Piante ed animali dei ghiacciai: come evitare l’estinzione?

Si parlerà anche di questo il 22 e 23 novembre in occasione del convegno sulla biodiversità Eubireco organizzato dal Museo di Scienze Naturali

Foto Francesco Simone Mensa - Archivio MUSE.

Mauro Gobbi, che lavora presso l’Ufficio ricerca e collezioni museali del Muse di Trento, è uno dei circa 50 scienziati e scienziate che il 22 e 23 novembre si riuniranno a Bolzano in occasione del convegno «Novità, sfide e risultati della ricerca sulla biodiversità nell’Euregio! #EuBiReCo24» presso la Casa della Cultura Walther von der Vogelweide, il Museo di Scienze Naturali dell’Alto Adige e la Casa della Pesa.
L’evento, organizzato dal Museo di Scienze Naturali, riunirà esperte ed esperti dell’Euregio – Tirolo, Alto Adige e Trentino – per presentare le ultime scoperte scientifiche nel campo della biodiversità.
 
Nella sua conferenza dal titolo «Cold-adapted species in the warming Alps: who will survive?», Gobbi presenterà i risultati di una ricerca avviata 20 anni fa per censire specie di piante, ragni e coleotteri che vivono negli ambienti di alta quota, con un focus particolare sugli ambienti glaciali (ricerca che ha permesso anche di scoprire specie finora sconosciute alla scienza).
«Questo tema ci interessa perché i cambiamenti climatici portano alla perdita dei ghiacciai e, di conseguenza, alla perdita di biodiversità», spiega Gobbi.
 
Biodiversità sui ghiacciai? Si, infatti, mentre per decenni i ghiacciai sono stati considerati degli ambienti privi di vita, le ricerche hanno dimostrato che sono a tutti gli effetti degli habitat, sui quali vivono degli organismi esclusivi, alcuni endemici.
Come influiranno dunque i cambiamenti climatici e la fusione dei ghiacciai su questi preziosi habitat e cosa succederà ai suoi abitanti? Quale destino attende queste specie totalmente dipendenti dai ghiacciai o da ambienti freddi di alta quota?
 
«Di fronte all’impatto del riscaldamento globale una specie può adottare tre soluzioni per evitare l’estinzione», illustra il ricercatore, «può spostarsi verso quote più elevate, come fanno già molte piante e animali, ma salendo verso le cime delle montagne il loro habitat si riduce sempre di più ed è limitato alla quota massima della montagna, quindi il rischio di estinzione rimane molto alto. Oppure può adattarsi ai cambiamenti climatici, come già succede per alcune specie. In alternativa può sopravvivere all’interno di aree di rifugio ovvero zone che, in questo periodo interglaciale, conservano condizioni microclimatiche idonee per la loro sopravvivenza».
 
Questi rifugi possono essere i ghiacciai di roccia (rock glacier) frequenti in terreni che presentano il permafrost e i cosiddetti ghiacciai neri (debris-covered glaciers), ovvero ghiacciai coperti da detriti rocciosi che si staccano dalle pareti anche a seguito del cambiamento climatico.
Questi detrito svolge una funzione importantissima: «Coprendo, per alcuni centimetri, o talvolta metri, il ghiaccio, funge da coperta isolante nei confronti dei raggi solari e rallenta il tasso di fusione del ghiacciaio», sintetizza Gobbi.
Mappando le aree di rifugio sull’arco alpino italiano, facendo rilievi della vegetazione e studiando la distribuzione di ragni e coleotteri è stato possibile dimostrare che queste aree di rifugio stanno effettivamente diminuendo il rischio di estinzione di alcune specie criofile, ovvero amanti del freddo.
 
Questo fenomeno è già avvenuto in passato, in altri periodi interglaciali, quando i ghiacciai si erano ritirati anche di più rispetto ad oggi. «Oggi, però, c’è l’impatto antropico, dell’uomo, che sta accelerando i cambiamenti climatici», ricorda Gobbi, «quindi non possiamo sapere per quanto tempo il ghiaccio presente sui versanti o i ghiacciai neri continueranno a esistere».
In attesa di una risposta a questa domanda, rimane il risultato della ricerca svolta finora: un’ultima fotografia della biodiversità legata ai piccoli ghiacciai, prossimi all’estinzione, dell’arco alpino.