70 anni dell’Italia nella NATO – Di Alessandra Giada Dibenedetto
La difesa collettiva rappresenta l’anima della NATO: un attacco ad uno Stato membro viene considerato come un’aggressione nei confronti dell’intera Alleanza
Settanta anni fa, il 4 aprile 1949, dodici Stati firmavano il trattato di Washington dando così vita all’Alleanza Atlantica, un’organizzazione di stampo militare allora finalizzata a prevenire e contenere le potenziali mire espansionistiche dell’Unione Sovietica verso l’Europa Orientale.
Oggi la NATO ha allargato i propri confini sia geograficamente sia in termini di obiettivi e missione.
Di fatto, l’Alleanza conta 29 Stati membri e si accinge ad accogliere la Repubblica della Macedonia del Nord come trentesimo Paese alleato.
Lo scopo attuale dell’Alleanza è garantire libertà e sicurezza agli Stati membri, promuovere la pace e prevenire eventuali conflitti attraverso strumenti di tipo militare ma anche politico.
Secondo il più recente Concetto Strategico approvato nel 2010, i compiti principali che spettano alla NATO sono: la difesa collettiva, la gestione di eventuali crisi e la sicurezza cooperativa.
La difesa collettiva rappresenta sicuramente l’animo della NATO stessa; come definito dall’articolo 5 del Patto Atlantico, infatti, un attacco ad uno Stato membro viene considerato come un’aggressione nei confronti dell’intera Alleanza.
Nella storia della NATO, l’articolo 5 è stato invocato per la prima e unica volta a seguito degli attentati terroristici dell’11 settembre 2001 che colpirono gli Stati Uniti.
In risposta alla richiesta di Washington, la NATO aveva lanciato l’operazione Eagle Assist, che prevedeva il dispiegamento di sette aeromobili NATO AWACS sui cieli statunitensi per missioni di pattugliamento, e Active Endeavour, missione incaricata di monitorare i transiti nel Mar Mediterraneo per eventualmente individuare e scoraggiare le attività terroristiche nonché prevenire il possibile traffico di armi di distruzione di massa.
Col passare degli anni e il conseguente cambiamento dell’assetto securitario transatlantico e delle minacce che potrebbero intaccare la sicurezza dei Paesi NATO, l’Alleanza ha avviato un processo di cambio di veste che la vede adattarsi agli scenari presenti e futuri.
In particolare, i Summit che si sono susseguiti dal 2014 in poi, sono stati caratterizzati da un ripensamento delle priorità e della postura dell’Alleanza Atlantica.
Di fatto, l’annessione della Crimea da parte della Russia ha portato la NATO a focalizzare la sua attenzione sul fronte est e lanciare nuove operazioni volte a proteggere i Paesi alleati situati più ad Oriente.
Solo nel 2016, durante il Summit di Varsavia, i Capi di Stato e di Governo hanno adottato un approccio definito a 360° e che guarda a tutti i possibili fronti di instabilità: dal confine orientale a quello meridionale passando per l’area del Mar Nero.
Ad accompagnare tale nuovo approccio è la volontà di proiettare stabilità verso il fronte sud e affrontare le sfide che provengono dal bacino del Mar Mediterraneo attraverso principalmente missioni di addestramento come quelle approvate durante l’ultimo Summit di Bruxelles dello scorso luglio a favore degli ufficiali iracheni, giordani e tunisini.3
La NATO, quindi, raggiunge il traguardo dei suoi 70 anni con un bagaglio carico di successi in termini di espansione, missioni e cambiamenti dettati dal desiderio di modellare un’Alleanza per il ventunesimo secolo. Non a caso, di recente sono state apportate delle modifiche alla struttura stessa della NATO con la creazione di due nuovi comandi (uno in Germania per il supporto logistico e la mobilità militare e uno in Virginia per portare avanti il pieno spettro delle sue attività nel Nord dell’Atlantico) e l’approvazione di nuove iniziative come la Readiness Initiative che prevede la prontezza operativa in 30 giorni di 30 battaglioni meccanizzati, 30 gruppi di volo e 30 navi da guerra entro il 2020 per fronteggiare potenziali crisi.
Ce.S.I.
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