Controcanto (commosso) al bullismo. Di Vittoria Haziel
«Il vero scoop, alla fine, rimane nelle lacrime, che vorrei fossero contagiose per tutti i pellegrini che vanno all'informazione bugiarda o di parte, magari senza nemmeno averla come meta...» (Settima Parte)

Possibile, cari pellegrini («da
Vinci» e non), che un cammino sia fatto anche di passi
indietro? Direi di sì, e credo che ognuno di noi abbia esperienze
in merito. Tornare indietro per rivedere qualcosa che ci interessa,
e magari con occhi diversi come abbiamo già detto, oppure tornare
perché si è sbagliato strada, si è dimenticato qualcosa o si è
richiamati da qualcuno nel luogo già visitato.
Proprio questo è stato il mio caso.
Sono stata catapultata a tornare indietro per parlarvi della città
della luce, ricordate? Quella Piossasco in provincia di Torino dove
è nato il dimenticato inventore italiano della lampadina elettrica,
Alessandro Cruto. Torno sui miei passi per farvi - in uno scenario
di luce e ombra - il controcanto al bullismo.
Che c'incastra? direbbe Di Pietro. Vedrete che c'incastra.
E sapete perché? Perché c'è un'altra scuola, ci sono altre scuole
diverse da quelle che ci sbattono in prima pagina i giornali:
amministrate da professori incompetenti, menefreghisti e ignoranti
e popolate di allievi violenti e fannulloni, quelli delle riprese
video spazzatura mandate in internet, delle scene di sesso con i
docenti, e via a tutto andare sulla scia del negativo.
L'occasione è una recita di fine anno, come ce ne saranno a
migliaia di questi tempi.
Buttiamo giù una bozza di sceneggiatura dello spettacolo, che a
dire la verità non so quanta parte sia sul palco e quanta al di
qua. Sul copione è scritto: interno giorno, scuola media statale
(«sms», per abbreviare come è nostra usanza) «Alessandro Cruto»,
sala incontri. Cinquecento cappellini bianchi con il logo e l'icona
«Spegni la luce - accendi il tuo cuore». Una scritta, un programma.
Cinquecento studenti seduti per terra.
Sul palco i compagni-attori. Il regista (prof. Castellucci)
attraversa come una gazzella la sala in tutte le direzioni, si
agita per suggerire frasi e movimenti, entrate e uscite di scena,
toglie e mette oggetti, suda, ha gli occhi che brillano. L'autore
delle musiche (prof. Cardellicchio) è con una mano al pianoforte
elettrico, con l'altra al computer, segue sul pentagramma la luce e
l'ombra, mixa gli anni sessanta con quelli del terzo millennio,
classico e moderno, rock e pop. Alle luci mettiamo un altro prof.
di cui non ho ben capito il nome: mi pare Ronzio, ma vado a
orecchio e me ne scuso. L'emozione era più forte della scrittura
mentre prendevo appunti veloci. Forse andrò sul blob degli articoli
buffi…
La
sceneggiatura non può dimenticare il back stage, ovvero quanti
dietro le quinte hanno lavorato con passione nelle ore libere e non
può dimenticare il dietro le quinte degli studi che affrontano i
ragazzi oltre le recite messe su alla svelta in un paio di mesi:
alle ore normali in classe aggiungono quelle per la patente europea
di computer o per imparare le lingue, le ore dedicate allo sport o
a coltivare un hobby.
Scriveremo nella sceneggiatura: ragazzi a tempo pieno. E
continueremo con le rilevazioni d'animo del cronista sensibile:
livello energetico altissimo, emozioni forti e profonde. Anche se
con un po' di pudore, aggiungo una nota a margine: lacrime di
commozione.
E qui concedetemi una sosta di pensiero. Perché piangi, cronista?
Di quante particelle è fatta una lacrima? E quanta parte di
commozione (non) smuove (più) il mondo? Chiamata
in causa, rispondo per me, naturalmente.
Piango perché ancora una volta vedo una realtà che non fa notizia,
che non finirà mai sulla bocca dei media. Una recita di fine anno.
E allora? Quel che c'è tra le righe non può leggerlo chi apre un
giornale, lo conoscono invece quelli che stanno, non nella realtà
raccontata dai cronisti, ma in quella vissuta dalla gente ogni
giorno, dietro ogni porta o sulle strade.
Milioni di realtà di back stage. Piango per quello che vedo
rappresentato sulla scena: la storia dell'uomo dalla notte dei
tempi, e poi di quell'uomo in particolare che ha dato luce al buio,
chiarore stabile al tremolio delle fiammelle. Ai suoi tempi primo
sulla scena internazionale.
La sceneggiatura va avanti: tenebre della paura, della solitudine,
dell'ignoto, dell'ignoranza. E poi luce che libera dalle catene
dell'oscurità. E allora mi scappa una lacrima per tutte le vite
senza luce, consumate interamente al buio per le violenze subite.
