Modi de dir 'n trentim/ 15 – Di Cornelio Galas

15ª puntata dei modi di dire e frasi fatte della tradizione dialettica trentina

BRUSSÈLA – È un bitorzolo, una bolla, una pustola, una crosticina. Avérghe ’na brussèla soto la lengua: gongolare. «Làssete ’star el pirlo se no oltre che orbo te vèi anca le brussèle» (cfr non fornicare).
 
CICÌO – Accento sulla seconda «i», altrimenti sta per obeso, robusto, ciccio insomma. Così si usa invece coi bambini: «Métete nel lèt che gh’è ’n bel cicìo». Tepore, calduccio.
 
ENDÒRMIA – Narcotico, anestetico, ma anche sonnifero. «Gh’ai dàt l’endòrmia entrèga o sol per dove i lo taiéva su?» (differenza sta anestesia totale e locale).
 
FRIZZÓN (anche SFRIZZÓN) – Dolore acuto, fitta. Frizza Uo frèzza) sta infatti per freccia, dardo. Quindi quello che si prova è molto simile…

GRÉP – Nulla a che vedere con spread o altri parametri economico-finanziari del genere. Né si tratta di una misteriosa sigla. Semplicemente «sudiciume». Che appare spesso sull’orlo del collo e sul bavero dei vestiti, sulla biancheria. Avérghe el grép al en dè: essere veramente molto sporchi. Non fare la doccia da mesi…

ITOBÈLA . La frase originaria è: «l’è ito bèla». Cioè: è passato molto tempo. «L’è nà che l’è ito bela»: è morto da un bel pezzo.

LIRONLÈRO – Nàr a lironlèro: barcollare, andare in qua e in là.

HO CIAPÀ ’N MORDÓN – Sono stato morsicato. Non necessariamente da un cane, come si sa.

NESSÌ? – Intercalare per chiedere conferma. Come «Nevéra?», non è vero? O anche: neh? «Te m’hai ben capì, nessì?».
 
NAR EN ÒGA MAGÒGA – Cascar dalle nuvole. Oga magoga nelle favole per bambini indicavano paesi o regioni lontanissime.

PRÈSSA – Fretta. Pù prést che en prèssa: la necessità di accelerare al massimo. Pressolón: frettoloso e quindi anche pasticcione. Avèr pu pressa che quei che more de not: avere una grande premura.

QUADREL – Non è un piccolo quadro ma un mattone. Dal latino barbarico: quadrellus. «Levàr el quadrèl»: togliere il mattone sotto il quale ci sono i risparmi, quindi spendere quello che si ha.

REMÉNGO – Richiama l’italiano «ramingo», vagabondo. Ma anche birbante. Chi non sa cosa fare, dove andare. «Tei, reméngo, set stà tì a lassàr avèrt el rubinét de la fontana?». Ma anche moto a luogo: «Va a reméngo!» Come dire va’ in móna.

SDRAVACARSE – Di solito che si butta nel letto o sul divano proprio come le vacche si mettono sull’erba o sul fondo della stalla.

TOROBÉT – Torobéti erano i burattini. Di qui il significato di banderuola, voltagabbana, voltafaccia, traditore.

VARÒLE – Segni che lasciava il vaiolo. Poi – fino ad un certo periodo – l’apposito sistema di vaccinazione, sul braccio. «Gh’at le varòle? No? Ah, alora te sei zovèn».

ZAL – Acciaio. Zalà sta per uomo d’acciaio, vigoroso, robusto, forte insomma.

MA TE CREDIT FURBO? – Domanda retorica. In realtà si sta dando del cretino all’interlocutore, con prove alla mano sulla sua assoluta mancanza di alibi e giustificazioni sulla questione sollevata.

RIDI, RIDI… CHE LA MAMA L’HA FAT I GNÒCHI – Di solito succedeva il venerdì. Quando andava di magro e appunto… di gnocchi. In realtà si tratta di uno sberleffo. Si pensa ma non si dice: «Ma cossa gh’at po da rider? Te me pàri mat».
 
