Back from Kenya/ 1 – Prima tappa: da Trento a Tabaka
Un viaggio pesante in un paese bellissimo, ma che a giugno non supera i 20 gradi
Dopo una mezza dozzina di spedizioni giornalistiche sui teatri di guerra con i nostri militari, abbiamo deciso di partecipare a quella che abbiamo voluto definire missione di pace, anche se in tutti i casi si tratta di operazioni umanitarie.
Una legge provinciale stabilisce che lo 0,12% del bilancio provinciale venga devoluto a beneficienza in paesi extracomunitari. E poiché la Giunta provinciale concede contributi solo alle associazioni che sono disposte a metterne altrettanti, il Trentino dà in beneficienza qualcosa come 25 milioni di euro.
Una cifra davvero considerevole, che ci pone ai vertici delle società che aiutano le comunità bisognose di aiuto.
Tali aiuti vengono dati per iniziative che vanno dall’Europa extracomunitaria al Sudamerica, dall’Africa nera all’Africa mediterranea, dal medio all’Estremo Oriente.
Noi siamo andati in Kenia per toccare con mano quello che le nostre associazioni fanno in quel paese.
Il viaggio ci è stato cortesemente offerto dall’associazione solandra Afrika Rafiti, la quale non ci ha chiesto nulla in cambio: solo di vedere quello che viene fatto laggiù. E non solo da loro.
Sopra: Better Tibesigwa, Gaziano Bosin, Francesca Merz
Sotto: Andrea Morghen, Steve Kinuthia, Guido de Mozzi
Per questa spedizione abbiamo costituito una squadra formata dal sottoscritto direttore dell’Adigetto.it, giornalista e fotografo, dalla collega giornalista radiotelevisiva Francesca Merz, in forza presso radio NBC, dall’operatore TV Graziano Bosin, la cui collaborazione è cominciata con le riprese di gare da golf, passione comune, e Better Tibesigwa, con ruolo di interprete di lingua Swahili e inglese, cittadina trentina da anni di origine tanzanese. Laggiù avremmo potuto parlare tutti inglese, ma il contatto con la gente è sempre favorito dalla conoscenza del medesimo idioma.
Accompagnava la spedizione il funzionario provinciale Andrea Morghen, capo di gabinetto dell’assessore Lia Beltrami, cui fanno capo le iniziative di cooperazione internazionale.
La nostra squadra è partita il 3 giugno da Venezia. Il volo, via Amsterdam, ci ha portati a Nairobi, dove siamo saliti sul fuoristrada da nove posti (con tetto apribile) che tutti sognano di poter utilizzare in un paese africano.
Alla guida del mezzo un giornalista-fotografo keniota, Steve Kinuthia, che lavora - tra l’altro - per il National Geografic. Ci avrebbe portato in giro per il suo paese per 2.000 chilometri, metà dei quali su strade non asfaltate.
Una squadra fantastica, che speriamo possa essere ricostituita in futuro per altre missioni.
La Repubblica del Kenia (o più semplicemente Kenia) è uno Stato dell'Africa Orientale, confinante a nord con Etiopia e Sudan del Sud, a sud con la Tanzania, a ovest con l'Uganda, a nord-est con la Somalia e ad est con l'oceano Indiano.
Nairobi ne è la capitale e la città più grande. Altre città importanti sono Mombasa e Malindi, note agli italiani in quanto mete turistiche.
Il Kenia si estende su una superficie totale di 582,650 km² [Italia 300.000], con un litorale di 536 km sull’oceano Indiano.
Gli abitanti sono 38.610.000 [Italia 60 milioni], il 70% dei quali cristiani, il cui 80% cattolici.
Il Kenia, la cui indipendenza dall’Inghilterra risale al 1963, è una repubblica semipresidenziale.
La lingua ufficiale è l’inglese, mentre la lingua reale è lo swahili, comune in tutti gli stati della zona.
La moneta ufficiale è lo scellino, ma è assai gradito il dollaro.
