Fuoco di fila di domande a Marchionne da Ferruccio De Bortoli
L'A.D. della Fiat, fra sindacati, finanza e mercati globali «Italia troppo diversificata, a Verona trovi l'accordo, a Torino no» «L'auto ibrida fra dieci anni, l'idrogeno fra trenta»
È cominciata con un vibrato
intervento in sala di Sergio Casagranda della Cgil del Trentino sul
precariato e gli infortuni sul lavoro l'incontro di stasera con
Sergio Marchionne, classe 1952, doppia cittadinanza, italiana e
canadese, amministratore delegato del gruppo Fiat dal 2004 e alla
guida di Fiat auto dal 2005.
Un incontro guidato da Ferruccio De Bortoli e iniziato con un fuoco
di fila di domande sulla crisi finanziaria e i rischi dei fondi
subprimes e conclusosi con un excursus sull'auto del futuro.
«L'ibrida fra dieci anni, quella ad idrogeno fra trenta, perché ci
sono da superare enormi problemi infrasrutturali, anche se il
problema ambientale è gravissimo, il che giustifica la ricerca che
si sta facendo sull'impiego di biocarburanti.»
«La Fiat di oggi è in linea con quello che chiedeva il sindacalista
- ha detto Marchionne in apertura - ma abbiamo avuto incidenti
inaspettati. La maggior parte degli incidenti può essere evitata
rimanendo fedeli al sistema di regole presenti all'interno
dell'azienda.»
«Lei è mai stato precario?», ha incalzato De Bortoli.
«No, ma io sono cresciuto negli Usa, lì tutti sono precari. Sono
arrivato a 56 anni senza un contratto di lavoro che mi abbia
protetto.»
Come sceglie una multinazionale dove investire? La democrazia
conta? Per il manager Fiat sì, è una variabile da prendere in
considerazione. Quanto all'Italia, la situazione è troppo diversa
da regione a regione.
«Sono appena stato a Pescara, dove abbiamo uno stabilimento assieme
alla Peugeot, che ha lavorato per quattro mesi di fila, domeniche
comprese. Siamo passati da una produzione di 4.000 auto a 7.000.
Non è che l'Italia non sia capace di fare certe cose, ma a Termini
Imerese, ad esempio, abbiamo cercato un accordo con tutti gli
attori, per espandere la produzione, passando da 90.000 a 200.000
auto. Non ci siamo riusciti. Se il sistema, per ragioni di potere o
conservazione dei ruoli, mette tutti gli ostacoli possibili, la
multinazionale si sposta, perché il mercato non aspetta.»
Marchionne poi ha negato che la Fiat adotti standard diversi a
seconda del fatto che operi nel suo paese o in realtà dove le
regole sono meno rigide.
«Gestire l'azienda con principi chiari in ogni paese oggi è
fondamentale.»
Una lunga parte della conversazione a due voci è stata dedicata ai
mercati finanziari - schiacciati fra un'attività che è globale e un
sistema di vigilanza locale - e al problema della crisi dei mutui
subprimes.
«Non vi voglio terrorizzare - ha ripetuto più volte Marchionne - ma
è chiaro che ci vogliono regole chiare sui rischi che le banche
possono assumersi e sulla trasparenza del loro operato. La crisi
verrà e sarà terribile»
Ma interrogato sul coinvolgimento della Société Generale, massima
banca francese e una delle più grandi d'Europa, nella crisi dei
mutui, ha glissato.
«Abbiamo ottimi rapporti, quando eravamo in difficoltà ci hanno
aiutato, non voglio giudicare. Il problema - ha aggiunto - è che
quando si manifesta una crisi finanziaria si vanno sempre a cercare
i responsabili, ma nel sistema finanziario non è così facile. Chi
ha creato il marchingegno dei subprimes saranno state cento
persone.»
Di nuovo, per Marchionne, bisogna creare regole chiare sulle
attività e i rischi che i gruppi finanziari possono assumersi,
anche perché stiamo parlando di realtà che possono distruggere un
paese.
Poi ancora questioni tecniche. I fondi sovrani (ovvero controllati
dai governi e usati per investimenti all'estero)?
«Bisogna stare attenti.»
«Quando i libici entrarono in Fiat…»
«Io non c'ero.»
«E i fondi attivisti, sempre positivi?»
«No.»
«I fondi di private equity?»
«Non mi sono mai piaciuti.»
«Sono peggio gli analisti o i giornalisti?»
«Fin che lei rimane qui, gli analisti.»
Dopo avere spezzato una lancia in favore del Centro ricerche Fiat
di Trento, Marchionne è tornato a parlare dell'Italia come di un
paese con scarsa capacità di attirare investimenti.
«Ci sono troppi problemi da superare, accordi da fare. Abbiamo
cercato un accordo sindacale per mesi, in Piemonte. Impossibile.
Siamo venuti a Verona, abbiamo fatto l'accordo con la Provincia.
Parliamo di una fabbrica che passerà da 400 a 1.000 posti di
lavoro; i 400 pian piano andranno in pensione, 1.000 posti di
lavoro nuovi creati. A Verona le cose si fanno, a Torino no. Questa
è l'Italia. Una realtà molto disomogenea.»
«Contano le corporazioni?»
«Sì.»
«E il sindacato?»
«Il sindacato è utile, il problema è il rapporto con un'impresa che
deve essere la più competitiva nel mondo, e invece deve usare
strumenti antiquati, mantenere un accordo fatto nel '93, quando la
realtà del mercato era completamente diversa. Io voglio bene
all'Italia, ma operiamo in 190 paesi…»
«Ma nel Sud, ci sono possibilità?»
«In Provincia di Chieti. A Sud del Po.» (Marchionne è originario di
Chieti - NdR).
«Esiste una questione salariale?»
«Sì. Per risolverla bisogna tagliare gli oneri sociali. E' uno
scandalo la differenza fra la busta paga e quel che resta in tasca
al dipendente alla fine.»
«Ma non è scandalosa anche la differenza di retribuzione fra un
supermanager e un suo operaio?»
«La maggior parte della mia retribuzione è variabile. Se non
ottengo risultati prendo zero. E posso essere mandato a casa. Io
sono il più precario alla Fiat.»
Infine, anche alcune questioni un po' più «leggere». Ad un giovane
Marchionne consiglierebbe soprattutto apertura mentale, perché
«quando un ingegnere esce dall'università pensa di sapere tutto, e
invece non è così».
Se potesse ripartire a studiare Marchionne andrebbe in Inghilterra,
«perché mi piace la pioggia», e se dovesse invece scegliere un
Paese ideale, diciamo un Eldorado degli affari, sceglierebbe a
sorpresa la Russia, non la Cina, troppo ingessata dalla burocrazia.
E comunque, non si dedicherebbe ad attività di tipo
finanziario.
L'amministratore delegato della Fiat considera indispensabile la
ricerca sui biocarburanti, anche per contrastare un problema
ambientale che però, avverte, è generato ancora in massima parte
dall'uso del carbone. Ma l'auto ad idrogeno è lontana, bisognerà
aspettare trent'anni.