Il ricercatore Yann Algan e la questione dell’identità nazionale
Affronta la questione del rapporto tra capitale sociale e politiche economiche. La stretta relazione tra Fiducia e Regolamentazione
L'identità nazionale non è un
fattore a sé stante. Non è una variabile culturale distante
dall'economia di un paese. È - al contrario - un elemento che
plasma l'economia e la politica e, a sua volta, ne è plasmato.
Questo il nucleo della brillante presentazione di Yann Algan,
docente di economia alla «Paris School of Economics» e alla
«University Paris East», pluripremiato e recentemente nominato
miglior giovane economista francese dell'anno.
«Quando sento la parola "cultura" metto mano alla
pistola.»
Andrea Bonoldi - ricercatore dell'Ateneo trentino che introduce
l'incontro - ha citato una famosa frase attribuita al gerarca
nazista Joseph Goebbels.
«Qualcosa del genere - continua Bonoldi - è accaduto per anni nella
ricerca economica: le variabili culturali venivano tenute alla
larga dai modelli di analisi. Recentemente però abbiamo assistito
ad un avvicinamento di economia e cultura, eppure molta strada
ancora resta da fare.»
Yann Algan, non c'è dubbio, attraverso i suoi studi ha fatto un
passo importante lungo questa via. Come? Il giovane economista
francese lo spiega nel corso della sua breve intensa
presentazione.
Sottolinea anzitutto la forza dell'identità nazionale, in gran
parte plasmata attorno a valori culturali come il senso civico, la
fiducia negli altri, la cooperazione - quei valori che compongono
in un'unica espressione il cosiddetto «capitale sociale».
Accade così che il semplice fatto di abitare in un certo paese
comporta, a parità di altre condizioni come l'età e il genere, il
possesso - o al contrario la mancanza - di senso civico. Dati alla
mano (World Value Surveys) gli abitanti dei paesi del Nord Europa
possono contare su un alto grado di fiducia e senso civico; mentre
accade il contrario nell'Europa mediterranea.
E l'economia cosa c'entra con questo? C'entra. Secondo i dati
presentati da Algan, il livello di fiducia - dunque il capitale
sociale - influisce sulla richiesta o meno di maggior
regolamentazione economica.
Primo esempio. La regolamentazione del mercato produttivo. La
produzione comporta, in quanto tale, delle esternalità, alcune
delle quali negative come l'inquinamento. In presenza di un alto
grado di senso civico, le persone si fidano delle imprese e danno
per scontato che esse faranno attenzione a contenere gli effetti
negativi della produzione. Dove invece il senso civico è carente,
gli abitanti non si fidano e chiedono al governo una maggior
regolamentazione. In questi contesti però la sfiducia colpisce
anche i funzionari pubblici che dovrebbero attivare e controllare
la regolamentazione. Si riscontra perciò un evidente circolo
vizioso.
Secondo esempio. La regolamentazione del mercato del lavoro. Nei
contesti dove non c'è senso civico non ci si fida delle dinamiche
competitive e di concorrenza tra le imprese. Dunque si chiede
maggior regolamentazione; il circolo vizioso riparte.
Riducendo all'osso: il capitale sociale influenza le
caratteristiche del mercato di un certo paese.
Ma, e se fosse vero anche il contrario? Secondo Yann Algan, sì.
«Le politiche di regolamentazione - dice il giovane ricercatore -
possono influenzare le credenze. Prendiamo il caso dei Paesi ex
socialisti: negli ultimi anni, hanno assisto ad un processo di
deregulation molto drastico; il grado di fiducia di partenza era
già basso e, in seguito a questo fenomeno, è ulteriormente
diminuito".»
Algan attribuisce all'educazione un ruolo importante in tutto
questo processo. Genitori «sfiduciati» tendono, evidentemente, a
trasmettere uno scarso senso civico ai figli.
Dunque, viene da chiedere, la regolamentazione è buona o cattiva?
Dipende.
«È positiva in presenza di un alto senso civico - conclude Algan, -
è negativa se il senso civico non c'è.»