La notte del 10 febbraio di 100 anni fa, la «Beffa di Buccari»
Le reti antisiluranti impedirono l’affondamento di navi, ma D’Annunzio ebbe modo di ridicolizzare il nemico per la facilità con erano penetrati nel porto
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La beffa di Buccari fu un'incursione militare effettuata contro il naviglio austro-ungarico nella baia di Buccari (in croato Bakar), svolta da una flottiglia della Regia Marina su MAS nella notte tra il 10 e l'11 febbraio 1918, durante la prima guerra mondiale.
Nonostante le limitate conseguenze materiali, tale azione ebbe l'effetto di risollevare il morale dell'Italia, messo a durissima prova dallo sfondamento di Caporetto di alcuni mesi prima.
Dopo la vittoriosa incursione su Trieste del dicembre 1917, in cui i MAS 9 e 13, guidati, rispettivamente, da Luigi Rizzo e Andrea Ferrarini, avevano affondato la corazzata austro-ungarica Wien, fu decisa un'azione di forzamento della baia di Buccari dove erano stanziate diverse unità navali nemiche.
Il 9 gennaio 1918 l'ammiraglio Luigi Cito emanò le direttive e il giorno seguente l'ammiraglio Casanova, comandante della Divisione Navale di Venezia, emanò gli ordini dettagliati per l'esecuzione dell'operazione contro la baia di Buccari.
Le condizioni meteorologiche però non consentirono l'effettuazione dell'uscita e questa venne rinviata fino al 4 febbraio, quando una ricognizione di un idrovolante su Pola, Fiume e Buccari segnalò la presenza di quattro unità nemiche nella rada di Buccari.
Così il 7 febbraio vennero di nuovo emanati gli ordini esecutivi per un'azione nella baia di Buccari.
Le unità designate all'operazione furono il MAS 94 (sottotenente di vascello CREM Andrea Ferrarini), il MAS 95 (tenente di vascello compl. Odoardo Profeta De Santis), e il MAS 96 (capitano di corvetta Luigi Rizzo) con, a bordo, il comandante di missione capitano di fregata Costanzo Ciano e Gabriele D'Annunzio.
Gli ordini prevedevano la costituzione di tre gruppi navali di cacciatorpediniere ed esploratori a traino e sostegno dei tre MAS:
1º gruppo (capitano di fregata Pietro Lodolo) composto dall'esploratore Aquila e dai cacciatorpediniere Acerbi, Sirtori, Stocco, Ardente e Ardito; le unità dovevano ancorarsi a Porto Levante e tenersi pronte ad intervenire su ordine del comando in capo di Venezia.
2º gruppo (capitano di fregata Arturo Ciano) composto dai caccia Animoso, Audace e Abba che dovevano rimorchiare i MAS fino a 20 miglia a ponente dell'isola di Sansego (punto «O»), qui avrebbe ceduto a rimorchio i MAS alle torpediniere e si sarebbe riposizionato ad una distanza di 50 miglia da Ancona per fornire assistenza ai MAS nella fase di rientro.
3º gruppo (capitano di corvetta Matteo Spano) composto dalle torpediniere 18 P.N., 13 P.N. e 12 P.N., avrebbe rimorchiato i MAS fino alla congiungente Punta Kabile di Cherso - Punta Sant'Andrea (punto «A»).
Inoltre il sommergibile F5 sarebbe rimasto in agguato in un'area di 15 miglia a ponente di Pola e il sommergibile F3 a 15 miglia a sud di Capo Promontore.
Dopo quattordici ore di navigazione, alle 22:00 circa del 10 febbraio, i tre MAS iniziarono il loro pericoloso trasferimento dalla zona compresa tra l'isola di Cherso e la costa istriana sino alla baia di Buccari dove, secondo le informazioni dello spionaggio, sostavano unità nemiche sia mercantili sia militari.
Alle 18:30 avevano assunto la formazione in linea di fila con i MAS al rimorchio diretti all'isola di Unie.
Alle ore 22:15, giunti in prossimità del punto previsto, i MAS lasciarono i rimorchi e le siluranti diressero per il rientro.
I tre motoscafi iniziarono quindi l'attraversamento del canale di Faresina, senza che la batteria di Porto Re li scorgesse e, giunti a un miglio dalla costa, spensero i motori a scoppio per azionare quelli elettrici.