Vite strappate o negate. O, quel che è peggio, ignorate: mi
commuovo anche per quelle, come il nostro inventore, che una Storia
ingiusta, a volte distratta e arrogante ha seppellito nel buio
della dimenticanza.
Forse peggio ancora della negazione. Peccato grave d'omissione, per
dirla nel gergo dei «pc» (i «pellegrini comuni» che battono cammini
di santo in santo prendano nota). Piango per i torti storici che
nessuno ha mai raddrizzato.
In questa «sms» c'è voluto un preside di Calatafimi (il
prof. D'Anna) a far nascere anni fa la curiosità su chi fosse quel
signore di cui la scuola portava il nome. Esempio (semplice) di
mente reattiva e appassionata. Naturalmente, non posso che prendere
a (virtuale) braccetto questo preside di matematica formazione e
d'origine sicula, io pisana di nascita e per di più di umanistica
formazione, che ho ripescato dal pozzo dell'oblio il muratore
piemontese con il pallino della chimica e della fisica, che ha
superato Edison! Vedete che triangolo? Bizzarro d'un destino!
Il copione dello spettacolo affronta la forza e la fragilità
dell'uomo, i vincitori e i vinti. Mi sussurrano che l'attore che
sta raggiungendo in alto la fiammella del fanale con lo
spegnimoccolo è un ragazzo sordomuto, e gli occhi mi si
inumidiscono. E come non commuoversi alle note e alle parole di
«Vecchio frack» cantata dal grande Mimmo che invece ancora oggi
vive d'immortalità? E come non ricordare i 50 anni di «Volare», se
si parla di uomini con le ali che ci hanno fatto volare nel mondo
in groppa a una lampadina, una canzone, o alle strabilianti opere
non solo d'arte, come il da Vinci nostra guida?
Anche le lacrime hanno nodi che si attorcigliano: sono fatte di
gioia e di dolore, nostalgia, rimpianti, empatie e simpatie. L'uomo
in frack è lui, l'inventore di Piossasco che nel titolo del mio
libro ho chiamato «Il signore della luce» anche perché era
l'immagine della persona dabbene, che non si sarebbe mai fatto
bello con le penne degli altri.
Nella sceneggiatura della sua vita mettiamo dunque: uomo onesto,
nobiltà d'animo. E vado avanti ad asciugarmi gli occhi. Piango
lacrime d'altra natura - lacrime di apprensione e di paura -
davanti alla carica energetica di giovani che la vita in molti casi
spegnerà e già immagino l'implosione dell'energia all'interno di
qualcuno di questi futuri uomini, con lo stesso livello di carica
dell'esplosione.
Leggo nella sceneggiatura ancora da scrivere: depressioni, ricerca
di droghe, violenze, buchi neri. Leggo la vita che spegne le
passioni, mentre assisto al frutto scenico della passione giovanile
di questi ragazzi alle prese con luci e ombre. La sceneggiatura
dice: danze, canzoni, scenette, costumi di ieri e di oggi,
scenografie. Chi ha fatto tutto quello che vedo? Il popolo di una
scuola che non fa testo, per di più la scuola di un piccolo paese.
E qui sono assalita dalla contraddizione che tira fuori l'ossimoro
di conoscenza della religione cristiana che abita, accovacciato e
timido dirimpettaio, vis a vis con la mia anticlericalità
tenace.
E vi dico, aprendo una parentesi e osando una parodia, «C'è
qualcosa di buono che può venire da Piossasco?», così come si legge
nei Vangeli «C'è qualcosa di buono che può venire da Nazareth?».
Piccola città della Galilea, piccolo borgo del Piemonte. Il
Nazareno disse «Voi siete la luce del mondo» e il piemontese
evidentemente prese alla lettera il monito. La luce (italiana) fu.
Era il 5 marzo 1880.
Continua la sceneggiatura delle musiche. Leggo «Pantera
rosa» e «Al chiaro di luna», «Il volo del
calabrone», «Resta cu'mmè» e «A te»
(l'ultima di Giovanotti, mi dicono).
Registro un'annotazione: tutti in coro. E infatti è l'intera sala,
come uno stadio, che adesso canta. La massa sonora sembra far
cantare anche i muri. L'emozione sale come un termometro per la
febbre alta.
Leggo
verso la fine: la luce danza e libera le tenebre dalle catene. Il
tutù e bianco. Le tenebre vestono la calzamaglia nera. Nel quadro
finale solo le anime sensibili possono leggere in profondità quanti
significati ci sono sull'ombra del personaggio Alessandro Cruto,
inventore dimenticato, che il tecnico delle luci proietta sul
fondale svelato: il dipinto del borgo con una data, 16 maggio 1883.
È il giorno che segna nella storia la prima città italiana
illuminata dalla luce elettrica. Sì, c'è qualcosa di buono che può
venire da Piossasco. Anche un regista raffinato come il prof.
Castelluccio, per esempio, che ha sottili tocchi magici come questo
(ma è un pellegrinaggio o una critica teatrale?).
