Roberto Codroico, da marzo in mostra a Trento – Di D. Larentis
Sarà protagonista col pittore tirolese Robert Scherer di una prestigiosa esposizione organizzata da Inner Wheel Trento Castello a Palazzo Trentini – L’intervista
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A Trento, nella splendida ambientazione di Palazzo Trentini, Roberto Codroico presenterà una serie di opere che dialogheranno con quelle di un altro apprezzato pittore, il tirolese Robert Scherer (i due artisti sono legati da una solida amicizia ventennale, hanno esposto assieme in diverse occasioni sia in Italia che in Germania).
Lucia Zanetti Vinante, presidente di Inner Wheel Trento Castello, ha seguito l’intero progetto fin dalla sua genesi, è lei l’organizzatrice della prestigiosa mostra che verrà inaugurata il prossimo 12 marzo 2020.
L’associazione, sempre molto attiva nella pianificazione di attività di tipo divulgativo, etico e sociale, fa parte dell’International Inner Wheel, una delle più importanti organizzazioni femminili di servizio nel mondo.
Inner Wheel Trento Castello si occupa, lavorando talvolta anche in sinergia con altre associazioni, di iniziative finalizzate a dare il proprio sostegno a situazioni che presentano elementi di criticità, ma è anche in prima linea nel richiamare l’attenzione su temi di interesse collettivo attraverso la promozione di eventi culturali come quello che prenderà il via a breve nel cuore della città, in uno dei palazzi storici più belli di Trento, sede del Consiglio provinciale.
Come abbiamo ricordato in occasione di precedenti esposizioni, Roberto Codroico è uno degli artisti che meglio sa interpretare la complessità della società contemporanea in continuo mutamento.
La sua pittura è solo inizialmente figurativa, successivamente i suoi lavori si basano sempre più su forme astratte, curvilinee e molto colorate: attorno agli anni Sessanta egli dipinge teste e nudi femminili, alternandoli a crocefissioni, nature morte, qualche paesaggio.
Passa così da un segno chiuso a un segno che diventa via via sempre più astratto, una trasformazione che avviene anche grazie all’incontro e alle frequentazioni con importanti personaggi del Novecento, come Hans Richter (che considera il suo Maestro), uno dei fondatori del movimento DADA, come determinanti sono per lui i contatti con Vlado Kristi, Kurt Kren, Otto Muehl, per citarne alcuni.
L’incontro con Richter non è casuale, è Codroico a contattarlo verso la fine degli anni Sessanta per sottoporgli alcune domande inerenti a uno studio sulla «quarta dimensione della pittura» che sta conducendo, raggiungendolo a Locarno, in Svizzera (l’artista, bilingue, ha un’innata facilità nel tessere relazioni anche fuori dall’Italia).
A quel primo incontro ne seguono molti altri, Codroico definisce il Maestro un uomo molto gentile e tranquillo, la sua voce tradisce una punta di commozione nel ricordarlo.
Va detto che, facendo un salto a ritroso nel tempo, negli anni Venti del Novecento in Germania, accanto a cineasti professionisti come Lang, operano anche pittori che fanno uso del mezzo cinematografico con lo scopo di imprimere il movimento alle forme astratte realizzate sulla tela, attraverso brevi film di animazione.
Fra questi c’è anche il tedesco Hans Richter, uno dei più celebri esponenti del gruppo dadaista di Zurigo, il quale si accosta al cinema dopo un lungo percorso di ricerca, indagando il rapporto fra musica e pittura (di Richter ricordiamo, a titolo esemplificativo, alcuni cortometraggi, Rhythmus 21, 23 e 25, basati sui movimenti di forme geometriche e un lavoro successivo, realizzato nel 1926, denominato Filmstudie).
Sicuramente l’averlo frequentato ha avuto una grande influenza nella formazione artistica di Roberto Codroico, è lui stesso a precisare in suo recente intervento: «Durante una visita a Locarno al maestro Hans Richter, ho potuto vedere il film Formittagspuck, realizzato tra il 1927 e il ‘28, che racconta della ribellione degli oggetti per ritornare tali al suono del mezzogiorno. Il film ha stimolato la mia attenzione sugli oggetti di tutti i giorni».
Alcune brevi note biografiche, anche se l’arch. Roberto Codroico non ha certo bisogno di presentazioni.
Nato in Germania, vissuto per molti anni in Veneto (trascorre l’adolescenza a Padova e si laurea in Architettura a Venezia), di adozione trentina, Roberto Codroico per molti anni è stato responsabile della tutela e restauro dei principali monumenti e centri storici del Trentino.