Alle 0:35 i MAS giunsero all'imboccatura della baia di Buccari senza incontrare ostruzioni e individuarono gli obiettivi, tre piroscafi da carico e uno da passeggeri.
I bersagli vennero quindi suddivisi tra i tre MAS: il MAS 96 piroscafo 1, il MAS 94 sarebbe stato l'unico a dover colpire due piroscafi, 2 e 3, e il MAS 95 il piroscafo 4.
Alle ore 01:20 i MAS lanciarono i loro siluri; il MAS 95 lanciò un siluro contro l'albero di trinchetto e un siluro al centro sotto il fumaiolo del piroscafo 4; il MAS 94 lanciò un siluro al centro del piroscafo 2 e al centro del piroscafo 3, mentre il MAS 96 lanciò due siluri al fumaiolo di cui uno esplose.
Dei sei siluri lanciati solo uno esplose, a dimostrazione che le unità erano protette da reti antisiluranti e che lo scoppio del secondo siluro del MAS 96 indicava la probabile rottura della rete col primo siluro che consentì la penetrazione del secondo.
Allo scoppio del siluro l'allarme fu immediato e i MAS presero subito la via del rientro e, giunti al punto di riunione prestabilito, rientrarono ad Ancona alle 7:45.
Le unità italiane riuscirono a riguadagnare il largo tra l'incredulità dei posti di vedetta austriaci che non credettero possibile che unità italiane fossero entrate fino in fondo al porto e che non reagirono con le armi, ritenendo dovesse trattarsi di naviglio austriaco.
Tre bottiglie suggellate dai colori nazionali furono lasciate su galleggianti nella parte più interna della baia di Buccari, con, all'interno, un messaggio scritto da D'Annunzio, fatto che dette all'azione l'appellativo di «beffa di Buccari».
Buccari oggi.
Dal punto di vista tattico-operativo l'azione fece emergere la totale mancanza di coordinamento nel sistema di vigilanza costiero austriaco e le numerose lacune difensive presenti, che resero possibile questa audace azione dei marinai italiani.
Tuttavia le navi, protette dalle reti, non riportarono alcun danno materiale. L'impresa costrinse il nemico a un maggiore impegno di energie in nuovi adattamenti difensivi e di vigilanza e comunque ebbe una pesante influenza negativa sul morale austriaco.
Ma l'impresa di Buccari ebbe una grande risonanza in Italia, in una fase della guerra in cui gli aspetti psicologici stavano acquistando un'incredibile importanza.
D'Annunzio ebbe un ruolo fondamentale nella reclamizzazione dell'impresa perché il suo messaggio lasciato nelle tre bottiglie ebbe grande diffusione e contribuì a risollevare il morale dell'esercito impegnato sul Piave.
«In onta alla cautissima Flotta austriaca occupata a covare senza fine dentro i porti sicuri la gloriuzza di Lissa, sono venuti col ferro e col fuoco a scuotere la prudenza nel suo più comodo rifugio i marinai d'Italia, che si ridono d'ogni sorta di reti e di sbarre, pronti sempre a osare l'inosabile. «E un buon compagno, ben noto - il nemico capitale, fra tutti i nemici il nemicissimo, quello di Pola e di Cattaro - è venuto con loro a beffarsi della taglia.» (Testo del messaggio lasciato da D'Annunzio nelle acque di Buccari.) |
Per l'Italia, che si stava riorganizzando dopo il disastro di Caporetto, l'eco della riuscita nell'impresa fu notevole e rinvigorì lo spirito dei soldati e della popolazione.
L'entusiasmo avrebbe raggiunto il culmine pochi mesi dopo con il famoso Volo su Vienna, di cui parleremo allo scadere dei cent’anni.
Dell'avventura della Baia di Buccari resta un libriccino edito nel 1918 dai consueti editori dannunziani, i Fratelli Treves, dal titolo: La Beffa di Buccari - con aggiunti La Canzone del Quarnaro, Il catalogo dei Trenta di Buccari, Il Cartello Manoscritto e Due Carte Marine.
Il testo è completato dalle strofe de La Canzone del Quarnaro che, al tempo, ebbe notevole fama (in seguito, il testo fu musicato da Luigi Dallapiccola nel 1930).
Si ringrazia Wikipedia per le note e le foto, nonché Google Map.