Violenza di genere, focus sulle professioni socio sanitarie
La riflessione proposta dalla Commissione pari opportunità: «Occorre fare rete e intervenire con la formazione e la sicurezza»
In occasione della giornata internazionale contro la violenza sulle donne, che si celebra il 25 novembre di ogni anno, la Commissione provinciale per le pari opportunità tra donna e uomo ha proposto due seminari per riflettere in varia misura sulla violenza di genere.
Dopo la riflessione «Riuniamo le Forze, non i pezzi» che ieri, al Castello del Buonconsiglio di Trento, ha chiamato a raccolta le istituzioni per prevenire e combattere le violenze contro le donne, l’organismo guidato da Paola Maria Taufer ha approfondito questa mattina presso la sala conferenze della Fondazione Caritro, il tema della sicurezza e della prevenzione delle violenze di genere nelle professioni sanitarie.
In Italia si stima che quella che nel seminario odierno, dal titolo «Curare senza paura» è stata definita una «carneficina silenziosa» - dal momento che la violenza spesso non viene denunciata - riguarda l’8,9% delle donne, pari a 1 milione 400.000 che, in un terzo dei casi, subisce pressioni quasi quotidiane (dati Istat 2018).
Premesso che la violenza di genere è la violazione più diffusa dei diritti umani e che i contesti di lavoro sono uno dei principali ambiti in cui si registrano situazioni di violenza di genere, nel corso dell’incontro si è parlato diffusamente di violenze verbali, violenze fisiche e comportamenti minacciosi nell’ambito delle professioni socio-sanitarie, quello maggiormente esposto alle violenze in ambito lavorativo.
Gli infermieri, è emerso, sono i soggetti maggiormente colpiti, seguiti a distanza da medici, operatori socio-sanitari e psicologi-psichiatri.
Si parla per gli infermieri del 90% dei soggetti che hanno subito violenza nel corso della carriera, in misura maggiore donne.
Sono i tempi di attesa e le condizioni cliniche le principali cause scatenanti delle violenze in ambito sanitario che si realizzano perlopiù di notte, mentre i setting più a rischio sono il pronto soccorso, la psichiatria, la geriatria e le Rsa.
Il fenomeno, indagato nel corso del seminario dal punto di vista sociologico, linguistico e psicologico con il supporto di Barbara Poggio (sociologa del lavoro presso l’Università di Trento), Francesca Dragotto (linguista presso l’Università di Roma Tor Vergata) e Giada Fratantonio (psicologa e neuropsicologa forense), può essere arginato con la formazione al riconoscimento precoce dei comportamenti aggressivi, con sportelli di ascolto e di dialogo, come nell’esperienza del Veneto, con misure di sicurezza, come ad esempio impedire che gli operatori svolgano turni solitari ecc.
Nella sostanza, lo slogan del seminario al quale è intervenuta anche l’assessora alla Salute Stefania Segnana, è stato «prendersi cura di chi cura», facendo un lavoro di rete tra le istituzioni, le associazioni e le categorie professionali, anche al fine di far emergere i disagi sommersi.
Anche perché le molestie guastano l’ambiente di lavoro e possono compromettere con effetti devastanti la salute, la fiducia, il morale e le prestazioni di coloro che le subiscono.
Si registrano infatti tra questi soggetti maggiori rischi di depressione, disturbi del sonno, ansia, sindrome da stress e possono essere riconducibili alle violenze subite anche disturbi fisici articolari, una maggiore vulnerabilità alle infezioni, mal di schiena ecc.
Al convegno ha fatto seguito un dibattito aperto nel quale si sono confrontati operatori e terapeuti, moderato da Stefania Cavagnoli, professoressa di linguistica applicata e glottodidattica presso l’Università di Roma Tor Vergata.