Nell’ambito del suo lavoro è stato peraltro membro delle Commissioni Comprensoriali per la Tutela del Paesaggio in rappresentanza del Servizio Beni Culturali; della Commissione Provinciale per la tutela del Paesaggio; della Commissione Edilizia del Comune di Trento; della Commissione Beni Culturali; del Comitato Tecnico del Castello del Buonconsiglio.
Docente universitario, studioso e storico dell’arte, è autore di diversi saggi sull’argomento, ha scritto oltre sessanta pubblicazioni di storia dell’arte.
Abbiamo appuntamento nel suo studio; abita nella parte antica di Trento, nel cuore della città romana, come lui stesso chiarisce in occasione della nostra intervista, precisamente nei pressi della Chiesa di Santa Maria Maggiore, il primo insediamento religioso cristiano della città.
«Attorno c’era il cimitero e nell’angolo, anche se poi è stato spostato, c’era il Battistero, per cui la strada è dedicata a San Giovanni il Battista», ci illustra.
Lui abita nei pressi di una piazzetta dedicata al 2 settembre del ’43, anno del famoso bombardamento di Trento con centinaia di morti. E lì c’era la casa di Gino Pancheri, uno dei maggiori artisti trentini del Novecento, racconta, mentre ci incamminiamo verso la sua abitazione, «una casa che si appoggia direttamente sulle mura romane» e che conserva un fascino antico difficilmente traducibile a parole.
Ci colpisce lo spessore del muro (è di un metro e cinquanta); ci spiega che nel IV - V secolo, in occasione delle invasioni barbariche, è stato costruito un secondo muro, poi demolito, per rafforzare le mura della città, di cui resta traccia nella pavimentazione esterna.
Siamo colpiti dall’atmosfera calda e accogliente del suo studio, un luogo d’altri tempi, le cui alte e spesse pareti ospitano un’interminabile libreria e alcune sue opere di grande effetto (una delle più recenti, intitolata «Veleggiare», è stata esposta in Germania nel novembre scorso).
Roberto Codroico ama da sempre sperimentare diversi linguaggi; è un artista eclettico, oltre alle tele di grandi e piccole dimensioni, progetta gioielli che poi prendono vita grazie a Giorgio Chiarcos, (lui fa il modellino in cartone e l’orafo lo realizza con materiali nobili, ne ha creati un centinaio); è di un paio di anni fa, inoltre, l’ultima sfilata, molto apprezzata dal pubblico non solo femminile, che ha visto protagoniste le sue opere riprodotte su abiti indossati per l’occasione da modelle.
Nei depositi custodisce più di 2.000 opere (solo una modestissima parte è appesa alle pareti). Sterminato è anche l’archivio fotografico, purtroppo non abbiamo il tempo di esaminarlo.
La tentazione di osservare alcune delle sue famose scatole è però più forte di noi, in un imponente armadio ne sono custodite in doppia fila una cinquantina, quelle realizzate dopo il 2006; ce ne mostra una, come tutte le altre può assumere innumerevoli posizioni, è un oggetto da tenere fra le mani, nell’aprirla si anima, svelando un mondo di possibilità infinite.
Ciascuna scatola è un pezzo del suo mondo, a nostro avviso ognuna dà vita a nuove forme di sguardo attraverso cui può essere letta anche la realtà che ci circonda (ognuna è legata a un contesto e a un preciso periodo).
La scatola può essere pensata come uno spazio che richiama fortemente un concetto indagato anche dai filosofi contemporanei, la libertà (che, come sottolineava spesso Bauman nelle sue pubblicazioni, sembra non avere mai raggiunto una portata così ampia).
Il suo aprirsi è il rivelarsi al mondo, è un atto comunicativo potente, pare rinviare anche all’aprirsi alle molteplici opportunità offerte dalla rete e da un mondo globalizzato, interconnesso.
Ma la scatola di Codroico, come la società globale, se da un lato sembra protegge la libertà, ne è in un certo senso custode, dall’altro crea isolamento e solitudine quando viene chiusa. Un oggetto che fa molto pensare.
Abbiamo il piacere di rivolgergli alcune domande.
Roberto Codroico e Robert Scherer.
In marzo lei esporrà a Palazzo Trentini assieme a un altro importante artista, il pittore tirolese Robert Scherer. Come è nata l’idea di questa esposizione e da chi è organizzata?
