Ai terroristi in libertà, ora vigilata, chiedo verità – Di Paolo Farinati
Nessuna volontà di vendetta: c’è chi ha perdonato, ma la verità e la giustizia vanno sempre garantite
Milano, via De Amicis, 14 maggio 1977: Giuseppe Memeo punta una pistola contro la polizia durante una manifestazione - Foto di Paolo Pedrizzetti - Quest'immagine è diventata l'icona degli anni di piombo.
Arrestati in questi giorni dalla polizia francese parecchi terroristi italiani di estrema sinistra, condannati in via definitiva dalla giustizia italiana, ma rifugiatisi in Francia da molti anni.
Sono da ieri in libertà vigilata.
Su questa vicenda il dibattito si è aperto e credo proseguirà, spero democraticamente, per molto tempo.
Mi pongo, convintamente, tra coloro che non vedono nell’operazione della polizia francese alcuna volontà di vendetta. E nemmeno un atto di opportunismo politico.
Men che meno da parte delle famiglie delle molte vittime vi è tale volontà. Molte tra queste hanno perdonato.
Bensì solo il dovere etico e politico di affermare e scrivere la verità, sia essa giudiziaria che storica e politica.
Tutto il resto sono chiacchiere inutili e infausta ipocrisia.
Sono da sempre socialista, ma ritengo che il Presidente francese Francois Mitterrand, a suo tempo, sbagliava e purtroppo sbagliò.
Su tutto quanto si è scritto e si scrive in queste ore sugli arresti in Francia di ex esponenti delle Brigate Rosse e dei Proletari Armati per il Comunismo, condannati da anni in via definitiva per molti omicidi durante gli Anni di piombo, in particolare tra il 1968 e il 1978, prevalgono le parole di Gemma Capra Calabresi, moglie e vedova del Commissario milanese Luigi Calabresi, ucciso vigliaccamente il 17 maggio 1972 a soli 35 anni dalle Brigate Rosse: «Penso che sarebbe il momento giusto per restituire un po’ di verità. Sarebbe importante che a questo punto delle loro vite trovassero finalmente un po’ di coraggio per darci quei tasselli mancanti al puzzle. Io ho fatto il mio cammino e li ho perdonati e sono in pace. Adesso sarebbe il loro turno».
Esecutori materiali di quel vile omicidio furono Ovidio Bompressi e Leonardo Marino, ma furono condannati quali mandanti anche Giorgio Pietrostefani e Adriano Sofri.
Tutti esponenti allora dell’ala più determinata, poi identificata anche come più criminale, di Lotta Continua.
Faccio mie pure le parole di Benedetta Tobagi, figlia minore del giornalista Walter Tobagi, ucciso il 28 maggio 1980 dalla «Brigata XXVIII Marzo»:
«Nel tumulto degli anni Settanta, milioni di italiani fecero politica in modo non violento, con le manifestazioni, la disobbedienza civile, le battaglie processuali e la controinformazione.
«Perché, dunque, dovrebbero veder cancellate le proprie condanne gli ultimi di quei pochi che scelsero le armi?
«Questa giustizia, lenta ma ferma, non è solo per le vittime, è per tutti coloro che all’epoca non deragliarono, sopportando la fatica e le frustrazioni della pratica democratica.»
Parole che vorrei soprattutto i nostri giovani leggessero, sapessero liberamente e pazientemente interpretare e capire.
La democrazia italiana, costruita con la volontà, il coraggio e l’estremo sacrificio di migliaia e migliaia di persone nei decenni del secondo dopoguerra, ci garantisce tutte e tutti, ci dà in ogni momento gli strumenti per rivendicare pacificamente col dialogo molte giuste conquiste civili.
La nostra Costituzione fu scritta da donne e uomini di diverse visioni e sensibilità politiche, ma tutte e tutti illuminati dalla forza della libertà, dell’uguaglianza, della fraternità e della pace.
Questa non è retorica, ma verità storica, che vale ancora e varrà sempre.
La mattina del 16 marzo 1978 noi del Liceo «Antonio Rosmini» di Rovereto eravamo radunati in assemblea.
La professoressa Maria Canestrini verso le 9.30 entrò trafelata annunciandoci il tragico rapimento del Presidente Aldo Moro.
Da una parte consistente, seppur minoritaria, di quell’assemblea partì un “terribile” applauso.
Io, giovane socialista, e pochi altri, tentammo di far capire che quell’applauso era assolutamente fuori luogo.
Fui sonoramente fischiato e apostrofato quale «reazionario».
Questo era il Movimento studentesco in quegli anni anche a Rovereto (!).
Cito questo episodio volutamente, al fine di farci riflettere ancora. Nulla è scontato.
Tornando ai nostri giorni. Ritengo giusto che sugli arresti francesi si discuta. Ma non per dividerci ancora, bensì per affermare una volta per tutte lo Stato di Diritto.
Il professor Norberto Bobbio ci ha lasciato scritto in più testi che la democrazia, i valori su cui essa si fonda e i diritti da essa garantiti vanno salvaguardati ogni giorno.
In ogni istante della nostra vita ci dobbiamo meritare la libertà, in ogni minuto della nostra esistenza siamo chiamati a difendere la vita, l’uguaglianza e la pace.
Anche questa non è retorica, bensì un sano impegno civile verso il rispetto di tutti e di tutto, sempre e ovunque.
La Ministra Marta Cartabia, sempre in riferimento ai recenti fatti avvenuti in Francia nei confronti dei terroristi italiani, ha dichiarato in queste ore: «Ha vinto la sete di verità e di riconciliazione, non la vendetta».
Partiamo, tutte e tutti, da qui. La nostra Italia e noi italiani avremmo mille difetti, ma siamo depositari da millenni di una grande cultura. L’Umanesimo italiano ci rende unici e invidiati in tutto il mondo anche oggigiorno.
La pace, anche e soprattutto nelle nostre coscienze, trova una grande alleata nella nostra straordinaria cultura.
La bellezza della vita e dell’arte italiana, che in ogni dove ci circondano, si dissetano in ogni istante alla fonte della verità, della giustizia, del rispetto reciproco.
Non dimentichiamolo mai.
A Giorgio Pietrostefani e agli altri terroristi in libertà, ora vigilata, in Francia, chiedo da libero semplice cittadino italiano ed europeo un atto riconciliatore di umiltà, fatto di verità, di rispetto e di giustizia.
Paolo Farinati – [email protected]