Autonomie di Trento e Bolzano, una storia da rileggere oggi / 11
«La Notte dei fuochi» – Di Mauro Marcantoni
Fuochi, dalle valli e nelle città. Falò, di croci, aquile e tralicci. La notte tra l’11 e il 12 giugno 1961, le fiamme avvolsero l’Alto Adige. Fiamme dovute non solo alla tradizionale notte del Sacro Cuore, quando in ricordo della resistenza tirolese contro le truppe napoleoniche, le cime dei monti altoatesini rosseggiano di fuochi di pace.
Fiamme, figlie di esplosioni e atti terroristici, causa di panico e dolore.
Caddero tralicci dell’alta tensione, due linee ferroviarie e tre condotte forzate di centrali idroelettriche furono danneggiate, intere zone di Bolzano restarono al buio.
Giovanni Postal, cantoniere di Salorno, perse la vita, dilaniato da un ordigno posto sotto un albero, lungo la statale del Brennero.
L’intento dei dinamitardi era quello di far cadere l’albero sulla strada, ripristinando così simbolicamente il confine meridionale del Tirolo.
E, sempre a Salorno, per poco non avvenne un disastro ancora più grande in quanto il treno che sarebbe dovuto transitare lungo la linea ferroviaria danneggiata dagli attentatori rimase bloccato a causa dell’interruzione dell’energia elettrica.
Il bilancio finale fu di almeno una cinquantina di attentati, con trentasette tralicci abbattuti e ingentissimi danni materiali.
Ecco la notte dei fuochi. La notte che ebbe un’eco enorme sia in Italia che all’estero. Perché dopotutto, il messaggio era chiaro: non c’era spazio per una soluzione pacifica della vertenza tra Austria e Italia.
Il giorno seguente, il Ministro dell’Interno Mario Scelba convocò al Viminale i massimi esponenti della Volkspartei, il Presidente Magnago e i parlamentari di lingua tedesca, e l’onorevole democristiano Alcide Berloffa, che avanzò per la prima volta l’ipotesi di definire una sede in ambito nazionale, a larga partecipazione, in cui avviare un confronto diretto su tutti i problemi dell’Alto Adige.
Nei giorni successivi l’Alto Adige fu quasi totalmente militarizzato: in un clima da stato di guerra, arrivarono i primi battaglioni mobili, sette alberghi di Bolzano vennero requisiti e trasformati in caserme, fu imposto l’obbligo del visto di ingresso per i cittadini austriaci e con ordinanza del Presidente del Consiglio Fanfani venne istituito una sorta di coprifuoco.
Fu vietato, in particolare, l’avvicinamento notturno a tutti gli obiettivi sensibili, come tralicci, linee ferroviarie, ponti, postazioni militari, installazioni industriali e i militari avevano l’ordine di sparare contro chiunque non avesse risposto all’alt.
Quest’ultima misura provocò, a Sarentino e a Malles, l’uccisione di due contadini che si erano avvicinati inavvertitamente a postazioni vigilate.
Tra i sudtirolesi iniziarono a serpeggiare dubbi sull’operato della Volkspartei e della sua dirigenza, a cui veniva imputato di non aver preso le distanze in modo sufficientemente netto dal terrorismo.
Si cominciò a notare, inoltre, che in un periodo nel quale l’Italia stava vivendo gli anni del miracolo economico, la provincia di Bolzano registrava una sensibile diminuzione del reddito.
E le cose, a causa degli attentati, potevano solo peggiorare. Le attività turistiche, in particolare, correvano il pericolo di subire un forte ridimensionamento.
L’insoddisfazione diffusa ebbe ripercussioni anche all’interno del partito sudtirolese, arrivando al punto di minacciarne la coesione.
L’ala moderata accusò l’ala più intransigente di indifferenza nei confronti dei problemi economici e sociali.
E proprio in quei giorni, si avviò un processo che avrebbe portato alla nascita, di lì a qualche settimana, di Aufbau (ricostruzione), una corrente di indirizzo moderato interna al partito, che di fatto metteva a rischio, per la prima volta nella sua storia, la configurazione della SVP come Sammelpartei (partito di raccolta).
La Volkspartei dovette dunque rivedere in parte la propria linea politica, assumendo una posizione più conciliante.
Già al Congresso del 19 giugno gli attentati furono apertamente condannati.
Mauro Marcantoni
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