La geografia del Kenya è alquanto complessa. Il Kenya è attraversato dall'equatore, ma pur essendo un paese equatoriale e tropicale, presenta climi molto vari. Nel nord si trovano aeree desertiche, nel centro-sud altopiani, con boschi e savane. A ridosso del lago Vittoria, il clima è subtropicale.
Lungo la costa si ha un clima molto tropicale, fortemente interessato dai monsoni. All’interno, sotto i 1.000 m. Si ha un clima caldo con condizioni di aridità e alcuni sotto climi desertici.
Sopra i 1.000 metri, si hanno clima temperati, continentali e persino alpini, come il Monte Kenya (foto sopra), Aberdare, Elgeyo Marakwet.
Il paese è attraversato da lunghe catene di montagne, tra le quali si trovano il monte Kenia (5.188 m/slm) e, in piccola parte condiviso con la Tanzania, il Kilimangiaro (5.895 m/slm).
Complessivamente, l'elemento morfologico che più caratterizza il Kenya è la Rift Valley, che lo attraversa da nord a sud.
Le acque interne presentano laghi di acqua dolce e di acqua salata. Una piccola parte del lago Vittoria e una grande parte del lago Turkana condizionano il clima delle zone che li circondano.
Nairobi presenta un clima temperato (raramente la temperatura sale sopra i 30 gradi) e freddo durante il breve inverno (giugno/luglio).
Dunque siamo andati in Kenia agli inizi dell’inverno. E difatti la cosa che ci ha colpiti appena usciti dall’aeroporto internazionale di Nairobi è stato il tempo. Anzi, il maltempo.
Si era partiti da Venezia con un caldo quasi estivo e all’equatore ci aspettavamo un caldo africano.
Sapevamo che la stagione delle piogge non era ancora finita, ma quello che non sapevamo è che la temperatura agli inizi di giugno si aggirasse sui 18 gradi. Ovviamente ci eravamo portati dei maglioni (lo si fa per principio, sempre), ma l’impatto è stato ugualmente notevole.
Nella Rift Valley, attraversata per portarci nei pressi del lago Vittoria, abbiamo incontrato addirittura la nebbia. La vediamo in questa foto.
In poche parole, l’impatto con il Kenia non è stato dei più piacevoli. Nelle otto ore di strada che abbiamo percorso per giungere a Tabaka, abbiamo fatto fatica a trovare dei servizi igienici accettabili, dei luoghi ove fosse possibile riposarci un po’, trovare qualcosa da mangiare.
Il paesaggio, per contro, era davvero affascinante. La strada statale è fiancheggiata da immense praterie e foreste, a volte selvagge e a volte coltivate. I paesini che si attraversano dimostrano che la gente vive di agricoltura e di allevamento. I mercatini sono un susseguirsi di tavoli contenenti frutta e verdura, in prevalenza patate contenute nei secchi e banane. Le pannocchie vengono cotte sul posto e vendute come gli hot-dog nel mondo occidentale.
Gli animali che si vedono più spesso sono vacche, capre e asini. Mezzi insostituibili, questi ultimi, per trasportare qualsiasi cosa, dalla legna da ardere ai mattoni, dai mobili alle persone, dove le strade non sono molto praticabili. Le vacche servono soprattutto per il latte, perché in tavola si trova quasi esclusivamente carne dei capra. Non esistono i formaggi, considerati una sorta di latte andato a male. Il latte di capra non è usato: viene munto in terra.
Tra gli alimenti più diffusi, che sono stati offerti anche a noi tutti i giorni, abbiamo trovato il riso, la polenta bianca, le pannocchie, le verdure lesse. Una verdura, che in lingua swahili si chiama Tira avanti una settimana, l’abbiamo ribattezzata in italiano Piuttosto che niente… Ricorda un po’ le coste nostrane, e non sarebbe male se ci fossero condimenti come l’olio o almeno il sale. Già, perché il sale in Kenia non si mette mai. E la polenta bianca senza sale non è quel che si dice entusiasmante.
La carne di capra la si usa per fare una specie di minestrone arricchito, ma resta dura. Il pesce impanato e fritto è passabile, ma richiede olio e mani esperte.
Il lago Vittoria era ricchissimo di pesce, ma da qualche tempo la pesca viene sfruttata dai Sudafricani per via industrializzata e comincia a scarseggiare.
