Storie di donne, letteratura di genere/ 563 – Di Luciana Grillo

Silvia Andreoli, «La tana del lupo - Il cuore segreto delle fiabe» - Considerate storie per i più piccoli, le fiabe nascondono un universo inesplorato e complesso

Titolo: La tana del lupo. Il cuore segreto delle fiabe
Autrice: Silvia Andreoli
 
Editore: Luiss University Press, 2024
Genere: Narrativa italiana femminile moderna
 
Pagine: 224, Brossura
Prezzo di copertina: € 18
 
Le fiabe da sempre sono state considerate storie da raccontare ai bambini, storie solo in parte verosimili, più spesso frutto di invenzione e di aspirazione alla libertà.
Nelle fiabe il mondo appare diverso, gli alberi e gli animali parlano, i bambini volano, si trasformano, diventano «veri» mentre prima erano di legno, cercano un’isola che c’è o non c’è… «insistono su punti nodali delle nostre esistenze in forma allusiva e metaforica… la fiaba non è (solo) letteratura per l’infanzia, anzi, forse si rivolge perlopiù a chi sente il peso degli anni…», come scrive Sebastiano Maffettone nella prefazione.
 
L’autrice comincia sostenendo che l’infanzia - a cui in teoria sono destinate le fiabe - «è una condizione d’anima, una predisposizione che si lega esattamente al rapporto con la ferita, e con lo stupore, con il primigenio mistero di ritrovarsi vivi».
Durante l’infanzia «siamo a contatto costantemente con l’infinito. Più vicini al mistero che alla realtà», poi, crescendo, ci si piega alla regola, al buonsenso, si ricorda della fiaba il fatto che i protagonisti, benché maltrattati (come Cenerentola o Biancaneve), non provano rancore, e - come scrive Stephen King - «i più piccoli… per mezzo di un incomparabile punto di vista, mettono a buon frutto le emozioni… intuiscono anche molto bene la posizione che occupano nel mondo che li circonda…».
 
Andreoli prende in rassegna le fiabe celebri e inizia da Cappuccetto Rosso, che nasce nel 1697 dalla fantasia di Charles Perrault che però la fa firmare al figlio Pierre.
Si comincia con il était una fois, c’era una volta…
Numerosi studiosi si sono soffermati su questa storia, Yvonne Verdier sostiene che «per la bambina il lupo è il nemico rivelatore, quello che le mostra la sua vera natura, il suo destino di donna…»; Charles Dickens confessa: «Cappuccetto Rosso fu il mio primo amore. Sentivo che se avessi potuto sposare Cappuccetto Rosso avrei conosciuto la perfetta felicità»; Federico Garcia Lorca riscrive la fiaba in versi, e comincia così: «Nella sera oppressa da ammaliante luce / Cappuccetto Rosso s’è smarrita nel bosco», facendo diventare sera il mattino di Perrault.
 
Andreoli procede spedita nel suo cammino fra le fiabe, dalle fate ribelli passa alle creature orientali delle Mille e una notte, a Sheherazade «bella, colta, giovane, figlia maggiore del gran vizir», così intelligente e astuta da prolungare il racconto per quasi tre anni; poi arriva ai fratelli Grimm, racconta le vicende della loro vita e incontra Hansel e Gretel.
In questa fiaba ci sono tutti gli elementi canonici, l’abbandono e l’inganno del padre, la matrigna, il bosco, la strega, la fame e, da ultimo, il lieto fine che sigla «un patto di fiducia tra adulto che racconta e bambino che ascolta».
 
Non può mancare Andersen in un testo così attento, né può mancare La regina della neve, «fiaba-cerniera perché assorbe il linguaggio del meraviglioso dei fratelli Grimm, lo amplia, gli infonde un respiro malinconico personale».
Le pagine diventano tante, e Lewis Carroll immediatamente imita Andersen e la sua Alice nel paese delle meraviglie diventa un romanzo in cui «la fantasia si sbizzarrisce, crea mondi, interi universi, li tesse, cesella, perfeziona…è davvero un inventore di sogni, Lewis Carroll».
Nei suoi romanzi - Alice nel paese delle meraviglie e Attraverso lo specchio - ci sono due elementi fondamentali: l’infanzia, intesa come condizione dell’anima, e la noia, «grande regista dell’impossibile».
 
Procedendo in ordine cronologico, arriviamo a Pinocchio che l’autrice dichiara di non aver capito, di averlo ripudiato, per poi riavvicinarsi per motivi di studio.
Ricorda che Carlo Lorenzini, con lo pseudonimo di Collodi, scrisse Le avventure di Pinocchio spinto da problemi economici e stimolato dalla pressante richiesta di un giornale importante. Il successo fu significativo, rassicurante.
Andreoli comincia a interessarsi alla storia del burattino, ripensa alla sua infanzia e alla sua adolescenza, scopre che il far nascere un bambino da un pezzo di legno è - come sostiene Jacques Brosse - «comune al patrimonio indoeuropeo. Ne ritroviamo allusioni in Omero e in Esiodo…».
 
Dopo Pinocchio, è la volta del Mago di Oz, storia che arriva da lontano, dall’America: «La fiaba ha fame di nuova geografia…»; ci raggiunge Peter Pan e la sua è una fiaba assoluta, che si svolge nell’isola-che-non-c’è, che ha come protagonisti una fatina, una nave, i pirati e i coccodrilli, gli indiani e un capitano senza una mano.
Anche Guido Gozzano, che amava le buone cose di pessimo gusto, Loreto impagliato e la signorina Felicita, non sfugge all’incanto della fiaba e scrive Piumadoro e Piombofino, in cui «non c’è nulla di stucchevole… il doppio, la dicotomia, il dualismo, assumono forme più pesanti o, al contrario, evanescenti».
Ai due bambini si affianca un nonno tenero e protettivo che alla gonna di Piumadoro, diventata troppo leggera, appese delle pietre perché il vento non la portasse via. Volerà poi Piumadoro, dopo aver pianto per la morte del nonno.
 
Il Piccolo principe è la fiaba più conosciuta al mondo, la seconda opera più tradotta dopo la Bibbia, costellata di enigmi e contraddizioni, che semina in chi legge pensieri contrastanti, dubbi, curiosità: Il piccolo principe ce la farà?
E quando arriviamo all’ultima pagina, forse dobbiamo tornare alla prima… perché, come ha scritto Giorgio Manganelli, «Nessun libro finisce».

Luciana Grillo - [email protected]
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