Storie di donne, letteratura di genere/ 548 – Di Luciana Grillo
Elise Karlin, «Riemersi dalla notte – L’ufficio dei destini perduti e ritrovati» – Una storia sorprendente e amara della restituzione dei beni confiscati dai nazisti»
Titolo: Riemersi dalla notte...
Autrice: Elise Karlin
Traduttrice: Laura Ferloni
Editore: Lindau, 2024
Pagine: 192, Brossura
Prezzo di copertina: € 19
Prima di immergermi e farmi coinvolgere da questo testo, ho apprezzato molto il fatto che l’Editore abbia piantato un abete in Val di Fiemme per la pubblicazione del libro, nell’ambito dei progetti di riforestazione di WOWNature.
Poi mi sono lasciata trascinare, grazie all’abilità dell’autrice, nella storia sorprendente e amara della restituzione dei beni, confiscati dai nazisti ai deportati nei campi di concentramento, ai legittimi eredi.
Elise Karlin ne ha notizia quando sa che il medico di famiglia ha ricevuto un misterioso pacco, in cui ha trovato due spille appartenute a sua madre, deportata a Ravensbruck e ritornata a casa, distrutta «dal senso di colpa dei sopravvissuti».
Perciò si è messa in contatto con Nathalie Letierce-Liebig, con gli Archivi di Arolsen e con l’International Center on Nazi Persecution e ha ripercorso con la memoria la storia della sua famiglia, dei nonni paterni, delle abitudini ebraiche, delle fughe dall’Ucraina antisemita del nonno e dalla Polonia della nonna.
A loro Elise non ha mai chiesto nulla, anzi le norme della nonna erano formali, restrittive, la annoiavano, loro due non avevano nulla in comune, ma ora si domanda come mai alla nonna, allontanata dall’insegnamento perché ebrea, sia poi stato permesso di dirigere un Centro di accoglienza per figli di rifugiati.
Quanto agli Archivi, custodiscono oggetti, scritti, disegni, «sono tracce di vite spezzate, destini strappati, sono prove tangibili della barbarie nazista», modernamente digitalizzati per volontà della direttrice Floriane Azoulay che desidera favorire il riavvicinamento fra deportati ed eredi, perché gli eredi sappiano quali siano i motivi (ebrei? omosessuali?) dell’internamento e come siano stati trattati i loro corpi - «usati come cavie in esperimenti medici disumani, accuratamente registrati negli appositi moduli».
Elise ascolta ricordi e legge lettere, a volte mai pervenute ai destinatari e si sorprende dell’invito alla speranza che Maier Weissmann scrive ai suoi cari: «Eccomi qui internato. Non preoccupatevi troppo. Sono di buon umore e pieno di speranza. Piuttosto sono preoccupato per voi e vi prego di scrivermi di dirmi come va… Continuate a sperare… ho il cuore pesante… Nonostante tutto spero sempre che tutto si sistemerà presto per il meglio».
Elise scopre tante storie, conosce i nomi di famiglie smembrate, di persone coraggiose che, lavorando come operai, hanno sabotato i prodotti che producevano, di reduci che non hanno mai parlato della loro terribile esperienza, di spose che vanno «ogni sera alla stazione, sperando di veder arrivare insieme agli uomini di ritorno dalla Germania col treno delle 17» il loro caro, «delle donne polacche arrestate nella Francia orientale… arruolate come “volontarie” quando alcune non avevano nemmeno 16 anni», di instancabili sforzi del padre per ritrovare un fratello minore morto ad Auschwitz», di un bimbo nato a Ravensbruck, di tre navi cariche di deportati, e così via.
Ricostruisce anche la storia di nonni e bisnonni, riconosce nella nonna «una donna che si fa valere, una donna che domina la sua paura;… una donna ebrea, figlia di un ebreo, che nel febbraio 1943 si presenta alla Gestapo per chiedere la liberazione del padre».
Elise, la nipote, non ha dato abbastanza amore alla nonna, né si è mai interessata della sua vita: dopo aver saputo, confessa: «Leggo questa frase e finalmente, a 55 anni, mi sento la nipote di mia nonna».
E partecipando con sua sorella a una cerimonia per commemorare gli 86 ebrei catturati durante la retata di Klaus Barbie, Elise conclude: «Noi, le sue nipoti, eravamo il volto dell’integrazione che Rosie aveva sempre sognato. Francesi, solo francesi, interamente francesi. Completamente ignare del terrore dello sradicamento, dell’essere strappate da un mondo precedente, dei ricordi di una cultura scomparsa, di vite distrutte. Questo fardello, mia nonna Rosie lo portava tutto da sola».
Non credo si debba aggiungere altro.
Luciana Grillo - [email protected]
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