«Quando i sudafricani se ne andranno – dicono i locali – vorrà dire che di pesce non ne è rimasto più.»
La bevanda più diffusa è il tè, anche da solo ma preferibilmente con il latte. Il carcadè è considerato dai locali una bevanda eccezionale. In effetti non è male, soprattutto tiepido, ma noi abbiamo preferito bere sempre acqua minerale non gassata.
Niente alcolici per una settimana, tutto sommato, ci ha fatto bene.
Gli africani del Kenia sono belle persone. Le vediamo affaccendate nelle campagne, o nei mercatini, o in altre attività. Lungo la strada si scorgono anche gli studenti delle scuole, riconoscibili dalle divise che ogni istituto rende obbligatorie, che attendono il bus o che si spostano a piedi. Ci sono due corsi di studio (non ci sono le scuole medie) e le università.
Le donne portano sul capo pesi incredibili, mentre gli uomini non si separano mai dai loro machete, strumento di lavoro.
Il nostro bravo Steve ha fermato l’auto più volte per consentirci di muovere le gambe ed espletare alcune funzioni del ricambio, location non molto apprezzate dalle nostre colleghe.
Ma Steve ha avuto la sensibilità di fermarsi anche nei pressi di una chiesetta che sorge lungo la strada statale. La targa spiegava che era stata costruita dagli italiani prigionieri di guerra nel 1942. Come si sa, l’armata italiana in Etiopia si era arresa agli Inglesi nel 1941 e i nostri soldati erano stati deportati in Kenia.
Il Duca d’Aosta, viceré d’Etiopia, morì a Nairobi di febbre malarica.
I nostri militari, prigionieri degli inglesi e dei sudafricani, non erano rimasti con le mani in mano e il risultato lo si vede ancora in quella chiesetta.
Ovviamente eravamo preparati a superare difficoltà ben maggiori, ma le 26 ore compiute dalla partenza alla destinazione hanno provato la nostra resistenza fisica. Desideravamo un pasto, una doccia e un letto.
La nostra prima tappa era Tabaka, che si trova nella parte occidentale del Kenia, la cui altitudine si aggira sui 1.800 metri e il cui paesaggio ricorda le dolci colline della Toscana.
Il centro abitato di Tabaka accoglie qualche migliaio di persone, che vivono di agricoltura e di artigianato. È il centro più famoso per l’estrazione e la lavorazione della pietra saponaria (soap-stone). Questa pietra viene chiamata così perché ha una buona capacità abrasiva e per questo la si usa per lavarsi le mani quando sono sporche di grassi che il sapone da solo stenta a pulire. Essendo una pietra tenera, la sua lavorazione è semplice: può essere segata, scavata, scolpita, incisa e dipinta senza troppe difficoltà. Per questo la maggior parte degli artigiani di Tabaka vivono sulla pietra saponaria che vendono nelle zone turistiche ed esportano in tutto il mondo.
Ma il motivo per cui noi siamo giunti a Tabaka è la presenza di un ospedale italiano, che è diretto da un medico religioso trentino, nato a Piné nel 1935, che si chiama Francesco Avi. Tutti lo conoscono come padre Avi, il chirurgo. È un medico conosciuto, amato e rispettato in tutta la zona occidentale del Kenia. Nella vita ha amato la sua vocazione religiosa, la sua professione medica, il suo miracoloso ospedale e… la sua terra d’origine.
La coperta del suo letto, la vediamo nella foto sotto, è la bandiera della Provincia autonoma di Trento.
Padre Avi ci ha messo a disposizione camere da letto, bagni, docce, pasti caldi e acqua minerale. Il tutto secondo la tradizione africana, ma con l’aggiunta degli spaghetti (rigorosamente senza sale) e del caffè finale.
Ci ha raccontato la sua storia e ci fatto visitare il suo ospedale. E i suoi collaboratori. E i suoi pazienti.
Ma dedicheremo a padre Avi e al suo ospedale la prossima puntata.
Guido de Mozzi
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Di seguito un primo album di foto, sulla strada da Nairobi a Tabaka.