«L’idea di una mostra a Palazzo Trentini, mettendo a confronto la mia arte e quella di Scherer, è di Lucia Zanetti Vinante, presidente di Inner Wheel Trento Castello. Conosco Robert Scherer da una ventina d’anni, ci lega un sincero rapporto d’amicizia, con lui ho allestito diverse mostre ad Ala nel Palazzo Malfatti, in Germania e a Venezia.
«Abbiamo vissuto, potrei dire, una vita in parallelo a Venezia, in quanto quando lui ha fatto la sua grande esperienza a fucina degli angeli, io ero alla Facoltà di Architettura, in quel periodo mi interessavo anche all’arte (durante le continue occupazioni della facoltà mi ero iscritto all’Università Internazionale dell’Arte, dove tenevano lezione anche Giuseppe Mazzariol e Tobia Scarpa).»
Quale è il tema della mostra?
«Il tema della mostra è il confronto fra il reale e l’astratto. Lui resta un figurativo e io spazio nell’astratto. Siamo amici, ci confrontiamo, parliamo, questa è la sesta mostra che facciamo insieme.»
Quante opere esporrà?
«Venticinque opere, incluse quelle realizzate durante la scorsa estate, in montagna. Durante la stagione estiva sono solitamente molto produttivo, dipingo anche fino ad otto ore al giorno ininterrottamente.»
Saranno afferenti a quale periodo della sua intensa produzione artistica?
«Sono tutte opere recenti, realizzate negli ultimi anni.»
Scatola esterno, scatola interno.
Parliamo delle sue famose «scatole», le vedremo in mostra?
«Le scatole non sono opere statiche, sono in movimento, convivono con le mani, possono assumere infinite posizioni, si aprono e si chiudono in particolari momenti della giornata, possono rivelare ogni volta nuove sensazioni, perché ogni volta la situazione è diversa.
Senza l’interazione con le mani diventano oggetti abbandonati, rigidi. È per questo che è difficile esporle in mostra, inoltre sono molto delicate da maneggiare, c’è il pericolo che si possano rompere.»
Un’ultima curiosità: lei ha condotto diverse ricerche storiche sui castelli e sulla famiglia Lodron. Potrebbe condividere con noi un pensiero a riguardo?
«Quando sono arrivato a Trento avevo il desiderio di vivere l’esperienza di restaurare un rudere, un tipo di intervento complesso che implica la considerazione di diverse problematiche, fra le quali, per esempio, l’eliminazione dell’acqua (se non se ne tiene conto, possono verificarsi dei crolli o dei pesanti danneggiamenti).
«Ho individuato un rudere che mi piaceva molto, Castel Romano nelle Giudicarie, e ho incominciato a lavorare, come si faceva nella Sovrintendenza, alternando agli interventi di restauro ricerche sull’evoluzione dell’architettura, sulla storia dell’edificio, soprattutto sulla storia della famiglia Lodron.
«Mi sono appoggiato agli storici locali, Gianni Poletti, Basilio Mosca, morto alcuni anni fa, Pietro Marsilli. Abbiamo creato un gruppo di studio sulla nobile famiglia. La cosa ha avuto molti risvolti, il passo interessante che noi abbiamo fatto è che siamo andati oltre il Brennero, gli storici precedenti sono legati alla cultura italiana e all’archivio italiano.
«Noi, invece, avendo da approfondire una famiglia europea che ha avuto feudi non solo in Veneto e in Lombardia, ma soprattutto in Austria e in Germania, siamo andati a Salisburgo, poi ci siamo recati in Baviera.
«Abbiamo realizzato un libro, un catalogo e una mostra itinerante in Trentino, in Lombardia, a Salisburgo, poi in Germania, dal titolo «Sulle tracce dei Lodron», evidenziando il percorso storico della famiglia. È stata allestita una mostra a Mindelheim (in Baviera), in quanto Anna Lodron (della linea del Castello di San Giovanni) era moglie di Georg Frundsberg, secondo gli storici tedeschi il padre dei Lanzichenecchi tedeschi.
«È un personaggio importantissimo, è lui che organizza, finanzia e partecipa alla battaglia di Pavia. Nella città tedesca viene organizzata ogni 4 anni una grande festa in costume, con la rievocazione storica, davanti a migliaia di persone, un modo per far conoscere la storia alla popolazione, così anche noi abbiamo voluto creare un gruppo storico-folcloristico, i Lanzi Lodron Lebrac.»
Daniela Larentis - [email protected]
Rievocazione storica della battaglia del 1511 nei pressi del castello di Podestagno.