«Attenti a parlare di mobilità, servono dati più affidabili»
Al festival dell’Economia il professore di politica sociale alla London Shool of Economics, Stephen Jenkins, invita ad approfondire prima di trarre conclusioni
«La mobilità sociale è molto importante ed è giusto preoccuparsi per essa, ma ne sappiamo ancora troppo poco e bene farebbero gli economisti a essere più onesti e più cauti sulla valutazione dei dati raccolti».
L'invito ad approfondire, a non trarre conclusioni che, per quanto supportate da analisi e studi, possono rivelarsi fuorvianti arriva al Festival da Stephen Jenkins, professore di politica sociale ed economica alla London Shool of Economics.
Il suo intervento, dottrinale ed accademico, sviluppato applicando modelli matematici di non agevole approccio, ha dimostrato soprattutto una cosa: gli economisti, gli studiosi della mobilità sociale, devono chiarire di quale mobilità si sta parlando, perché esiste la mobilità relativa o posizionale, o di scambio, che è una mobilità «pura», in cui ci interessa la posizione sociale degli individui; e c'è la mobilità assoluta, che mette invece l'accento sulla crescita individuale.
«Si parla di mobilità in riferimento al reddito, ma occorrerebbe guardare anche alle retribuzioni. Pensiamo a tutti o solo agli uomini? Perché se introduciamo nei calcoli anche le donne, allora tutto diventa più complicato.
«C'è, insomma, un problema legato ai dati e – avverte Jenkins – approfondire gli studi, ed i ricercatori devono produrre risultati più robusti, perché quelli di cui disponiamo non sono abbastanza chiari né definitivi.
«Ci sono tanti risultati ma spesso vengono presi come vangelo sia dai politici che dall'opinione pubblica, dobbiamo però capire come riassumere le opportunità di vita, e abbiamo bisogno di serie di dati più affidabili.»
Ciò che Jenkins afferma è però, in qualche modo, una sorta di superiorità della politica, che ha sempre la possibilità di operare delle scelte e di cambiare direzione; il problema, semmai, è che i politici hanno un'agenda corta, che non si spinge in genere al di là del proprio mandato e che guarda al tornaconto (politico) personale.
Magari sapendo bene che le decisioni prese non sono le più giuste per garantire alle generazioni che verranno ciò che, al momento dell'investitura, si dichiara come supremo obiettivo.