L’arte di stupire – Di Giuseppe Maiolo, psicoanalista

Come diceva il grande Einstein, «Chi non sa più provare stupore è come morto, i suoi occhi sono spenti»

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La parola «stupore» oggi manca di frequente alla nostra vita e più ancora in quella dei figli. Ci stupiamo poco o per nulla al tempo del «tutto possibile» e «tutto prevedibile» e così approdiamo all’indifferenza che normalizza il malsano.
L’abitudine ci invade e si appropria dei nostri pensieri e nelle relazioni il rapporto diventa grigio.
Un’amicizia o un amore senza lo stupore, rende agonizzante il rapporto.
Ci siamo abituati alla routine affettiva in un’epoca in cui ogni cosa è senza attesa e senza desiderio.
 
La tecnologia ci abitua e non ci meraviglia, spesso ci annoia perché i gesti si ripetono, non hanno soluzioni personali ma risposte previste e ripetute.
Con l’intelligenza artificiale correremo più ancora il rischio dell’abitudine, la cui radice è «abitare» il già pensato o vestire un abito (mentale) degli altri che non ti appartiene.
In latino «stuporem» vuol dire restar attoniti immobili e sorpresi con la bocca spalancata in un gesto di meraviglia che non sa trovare parole.
Si attiva il silenzio della riflessione su emozioni e sentimenti che sconvolgono, perché inattesi.
 
L’inatteso, nel bene e nel male, ti può far deragliare ma ti può costringere a pensare come far fronte a quegli stati turbolenti.
Il versante biologico, oltre a quello psicologico, si manifesta con forza.
L’amigdala, quella centralina del nostro cervello a forma di mandorla che regola e dà significato a ciò che proviamo, manda segnali di allarme e richiede risposte e reazioni personali di attacco o di fuga.
Ma è anche un sistema di mediazione tra un versante e l’altro, dunque attiva il pensiero creativo che accende il desiderio di conoscere e risolvere
 
Stupirsi e far stupire vuol dire accedere alle funzioni cognitive superiori necessarie dove trovare un nesso tra ciò che ci ha sorpreso e quello che sappiano di noi.
Non contempla un progetto ma è un’esperienza del presente che amplifica i vissuti e attiva la memoria.
Ci sono studi scientifici di psiconeurologia che sembrano dimostrare come lo stupore connesso ad eventi positivi quale il godere la bellezza di un tramonto o la meraviglia di un concerto di archi, lascino tracce significative e possibili protezioni dallo stress patologico, ma pure aumenta la resistenza ai disturbi dell’umore, all’ansia generalizzata e contiene l’esodio di alcuni problemi cardiovascolari.
 
Andrebbe allora insegnato lo stupore. Meglio ancora sarebbe educare gli adulti e, come dice l’ottimo Alessandro d’Avenia nel suo Blog sul Corriere della sera (22 aprile 2024), andrebbero ricercati i «meravigliatori» capaci di stupirci al bello e al positivo.
Soprattutto a scuola dovrebbero esserci insegnanti capaci di affascinare i giovani adolescenti che si abituano alla noia delle cose ripetute e all’indifferenza, mentre i bambini da piccoli sanno meravigliarsi e sanno alimentare la curiosità e la cura (la radice è la stessa) di sé e degli altri.
 
È dopo i sei anni che tutto o gran parte, si ferma, lo stupore regredisce o svanisce nelle relazioni.
Aumenta al contrario la rassegnazione e la zona grigia del malessere simile, come dice Einstein ad una forma di «suicidio»: «Chi non sa più provare stupore è come morto, i suoi occhi sono spenti.»

Giuseppe Maiolo – Psicoanalista
Docente Università di Trento