La passione dei ragazzi e dei loro insegnanti mi riconcilia con la
vita e con l'informazione.
So bene (purtroppo) che nessuna testata o network verrà qui a
versare o far versare lacrime di commozione ai lettori ormai resi
insensibili. Mi basta questo: nel giornale della mia anima, con una
piccola estensione a quei venticinque lettori del settimanale
virtuale, c'è scritta una pagina di storia sotterranea e minima.
Quelle che sono sempre segnate come meta sulla carte dei miei
pellegrinaggi, e di tutti i «P(d)aV» (i «Pellegrini da
Vinci» ormai noti al lettore fedele).
E so bene che tante storie minime come questa fanno la storia
«altra» del mondo.
So bene che il mondo sopravvive grazie a pagine come questa,
altrimenti sarebbe andato già da tempo a gambe all'aria. Storie
semplici, storie comuni che non fanno né titoli né testo. Forse è
una parte più vicina alla poesia, lontana da una prosa avida di
notizie sconvolgenti, sangue, snaturamenti, eccezioni, follie.
Fine.
Cappellini che volano sulla scena. Applausi. Uno scroscio di
applausi, fischi e «Wowh!». Platea in delirio. E quando capiterà di
nuovo? Dico a me, scrittrice. Nemmeno vincessi il Premio Campiello!
Quando capiterà un'energia di centinaia di ragazzi che applaudono
perché il preside mi presenta come ospite d'onore? Ma sono io che
ho avuto l'onore di fare un'indigestione di energia positiva,
abboffandomi della storia dentro e fuori la scena, dentro e fuori
Piossasco, dentro e fuori Cruto, dentro e fuori il tempo presente e
la nostra nazione.
Mi nascondo il volto con un braccio davanti al fragore di tante
mani che schioccano. Non so se merito tanto, ma so che vi dico
«grazie» con il cuore. E vi auguro un futuro luminoso: ragazzi,
professori e tutti quelli dietro le quinte, dai genitori ai
segretari appassionati.
Il vero scoop, alla fine, rimane in queste lacrime che vorrei
fossero contagiose per tutti i pellegrini che vanno
all'informazione bugiarda o di parte, magari senza nemmeno averla
come meta. Nessuno nega i bulli e le bulle, nessuno nega il «canto»
giornalistico su di loro (perdonatemi l'eufemismo).
Ma ancora una volta trovo necessario il controcanto, qualsiasi tema
affronti lo spartito. Anzi, lo ritengo indispensabile. Non ci sarò
alla recita. La prova generale è sempre più interessante. Ricordo
le prove dei concerti o delle opere alle quali ho assistito nella
mia vita.
Quando il direttore d'orchestra amante del buon vino diceva ai
professori «riprendiamo da b come Barbera». E sull'onda di quei
ricordi mi rivolgo ai colleghi giornalisti e direttori e dico
«ricominciamo da l come lacrime».
Una società così annodata come la nostra ha bisogno della
commozione che sciolga i grumi che la soffocano. Ricordate il
bouquet di fiori con le lampadine che mi ha donato il sindaco? E'
opera di Marika, negozio di fiori «Il girasole», Piossasco. Mai
nella mia vita. Neppure nella Capitale, dove ho vissuto
decenni.
E a voi? E' mai capitato un mazzo di fiori con le lampadine? Non è
anche questo un (luminoso) esempio di made in Italy?
Mammina… ho perso forse la strada?
Vedo in lontananza una luce, che mi guida verso il prossimo
controcanto. Mi asciugo le lacrime, mi soffio il naso e riprendo il
viaggio. E poi spengo la colonna sonora: «Una lacrima sul viso». E
quale sennò?
Sapete che vi dico? Che stavolta anche Mastro Leonardo è rimasto
nell'angolo a far da spettatore. Lui, inventore di feste e
spettacoli, creatore di fantasmagorici effetti, giochi di luci e
ombre. Penso alla Festa del Paradiso creata per il matrimonio di
Gian Galeazzo Sforza con Isabella d'Aragona. Fortunati loro! Penso
al leone con il petto che si apriva per farne uscire i gigli ideato
per le feste alla corte di Franceso I re di Francia in quel di
Amboise. Avrà versato lacrime, l'inventore degli inventori? Non lo
so. Ma certo, le emozioni e la commozione che suscita hanno fatto
un pellegrinaggio di più di cinquecento anni fino a noi.
E lui lì a dirigere, costruire, inventare, re di canti e
controcanti (cantava davvero, e con una voce splendida, stando ai
biografi). Anche lui, Signore della Luce.
Davincianamente e luminosamente
vostra
Vittoria Haziel
Nelle immagini,
dall'alto: Vittoria Haziel con un raro esempio di made
in Italy della città della luce, fiori e lampadine. Bozzetto
autografo della lampadina disegnato dal suo inventore, Alessandro
Cruto da Piossasco.