«Riscaldamento globale, il tempo è scaduto»
Al Festival dell’economia l’Inet Lecture con l'economista olandese Servaas Storm
L’uomo ha dieci anni di tempo per evitare che gas serra e carbonio formino una coperta talmente spessa da portare la temperatura del globo oltre il limite, il punto di non ritorno, fissato nell’aumento di 2 gradi centigradi della temperatura media.
La dead line è indicata da Servaas Storm, economista olandese che da tempo si occupa di cambiamenti strutturali e cambiamenti climatici, intervenuto oggi al Festival dell’economia di Trento nell’ambito dell’Inet lecture.
L’economista indica la strada da seguire: tassazione sulle maggiori imprese mondiali che contribuiscono alle emissioni di carbonio nell’atmosfera; politiche strutturali in grado di garantire i fondi necessari per investimenti molto costosi e, al contempo, creare nuovi ammortizzatori sociali per coloro che, in questi cambiamenti, saranno chiamati a pagare il prezzo più alto, in termini sociali ed economici.
La strada per l’inferno, il surriscaldamento del globo, è lastricata di buone intenzioni, ma il tempo che abbiamo a disposizione sta per finire. La transizione verso quella che è stata definita «economia del cambiamento climatico», richiede però una presa di coscienza generalizzata e misure strutturali concrete: dai sistemi produttivi ai modelli di consumo. Insomma, non sarà un pranzo di gala.
L’economista Servaas Storm parte dalla leggenda norvegese di Nix: una figura mistica, uno spettro che inganna le persone e assume le sembianze di un cavallo.
Un giorno un ragazzo incontra il cavallo e, seppur riluttante, decide di cavalcarlo. L’animale parte lento, poi accelera fino al punto in cui il ragazzino si entusiasma e pensa di essere il fantino migliore con il cavallo migliore.
Insomma, il ragazzo pensa per un momento di essere il governatore dell’universo. È proprio in quell’istante di euforica arroganza che il cavallo salta dalla scogliera e il ragazzino muore.
«Questa storia – esordisce Servaas Storm – racconta il controllo del clima. Noi viviamo un momento di coscienza alterata ma non abbiamo il controllo della situazione e, proprio come nella fiaba norvegese, la storia del cambiamento climatico rischia di non finire bene.»
Dal 1800 in poi, l’uomo ha rilasciato gas nocivi in maniera massiccia e questo ha portato a un “non prevedibile” aumento della temperatura normale.
«Il carbonio – spiega Servaas Storm, – che da solo rappresenta il 70 per cento delle emissioni nocive, forma una sorta di coperta che avvolge la terra, con concentrazione sempre più dense.
«La coperta diventerà sempre più spessa e la terra accumulerà via via sempre più calore. Gli ultimi sei anni sono stati i sei anni più caldi a memoria d’uomo.»
Di questo passo abbiamo solo dieci anni per evitare il punto di non ritorno climatico. Sono i dati a dirlo, secondo Servaas Storm.
«Ogni anno immettiamo nell’atmosfera 40 giga tonnellate di carbonio e la quantità di carbonio sopportabile dalla terra è stata stimata in 400 giga tonnellate.»
Da qui, la dead line di 10 anni.
«Raggiunte queste concentrazioni di carbonio – continua l’economista svedese - non riusciremo più contenere il riscaldamento entro i due gradi, limite massimo del riscaldamento climatico. Poi sarà terra serra.»
Molti economisti e politici (non ultimo Barack Obama) - lo ha detto lo stesso Storm - ritengono di gestire l’emergenza, intraprendendo azioni climatiche molto graduali.
L’economista svedese non è d’accordo: nonostante le misure prese fino ad oggi, la decarbonizzazione non diminuisce in maniera efficace perché i paesi più ricchi continuano ad avere alti indici di emissioni, dovute ai consumi, a fronte di indici migliori per le emissioni da produzione.
Questo però è dovuto al trasferimento della produzione in altri paesi. Infatti, India e Cina (che molto si è spesa per contenere le emissioni) continuano a mantenere indici alti per la produzione.
«Per queste ragioni – aggiunge Servaas Storm – Obama ha torto. La realtà è che, seppur grazie all’introduzioni di nuove tecnologie meno impattanti e una riduzione della produzione di energia elettrica dal carbone, noi non abbiamo le redini in mano.»
E Nix continua a correre.
Secondo l’economista svedese è tempo di interventi strutturali che però non saranno indolori. Anzi. L’economia del cambiamento climatico richiederà cospicui investimenti.
«I soldi si devono trovare – sostiene l’economista – tagliando le spese militari e quelle per i carburanti fossili, andando ad incidere sull’evasione fiscale e su una tassazione che colpisca le multinazionali.
«Le grandi corporate prosperano sulle emissioni nocive ma ne devono rispondere sulla base di un principio di responsabilità delle proprie azioni.»
Gli ostacoli all’economia del cambiamento climatico non mancano. Il principale è l’economia duale.
«La globalizzazione – spiega Servaas Storm – ha portato vantaggi tangibili ma ha polarizzato la ricchezza in poche mani. Il ceto medio è sparito e i lavoratori sono obbligati di fatto a svolgere mansioni al di sotto delle loro possibilità, con stipendi bassi.»
I governi europei, in particolare la Francia, hanno introdotto misure green.
«Il problema – ricorda Servaas Storm – è che hanno sbagliato modello.
«La Green tax è stata decisa non sulle aziende bensì sui contribuenti, andando - sempre secondo l’economista - a colpire proprio chi sta pagando il prezzo giù alto del nuovo modello economico duale o globale.
«Questo ha portato – aggiunge lo studioso – ai conflitti sociali, sfociati in Francia nella rivolta dei gilet gialli e ad un ritorno del populismo.»
«Abbiamo bisogno - ha concluso Servaas Storm - di cambiare il futuro, rinunciando all’idea di avere le redini. Il pianta terra sta reagendo in maniera imprevedibile.
«Dobbiamo imporre alle aziende più sviluppate la riduzione delle emissioni con una carbon tax e bloccare i sussidi alle aziende che producono idrocarburi.
«I governi dovranno puntare in maniera decisa sull’economia pulita, creando nuovi posti di lavoro, e al contempo immobilizzare fondi per la transizione verde.
«Questi serviranno a rimborsare coloro che, a causa del cambiamento, perderanno il lavoro. La ridistribuzione del welfare è necessaria per scongiurare il rischio che possa venir meno il sostegno popolare al cambiamento.»