Cartoline di Bruno Lucchi: le nuvole, Gianni, io ed Ezio Bosso

Le mie nuvole in una mail con la storia narrata dall'amico Ezio Bosso

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«Cartolina-boomerang.»
Quella di oggi è una cartolina-boomerang.
Partita dallo schermo del computer del mio studio è ritornata, proprio come lo strumento di caccia degli aborigeni australiani, grazie a una mail del caro amico Gianni, nella mia casella di posta elettronica.
Eccola.
Bruno Lucchi.
 
Ciao Bruno.
C'è una storia che vorrei raccontarti.
La storia mi è stata confidata dal nostro grande amico comune: Ezio Bosso.
È storia vera.
Le immagini di Nuvole, che scorrevano ieri pomeriggio sullo schermo del tuo computer, - fotografie da te scattate nell'estate del 2020 in Sardegna - me l'hanno ripresentata.
Inevitabilmente.
 
Mentre le foto scivolano sul monitor del pc, mi dicevi:
«Sai, Gianni, non riesco a stare immobile, per ore, a prendere il sole, allora – quando sono in spiaggia al mare – mi tuffo nel mio passatempo preferito: osservare le nuvole.
«In Sardegna viaggiano a velocità pazzesche. Qui, in Trentino sono più lente, più quiete.»
 
Nel tuo studio risuonava, non casualmente, la canzone di De André dedicata a quei morbidi batuffoli bianchi che vagano in cielo.
Poi hai proseguito:
«Passo interi pomeriggi sdraiato a pancia in su, con la mia Nikon a fianco, riparandola dall'insidiosa e minuscola sabbia che vaga ovunque, e aspetto che gli attori principali, cielo e nuvole, mettano in scena il loro spettacolo, fissando gli attimi più belli in quella nota piacevole che fa click!
«Oggi eccomi qui, con te, a risentirmela - in bianco e azzurro - come fosse in stereofonia.»
 
Nei miei occhi si riverberava quella candida bellezza naturale, racchiusa dentro quello schermo.
Come «amica seducente», capace di risvegliare lontani ricordi, aveva provocato in me una sottile ebbrezza gioiosa.
Forse perché mi aveva fatto ricadere in quel periodo della fanciullezza, dove il tempo non era tempo e ci si poteva permettere il lusso di passare ore a giocare con quelle figure bianche che ti scrutavano dall'alto.
 
Scoiattolo. Veliero. Volto di Eolo. Esplosione. Barboncino che salta.
Il gioco aveva inizio.
Albero. Pupazzo di neve. Lucertola. Drago che vomita fuoco dalla bocca.
E via così, avanti per ore.
Da uno di quei personaggi di panna montata, che irrompeva magicamente sopra le nostre teste, iniziavano racconti immaginari che spaziavano dalle avventure dei Cavalieri della Tavola rotonda, alle favole di Disney, dalle battaglie dei cow-boy con gli indiani, fino a perdersi in viaggi fantastici che portavano immancabilmente ad una folle e sonora risata.
Sono debitore alle nuvole di lunghe ore di leggerezza. Di felicità.
 
Quelle tue fotografie luminose, sai caro Bruno, mi parlavano. Quell'alfabeto niveo, ciccioso, dalle forme bizzarre - sempre sul punto di dissolversi - comprensibile a tutti, fissato da te su di una schedina digitale, mi raccontavano ancora, ieri pomeriggio nel tuo studio, Storie.
Storie come la tua caro amico che, con l'aiuto della tua amica fidata Nikon, hai lo sguardo capace osservare, cogliere e armonizzare immagini che producono pensieri. Leggeri. Liberi. Colorati.
 
«Vanno... vengono...», alle mie orecchie arrivavano, forti e chiare, le parole di Fabrizio De Andrè.
 
Poi ancora le tue parole.
«Quello che invidio delle nuvole è la loro libertà. La libertà di trasformarsi incessantemente. La loro è fantasia senza limiti. Ciò che desidera un artista.
«Ancor oggi, nelle rare giornate che cielo, vento e nuvole decidono di regalare la loro perfomance, ovunque io sia, dedico loro il tempo che si meritano.»
 
Ti confesso Bruno che ormai io mi ero perso.
Perso nelle tue parole.
Perso tra le nuvole.
Tra quelle tue nuvole.
 
La Storia?
La Storia narratami da Ezio?
Sì, eccola. Eccola qua.
 
Il titolo del mio brano Clouds-Nuvole
è dedicato ad una bambina abbandonata e trovata morta per strada, in India.
La gente del posto decise di darle un nome.
Scelsero Nuvola così, ogni qualvolta la pioggia scendeva,
l'anima della bimba ritornava tra di loro.
Per questo Clouds è Nuvole.

(Ezio Bosso)

























 Bruno Lucchi 
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