direzione va la dichiarazione di Malta, adottata a seguito dell’incontro informale avvenuto il 3 febbraio tra Capi di Stato e di governo dell’Unione a La Valletta.
Le priorità emerse al summit sono state quelle di continuare e rafforzare l’addestramento della guardia costiera libica, iniziato a ottobre 2016 nell’ambito di operazione Sophia, ma anche di supportare lo sviluppo delle comunità locali nel paese e migliorare le condizioni dei centri di accoglienza, assicurandone il rispetto degli standard internazionali sui diritti umani.
L’Unione, inoltre, assisterà coloro che vorranno volontariamente far ritorno in patria, promuoverà campagne di informazione e programmi di ri-allocazione per i rifugiati che necessitano protezione internazionale.
Al fine di rendere operative tali azioni, l’Europa mobiliterà 220 milioni di euro per il nord-Africa.
L’accordo Italia-Libia e la dichiarazione di Malta rappresentano un netto cambiamento nell’approccio europeo nei confronti del fenomeno migratorio: si è infatti passati da un’azione prettamente militare e difensiva a un focus più umanitario incentrato sul capacity building.
I leader europei hanno deciso di mettere in atto una strategia che risolva il problema alle sue radici e che coinvolga i Paesi di origine, transito e arrivo nella lotta ai trafficanti di uomini.
Tale cambiamento può essere spiegato da due fattori principali e collegati tra loro.
Il primo e più evidente è costituita dai limiti mostrati dalla politica attuale nel gestire il flusso di immigrati e rifugiati, propri anche della capacità deterrente di operazione Sophia.
Quest’ultima avrebbe infatti potuto raggiungere il proprio obiettivo avanzando nel suo mandato, consistente in quattro fasi: raccogliere informazioni sul modus operandi dei trafficanti di uomini (fase 1); fermare, ispezionare e sequestrare imbarcazioni sospettate di essere usate per la tratta di esseri umani in alto mare (fase 2A) e successivamente in acque territoriali libiche (fase 2B); neutralizzare le imbarcazioni e le strutture logistiche usate dai trafficanti anche sul suolo libico (fase 3); ritiro della task force e completamento dell’operazione (fase 4).
Attualmente l’operazione è ferma alla sua seconda fase, la flotta europea si trova in acque internazionali e ha sino ad ora contribuito a neutralizzare 370 imbarcazioni.
Durante il suo incontro con il Presidente del Consiglio Europeo Tusk, Serraj ha dichiarato che non darà il proprio consenso all’operazione navale europea per accedere alle acque territoriali libiche.
Tale decisione, altamente prevedibile, rappresenta la seconda motivazione alla base della svolta dell’Unione nell’affrontare la crisi migratoria.
Il governo di Serraj, infatti, sta ancora lottando per imporre la sua autorità e riunificare il Paese.
Permettere alle forze occidentali di entrare nel suo territorio potrebbe non solo rendere questo processo ancora più difficile, ma anche peggiorare ulteriormente l’attuale situazione politica e securitaria libica.
Svanita per il momento la possibilità di intervenire in loco, all’Europa potrebbe non restare che optare per una soluzione meno invasiva: agire a livello regionale, eradicare parte delle ragioni alla base del fenomeno migratorio nel Mediterraneo centrale e, allo stesso tempo, proseguire nella lotta contro i trafficanti di uomini condividendo informazioni e intelligence con i Paesi sulla via della tratta.
Sia la dichiarazione di Malta che il memorandum «Gentiloni-Serraj» si concentrano infatti sulla dimensione nord-africana lanciando tre azioni ampie e impegnative: mettere in sicurezza i confini libici, intensificare la cooperazione euro-africana e supportare lo sviluppo socio-economico dei comuni situati lungo il percorso migratorio.
L’Unione Europea, con l’Italia in prima linea, si impegna a fornire training, attrezzatura e sostegno alla guardia costiera nazionale libica e alle altre autorità competenti al fine di far loro acquisire pieno controllo dei confini marittimi e terrestri del paese e di essere in grado di organizzare operazioni di ricerca e salvataggio in aree designate (in acque territoriali e non).
Operazione Sophia continuerà il programma di addestramento a bordo di navi europee in alto mare, assistita dal supporto tecnico della Guardia di Finanza italiana.
Le autorità libiche dovranno anche essere in grado di controllare gli arrivi dei migranti dal sud del Paese. Per semplificare tale compito l’Europa ha promosso un dialogo tra la Libia e i paesi meridionali limitrofi per cooperare nel gestire i confini comuni.
L’obiettivo finale è evidentemente quello di fornire al governo di Serraj tutti i mezzi per rafforzare le proprie frontiere e contribuire al contrasto dell’immigrazione illegale, essendo la Libia un Paese di transito.
