Crisi dei mutui: Intervista al preside di Economia Paolo Collini
«Che ci siano effetti sull'economia reale è inevitabile. La contrazione dei consumi è certa quando si presentano fattori come la mancanza di disponibilità e il crollo della fiducia»
Professor Collini, la crisi
dei mutui è paragonabile alla crisi del 1929?
Sa cosa insegno ai miei ragazzi? Che l'economia non inventa mai
niente. Quando accade qualcosa, si è certamente già verificata in
precedenza. Noi facciamo studiare anche storia dell'economia, ma
vedo che i più preferiscono pensare di aver scoperto da soli alcune
verità…
Il preside della Facoltà di Economia non ha l'ufficio faraonico che
ci si potrebbe aspettare, ma il suo lavoro è quello di far
funzionare la facoltà. Con noi ha scambiato un dialogo di simpatia
sulla cosiddetta «crisi dei Mutui» e nei suoi discorsi ha sempre
parlato dei «suoi ragazzi»: non li perde mai di vista.
La crisi del '29 era a sua volta nata dalla crisi americana
del 1872-75,quando il capitalismo era ancora agli inizi. Perché non
sono riusciti a impedire che si ripetesse nel
tempo?
Perché i sistemi di controllo si sono affinati
nel tempo e sempre correndo dietro ai buoi scappati dalla stalla.
Questa volta la speculazione ha investito gli immobili, cosa che
può accadere in America, dove il loro trasferimento costa molto
poco e dove c'è il vero mercato: quando qualcosa non tira più, si
ferma. Qui da noi le crisi e le riprese immobiliari hanno cicli
molto lunghi e morbidi. In Usa la speculazione ha una potenza tale
che in una notte può costruire una fortuna, o distruggere
tutto.Eppure c'erano già state altre crisi del genere. Nel
1970…
Certo. E si è ripetuta nel 1970. Ma era sempre
stata localizzata ad alcune aree. Stavolta ha coinvolto tutta l'America. I prezzi degli immobili sono
andati a crescere di sette-otto volte in un paio d'anni. E, dato
che la ricchezza non si riproduce da sola, si trattava della
ennesima bolla che non conteneva niente. Solo che stavolta era
tutto cartolarizzato e distribuito uniformemente un po' in tutti i
portafogli. Il reddito dei fondi generalmente viene generato dalle
speculazioni. Non è la prima volta che accade una crisi in un
mercato così strutturato e, finché non cambierà il sistema di
controllo, non sarà l'ultima.
Cosa pensa di Bush che ha chiesto e ottenuto di investire
la cifra iperbolica di 700 miliardi dollari per nazionalizzare
banche e assicurazioni?
Un miracolo! Un lume in un buio pesto. Davvero nessuno ci si
sarebbe aspettato che da un presidente così potesse uscire una
decisione tanto pragmatica.
Era necessaria?
Fondamentale. Pensi che le
Assicurazioni per gli Americani significano le pensioni.
Lasciarle andare, significava togliere la pensione di vecchiaia.
Cioè la sicurezza per il futuro. Significava buttar via una vita di
lavoro per milioni e milioni di persone. La scelta era se mantenere
i pensionati con il sussidio diretto, oppure sostenendo le banche e
le assicurazioni che avrebbero dovuto mantenerli con le casse dello
Stato .
Ma hanno indebitato il paese per le prossime generazioni…
Da noi sembra che non sia possibile neanche contenere la crescita
del debito pubblico.
È ben diverso il discorso. Non dimentichi che Bush alla fin dei
conti ha comperato qualcosa. E secondo me quando sarà il
momento l'Amministrazione americana farà un affare a rivendere
tutto.
Dice davvero che verrà il momento in cui l'Amministrazione
Americana si rifarà?
Con ogni probabilità, sì. Pensi all'IRI in Italia, alla fin dei
conti ha fatto la stessa cosa: quando lo stato italiano ha
privatizzato tutto, ha venduto dei veri e propri gioielli di
famiglia. Sì, mi creda, quando venderanno gli istituti oggi
nazionalizzati, si rifaranno ampiamente.
