Storie di donne, letteratura di genere/ 538 – Di Luciana Grillo
Suzumi Suzuki, «L’ultima poesia» – Questo è un romanzo intenso, attraversato da un dolore sordo e profondo
Titolo: L'ultima poesia
Autrice: Suzumi Suzuki
Traduttrice: Chiara Pasqualini
Editore: Leggereditore, 2024
Pagine: 128, Brossura
Prezzo di copertina: € 12
Romanzo attraversato da un dolore sordo e profondo, causato nella giovane protagonista da un rapporto molto complesso con la madre, che ha lasciato quando aveva solo diciassette anni.
Lavora come intrattenitrice nel quartiere notturno di Tokio, vede la madre raramente, ma quando sa che è gravemente malata la accoglie nella sua minuscola casa.
La mamma scriveva poesie, e l’ultima vorrebbe scriverla proprio lì, ma in casa di questa figlia a cui non chiede mai di farle compagnia, di non uscire, di fermarsi con lei, non riesce neanche ad aprire la sua borsa per tirare fuori carta e penna.
La figlia prova rancore nei confronti di questa donna, vorrebbe «ridurre tutta la coabitazione con lei alla camera più grande affacciata sull’ingresso», vorrebbe che la mamma le «chiedesse scusa… desideravo che si scusasse con me… Per non vedere la sua faccia gettai nel lavandino gli spaghetti che aveva lasciato…», e finalmente la mamma, barcollando, le si avvicina e le accarezza «il dorso del braccio, partendo dal tatuaggio (che copre) cicatrici da ustione che dal rosso si sono scolorite nel bianco. La donna che ora cammina debole nella mia stanza… mi ha bruciato la pelle».
Magra, scheletrita, senza voglia di vivere, le dice: «Non ho più tempo. Davvero, ormai. Anche se sento che ci sono ancora tante cose che dovrei insegnarti».
È in quelle bruciature che si annida il mistero.
Dopo pochi giorni, la situazione si aggrava, la figlia porta la madre in ospedale, la piccola casa è sempre più vuota, in un angolo si ammassano panni sporchi, anche la figlia si lascia andare.
Si licenzia, mantiene rapporti per così dire epistolari (via chat) con qualche amica, ripensa ad Eri morta di recente, suicida, beve molto, vuole stordirsi e non pensare, va regolarmente a trovare la madre che assume antidolorifici e mangia sempre meno… poi compare un uomo misterioso che aveva conosciuto sua madre da ragazza, quando cantava in un locale e aveva una relazione con un uomo sposato.
La figlia conosce questa storia, l’uomo sposato era suo padre, che la mamma aveva incontrato quando dal piccolo paese in cui viveva era arrivata in città.
La figlia comincia a sbrogliare i fili intricati di questa storia e ricorda che, da adolescente, «avevo paura a stare da sola con lei. Solo all’inizio di quel periodo facevo vedere ai miei amici le ustioni che mi aveva fatto perché mi compatissero, ma quando andai via di casa per molto tempo non le feci vedere più a nessuno», e con i tatuaggi che rappresentavano due gigli e un serpente li nascondeva agli occhi di tutti.
La madre muore, la figlia porta a casa la borsa che contiene l’occorrente per scrivere e trova un quaderno che la mamma ha cominciato a usare quando ha saputo di essere ammalata gravemente.
Qualche poesia, qualche disegno, qualche canzone, tracciati con caratteri confusi. In una pagina due versi:
Presto sarà notte.
Lo capisci?
Poi uno spazio bianco e ancora alcune parole:
La porta si chiuderà di colpo!
Quando la porta si chiuderà, non serviranno spiegazioni.
Come sarebbe bello se si chiudesse serenamente.
La figlia, forse finalmente serena, si accarezza il braccio, non sente più le irregolarità della sua pelle, ricorda il fuoco, ma non sente il dolore che può provocare.
Questo è un romanzo intenso, si vive con la figlia, l’io narrante, se ne comprendono gli atteggiamenti, la si vede entrare ed uscire da casa, si sente il cigolio della porta.
E la si immagina sola.
Luciana Grillo - [email protected]
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