La seconda azione lanciata dai leader europei è il rafforzamento della collaborazione dell’Unione con i Paesi dell’Africa settentrionale per combattere i trafficanti di uomini.
Prioritario per Malta è rendere operativo il Seahorse Mediterranean Network entro questa primavera.
Nello specifico, si tratta di una rete sicura di comunicazione che già connette sette Paesi europei (Italia, Malta, Grecia, Cipro, Francia, Spagna e Portogallo) e che si ha intenzione di estendere nel Mediterraneo tra i Paesi del nord-Africa per scambiare informazioni e coordinare azioni.
Il progetto aumenterebbe la consapevolezza delle autorità nordafricane sul traffico illegale che avviene sul proprio territorio e incrementerebbe la capacità di reazione.
L’Europa punta anche a intensificare la collaborazione con l’Egitto, la Tunisia e l’Algeria, Paesi di partenza per il 10% dei migranti.
Seppur in misura minore rispetto alla Libia, questi paesi sono altrettanto colpiti dal fenomeno migratorio.
Inoltre, con il rafforzamento dei confini libici si rischia un diversificamento delle tratte del traffico di uomini nella regione, rendendo così necessario prendere misure preventive: assistere l’Egitto, la Tunisia e l’Algeria nello sviluppo di un sistema di gestione dei migranti idoneo alle regolamentazioni internazionali e coinvolgere questi Paesi in iniziative comuni come Seahorse Mediterranean network.
Un’azione concreta al riguardo è stata intrapresa il 9 febbraio quando i Ministri degli Esteri italiano e tunisino, Angelino Alfano e Khemaies Jhinaoui, hanno firmato un accordo per contrastare congiuntamente l’immigrazione illegale e rafforzare il controllo delle frontiere della Tunisia.
La terza e forse anche più lungimirante iniziativa europea è quella di avviare programmi di sviluppo nelle città costiere del nord-Africa per migliorarne la condizione sociale ed economica, creando opportunità lavorative e garantendo l’accesso ai servizi di base.
L’obiettivo è duplice: favorire l’integrazione locale di alcuni migranti che hanno raggiunto l’Africa settentrionale incentivandoli così a non intraprendere il pericoloso viaggio per mare e garantire ad altri la possibilità di tornare nel loro paese di origine.
Quest’ultima opzione è su base volontaria e richiede un impegno dei Paesi ospitanti nel garantire adeguate condizioni di sicurezza.
L’Italia si è impegnata, siglando l’accordo con il governo di Serraj, a fornire sostegno e finanziamento in settori quali la sanità, le infrastrutture, l’insegnamento e i trasporti oltre che a formare il personale libico operante nei centri di accoglienza.
I leader europei hanno lanciato un piano estremamente ambizioso che mira a mettere in atto una strategia molto ampia, una cosiddetta comprehensive strategy, concetto molto acclamato nel contesto dell’Unione.
A seguito di numerosi disappunti, soprattutto per il suo approccio militare a una crisi umanitaria, operazione Sophia sembrerebbe essersi fermata a metà strada del suo mandato, continuando la missione in alto mare e aiutando le numerose ONG presenti nel Mediterraneo centrale a effettuare ricerca e salvataggio.
L’Europa punta dunque sull’Africa settentrionale e sulla cooperazione a livello regionale e ad arginare il fenomeno migratorio lì dove scaturisce.
La lotta ai trafficanti di esseri umani continua, e probabilmente godrà di maggior successo se la cooperazione UE e nord-Africa dovesse raggiungere il livello auspicato.
Infine, la sicurezza della Libia e dei migranti presenti nel paese è nelle mani del Governo di Riconciliazione Nazionale supportato dall’Unione, così come auspicato dal premier Serraj.
Le azioni lanciate dall’Europa e l’iniziativa italiana daranno risultati positivi nel lungo termine, poiché affrontano alcune delle problematiche alla base della crisi migratoria.
Tuttavia è molto improbabile che vi sarà una netta diminuzione nel numero degli arrivi durante la primavera 2017, trattasi infatti di azioni che necessitano di tempo per concretizzarsi.
Inoltre, se tali misure dovessero portare a una riduzione dell’utilizzo della tratta del Mediterraneo centrale per il traffico di uomini, c’è da aspettarsi un adattamento e una riorganizzazione delle rotte utilizzate.
Considerando che l’accordo UE-Turchia nella tratta orientale sta dando risultati positivi, si potrebbe registrare un aumento nel numero di passaggi nel Mediterraneo occidentale.
Alessandra Giada Dibenedetto
(Ce.S.I.)