Veniamo ai problemi dell'economia reale. Al di là delle
banche e assicurazioni, non crede che stia per arrivare una
congiuntura pesante in seguito a quanto sta
succedendo?
Che ci siano effetti sull'economia reale è
inevitabile. La contrazione dei consumi è certa quando si
presentano fattori come la mancanza di disponibilità e il crollo
della fiducia.
Si potrebbe dire che il tasso di fiducia sia inversamente
proporzionale al tasso ufficiale di sconto?
Beh, non è proprio così… Certamente però è un elemento da tenere
sempre sotto controllo. Si fanno sondaggi veri e propri, che sono
utilissimi per valutare il mercato. E in questo caso ci troviamo di
fronte ad una gigantesca mancanza di liquidità e a un crollo totale
della fiducia. Se aggiungiamo che gli speculatori operano anche in
questo frangente, il quadro si fa pesante e drammatico.
Accadrà dunque che i consumi scenderanno di non poco. Con questi i
fatturati delle aziende e, di conseguenza, le entrate dello
Stato.
Lei è stato invitato al tavolo istituito dalla Provincia
per affrontare la crisi?
No.
Come valuta quanto deciso in questi giorni?
Niente di particolarmente abissale. Il credito in Trentino è
comunque sotto controllo, ma è bene prevenire comunque possibili
sorprese. Certamente però è stata molto importante la decisione di
istituire il tavolo.
Le disponibilità aziendali? La Provincia vuole incentivare
l'indebitamento da breve a medio e lungo termine.
Ha ragione, quando si tratta di aziende sotto capitalizzate. Ma per
la maggior parte erano già sulla buona strada.
Le piccole imprese, però, no.
Ha ragione, anche
perché alcune sono marginali e altre sono nate senza capitale
sufficiente.
Per l'economia reale, cosa farebbe?
Secondo me le aziende marginali vanno lasciate andare. Queste crisi
di solito sono salutari proprio perché puliscono l'apparato
produttivo. La mia idea è che non si debba salvare chi stava già
male prima della crisi. Diverso invece l'intervento a livello
personale. La gente va aiutata, non solo perché è socialmente
giusto che venga fatto, ma perché in questa maniera si dà forza al
mercato, dando così fiato all'economia sana. Le spese sociali
rientrano sempre allo Stato.
E gli imprenditori che si trovassero a perdere
l'azienda?
Anche fare l'imprenditore è un lavoro, anzi
certamente il più importante. Vanno aiutati anche loro a trovarsi
una nuova occupazione, meglio se ancora da imprenditori.
In Trentino ci sono oltre 40.000 lavoratori pubblici, più
un certo numero di addetti in aziende che lavorano per la
Provincia. L'economia produttiva ne risentirà?
Beh, non
siamo molto diversi dal resto del mondo. Il Trentino vive
soprattutto di turismo. Ma chi può dire se perderà di fatturato
come vorrebbe la logica della scala valori nelle spese voluttuarie,
oppure se invece si consoliderà grazie al fatto che la gente non
potrà più andare a fare le grandi vacanze all'estero?
Secondo lei, le dimensioni e tempi della crisi saranno
paragonabili a quelli della Grande Depressione del
'29?
No, è cambiato tutto nel frattempo. Pensi che il lavoro incide in
misura decisamente frazionale sulla produzione. Tanto per fare un
esempio trentino, alla Whirpool il lavoro incide per non più del 3
percento. I guai sono di altra natura. Provi pensare al calo delle
entrate dello Stato e, di conseguenza, della Provincia. Facciamo
fatica a impedire che il debito pubblico cresca ancora. Se
dovessero diminuire le entrate, allora sì sarebbe doloroso far
quadrare i conti.
No, la gente va aiutata a vivere. Quindi occorre accrescere la
disponibilità e infondere maggiore fiducia.
G. de Mozzi