La lezione di Visco: «Imparare dagli errori»

Il Governatore della Banca d'Italia: il mercato ha fatto anche cose buone, ma va regolamentato

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Ignazio Visco, governatore della Banca d'Italia nonché profondo conoscitore del sistema bancario italiano ed europeo, introdotto dal direttore del Trentino Alberto Faustini, si è prodotto in un intervento di prudente difesa del comportamento dei mercati e di quelli finanziari in particolare, un po' in controtendenza rispetto alle tesi che sono andate per la maggiore in questi giorni di festival.
Un'evidenza su tutte: dal 1990 ad oggi la popolazione mondiale è cresciuta di un paio di miliardi mentre la povertà quantomeno è rimasta stabile.
Significa che la produzione - e distribuzione - di ricchezza quantomeno ha avuto successo nel contenere l'impatto della crescita demografica.
Anche per Visco, però, i mercati non sono in grado di autoregolarsi.
«Sono la cosa migliore che abbiamo per crescere, per produrre ricchezza, anche per scambiare informazione, però vanno regolamentati. Bisogna dunque prevenire le crisi di instabilità, intrinseche nel sistema capitalista, e anche perseguire le frodi, che però secondo il governatore sono una patologia del sistema, non il sistema stesso.»
Secondo Visco inoltre dopo lo scoppio della crisi molte misure sono state prese. Il ruolo della politica, però, rimane essenziale.
E il sistema finanziario italiano?
«Poggia soprattutto sulle banche commerciali, ma un'impresa che deve crescere e investire sul medio-lungo periodo deve anche sapersi rivolgere al mercato dei capitali.
«Sono state introdotte anche forti agevolazioni fiscali per stimolare gli investitori, ma l'Italia ha un limite fisiologico, un tessuto imprenditoriale ancora composto in larga parte di imprese familiari.»
 
La crisi globale finanziaria è il punto di partenza di ogni analisi che si rispetti, oggigiorno, ma per Visco in realtà i segni di ciò che è successo erano ben visibili tempo prima, fin dai primi anni 2000.
Molti economisti li avevano messi a fuoco ma non sono riusciti ad influenzare la politica né tantomeno i comportamenti di imprese e cittadini.
Partendo dalla finanza, e citando inaspettatamente Amartya Sen, oltre ad Aristotele e Gesù, il governatore della Banca d'Italia ha proseguito mettendo a fuoco i dubbi e i sospetti che questa attività genera nella storia, per approdare poi agli scenari odierni.
«Abbiamo avuto un eccesso di crescita da finanza non regolata dipesa da una deregulation che a sua volta è stata la risposta ai fallimenti delle politiche statali a partire dagli anni '70.
«Chi si ricorda la stagflazione? La globalizzazione e ciò che ne è conseguito, dalla fine della Guerra fredda in poi, ha prodotto degli innegabili successi, dal 1990 ad oggi la popolazione mondiale è aumentata di un paio di miliardi e la povertà quantomeno è rimasta stabile, interessa circa un miliardo di persone secondo le stime della Banca Mondiale.
«Naturalmente ha generato anche problemi. La finanza in sé non è né buona né cattiva, serve essenzialmente a trasferire risorse per usarle laddove sono necessarie. I venture capital hanno consentito la nascita di società come Intel, Apple o Google. Bisogna però vigilare affinché non producano instabilità.»
 

 
Ed è questo ruolo di controllo sulla stabilità dei mercati e sui comportamenti fraudolenti che è venuto progressivamente meno, con la deregulation.
Si tratta di un ruolo che dovrebbe spettare anche alle banche centrali, che devono essenzialmente prevenire le crisi, ridurre le grandi oscillazioni sui mercati, favorire la stabilità.
«Non è andata esattamente così. La Banca d'Inghilterra ha perso persino il ruolo di vigilanza che tradizionalmente esercitava sull'operato delle banche del Regno Unito, in favore di vaghi codici di autoregolamentazione.
«Lo sviluppo dei derivati, prodotti finanziari il cui valore è totalmente svincolato dall'andamento dell'economia reale, è sfuggito da ogni controllo.
«In questo caso l'innovazione finanziaria è stata pericolosa e così tanti comportamenti dei banchieri, legati alla veduta corta, alla ricerca del profitto di breve periodo.
«Nel frattempo cresceva il debito delle famiglie, nell'erronea convinzione che i redditi sarebbero continuati a crescere. Così è nata la filiera che ha portato il fallimento della Lehman Brothers.»
Nella crisi, comunque, secondo il Governatore della Banca d'Italia bisogna distinguere i gli errori dalle colpe, ovvero dalle frodi. Queste ultime sono patologie del sistema, ma non sono il sistema.
«Io sono diffidente rispetto alle teorie del complotto. Ci sono state azioni di lobbies, ma esse in genere sono visibili, trasparenti. E giusto che i reati vengano perseguiti, e l'America sotto questo profilo è un paese esemplare, l'Italia molto meno.»
 
Ma a Visco interessano soprattutto le risposte da dare per rendere un sistema, quello capitalista, per sua natura instabile, più stabile. Quali possono essere le risposte?
Moltissime. Alcune di esse sono già state date.
«Il G 20 si mosse già nel 2009 per scrivere nuove regole del gioco. Si è anche riconsiderata la politica monetaria nel suo complesso: controllare la crescita dell'inflazione rimane un obiettivo fondamentale delle Banche centrali, ma senza perdere di vista il quadro generale, al fine di prevenire crisi come ad esempio quella della bolla dei titoli tecnologici, antesignana della grande crisi finanziaria del 2008.»
Quindi, almeno in parte, la risposta è "sì", dagli errori il mercato può imparare.
Il dibattito sul ruolo delle Banche centrali è ancora in corso. Ad esempio non c'è ancora concordia sul ruolo di vigilanza e regolamentazione che esse debbono esercitare sul sistema bancario, in seno alla Ue e nel contesto di una «sovranità condivisa» con la Bce.
Anche per Visco però i mercati non sono in grado di autoregolarsi. Sono il migliore strumento per produrre ricchezza, ma vanno regolamentati. Perché le crisi sono sempre in agguato.
 
Parlando d'altro, Visco ha spezzato una lancia in favore di maggiori investimenti nel capitale umano.
«In Italia 7 persone su 10 non sono in grado di capire ciò che leggono, e le capacità logico-matematiche non vanno molto meglio. L'investimento sulle risorse umane rende sul lungo periodo e quindi necessita di un'azione di governo lungimirante e disinteressata.
«Ma c'è anche un altro dato a cui pensare: se anche abbiamo pochi laureati, il differenziale retributivo rispetto a chi ha titoli di studio più bassi è modesti.
«Dovrebbe succedere il contrario: se un bene è scarso, il mercato dovrebbe spingere in altro il suo valore. Le spiegazioni di questa questione - anch'essa molto dibattuta in questi giorni del festival, perché strettamente legata al tema della mobilità sociale - sono diverse: ad esempio il fatto che il sistema non è riuscito a far crescere la piccola impresa, portandola a dimensioni almeno medie.»