GHE STÀLA? – Nulla a che vedere con la zootecnia, insomma con la stalla. Interrogazione sulla capienza di un determinato contenitore (l’interno di una borsa, un bagagliaio, un ascensore, ecc.) in funzione di un oggetto esterno a volte ingombrante. Vedi anche: «Ci starà?» (ghe staràla?). Dubbio prima di una cena romantica, soprattutto sul dopo.

ENMANEGÀ VÉRT – Pazzo. Matto. Col cervello che va in qua e in là nella scatola cranica. Proprio come quando si fa il manico di una zappa, di un piccone, di un badile con legno «verde», non stagionato. Ovvio che la perdita del residuo di linfa e umidità produrrà una diminuzione della massa… creando instabilità.

LONCH DIRÉNT – Posizione orizzontale del corpo umano. Può essere associata ad un sano riposo. Ma anche a qualcosa di irreparabile. «Lèi nà lonch tirent»: è in terra, svenuto.

T’EL DIGO SOL A TI NEH… – Un segreto confidato. Si sa, come dice un vecchio proverbio cinese, che il segreto è tuo schiavo finché lo tieni per te, diventa il tuo padrone quando lo sa anche solo un altro. Vale anche il detto: i segreti sono come le ditte, si mantengono tali solo se i soci sono dispari e inferiori a tre.
 
L’ACQUA LA ’NRUZENÌS I CANÀI – Una delle giustificazioni dell’alcolista al rifiuto di un bicchiere di minerale.

OSCIA, NO GH’O MONÉA… – Tipica scusa per non pagare – com’era nei patti preventivi – il caffè al bar. Anche: «Gh’avrìa zinquezento euri de carta… paga ti valà che dopo i cambio».

EL ME FA ANCA PECÀ… – Atto di compassione, rimorso a metà per un giudizio negativo su altri. Pianto del cocodrillo. Di solito segue però: «Ma che ‘l se ciava anca lu…».

SU ALT e ZO BAS – Non sempre si tratta di indicazioni riguardanti «piani alti» o «interrati» nel secondo caso. Ad esempio: «En do elo to marì? Ah, l’è su alt, el s’è butà zo n’atimin perché el stà poch ben». E magari si tratta del piano rialzato di una villa, non del quattordicesimo piano di un grattacielo. Nell’altra ipotesi: «Vèi zo bàs che gh’ò da darte el sach del pan». Cioè: vieni in cortile. Ma anche dal secondo al primo piano. O anche una mezza rampa di scale. Tutto è relativamente vicino e lontano. Dipende…
Si dice anche «Su sóra» e «Su sóto». Un ossimoro retorico, come «Vèi chi valà» e «To’ dai».

EL S’È SERÀ DENTRO – Si è chiuso in casa. Conseguenza? «Son stàda seràda fòra». Laddove, se in casa non c’è nessuno, bisogna chiamare i pompieri.
 
EL S’È PROPRI SBREGÀ EL CUL – Non riguarda una ferita lacero-contusa sul sedere. Né comunque una lesione sul lato B dovuta ad incidente o ad azione autolesionista. Si dice di chi ha fatto il minimo indispensabile rispetto a una richiesta di aiuto, di soldi, di collaborazione.

METÉVE LI CHE VE FAGO NA FOTO – Raggruppamento forzato in un determinato luogo (a volte proprio in controluce) in funzione di una foto ricordo. Il luogo per lo scatto è sempre scelto dal fotografo, mai dai soggetti ritratti. Attenzione – se ci sono dei rancori sopiti – quando vi dice: «En po’ pu endrìo, ancora, ancora endrìo…». Meglio guardarsi alle spalle.

DOMAN GH’AVÉN I MÈI A DISNAR – Allarme rosso. Che scatta di solito nel fine settimana. Proprio quando le prospettive, i programmi erano quelli di oziare tutto il giorno in casa. Ancora più drammatico: «Ha ’pena telefonà i mei… i è zamài a Nach. I voleva farne na sorpresa. Però me papà el s’è tòt drio la padèla dei crauti e na bòzza de vin».