Festival dell’Economia 2014 – Fra tutte, Anna Maria Tarantola
Tema: «Donne ai vertici: riusciremo a rompere quel soffitto di vetro?»
Il tema è sempre attuale, ma francamente non ci sono piaciute due cose in questo dibattito e riguardano entrambe la presidente della Rai Anna Maria Tarantola. La prima è la definizione di «soffitto di vetro». Una metafora poco azzeccata, che non rende l’idea ma che richiama piuttosto il maschilismo surreale di Benny Hill. La seconda è la battuta delle donne «truccate a panda». Se si deve scegliere sulla base del merito, il trucco incide poco o niente. Per contro, Tarantola ha perfettamente ragione a dire che ci vuole un salto di cultura per giungere alla parità concettuale. E la cultura la si conquista in anni e anni di investimenti di tutte le componenti della società. |
Giulia Bongiorno, celebre avvocato penalista che si occupa anche di economia e di sport; Massimo Fasanella D'Amore, ingegnere con un'importante esperienza manageriale in PepsiCo; Cristina Scocchia, amministratore delegato de L'Oreal Italia; Anna Maria Tarantola, presidente della Rai-Radiotelevisione Italiana; Barbara Stefanelli, vicedirettrice del Corriere della Sera; Daniela del Boca, docente di economia all'Università di Torino; Sara Ferrari, assessora provinciale con competenze anche sulle pari opportunità.
Sette voci, di cui sei al femminile, per un tema che è già più volte emerso dalle riflessioni dei precedenti festival: è ormai indifferibile la presenza di più donne ai vertici, per rompere quel soffitto di vetro che ingabbia l'economia, la politica, la società intera in una disuguaglianza di genere che ormai non ha più titolo di esistere.
È toccato a Daniela Del Boca aprire il confronto sottoponendo al pubblico alcune riflessioni.
«Come mai, a fronte di una scolarizzazione femminile che nel 2012-2013 ha superato quella maschile in quantità e anche in qualità, gli stipendi e i compensi delle donne sono ancora del 30% inferiori rispetto a quelli percepiti dagli uomini?
«Come mai in tutto i Paesi europei l'occupazione femminile è sempre stata costantemente in crescita, in Italia dopo una iniziale crescita, le donne occupate hanno cominciato a diminuire?»
«Se l'Italia – ha proseguito Del Boca, – in quanto a occupazione femminile è al 101esimo posto su 136 Nazioni, un motivo deve pur esserci. E se è stato necessario far approvare addirittura una legge in Parlamento che introducesse le quote di genere nei Cda delle aziende quotate in borsa, comprendiamo in quale situazione correvamo il rischio di cadere: dover aspettare sessant'anni per veder riconosciuta l'importanza della presenza femminile!
«Eppur i primi risultati ci dicono che una presenza qualificata di donne ai vertici ad esempio delle aziende provoca effettivamente un miglioramento dei risultati.»
Anna Maria Tarantola per parte sua ha confessato che dopo una sua iniziale perplessità sulle quote rosa, alla fine ho cambiato idea, soprattutto «dopo una ricerca della Banca d'Italia in cui si evinceva che il mercato non è in grado di essere efficiente nel selezionare i migliori e si lascia guidare da discriminazioni di genere implicite, con l'aggravante che uomini e donne, di fronte alla selezione, hanno due diversi modi di atteggiarsi e di attirare l'attenzione su di sé».
Ecco perché: «Sono le donne che devono innanzitutto convincersi di poter raggiungere da sole posizioni di vertice. Tutto ciò non è solo una questione di uguaglianza, ma anche di crescita che le donne possono aiutare ad aumentare.»
Qui ha inserito la definizione delle «donne panda» per indicare quelle che per fare carriera si truccano in maniera grottesca. Non è un modo per fare strada, intende dire la presidente della Rai, si deve dare spazio al merito e non alle apparenze. Noi rovesciamo il concetto: se si deve scegliere sulla base del merito, il trucco non dovrebbe incidere minimamente. «A meno che a decidere non sia una donna», ci viene da pensare sentendo queste battute.
«La prima donna che si laureò in giurisprudenza – ha esordito Giulia Bongiorno, – visse nella seconda metà del Settecento: questo per dire che oggi si arriva a parlare di quote, perché da secoli abbiamo vissuto esperienze di discriminazioni e di esclusioni.
«Le quote rosa sono il risarcimento minimo al quale tutte noi abbiamo diritto. La mia esperienza personale insegna che per me ci son voluti anni di lavoro negli studi di avvocati continuamente scambiata per una segretaria, prima di poter far valere la mia professione anche contro un mondo di pregiudizi.
«Io sono favorevole, quindi, alle quote rosa, ma a due condizioni: che il provvedimento sia a tempo limitato, che tutte noi ci facciamo trovare pronte.
«Quote rosa, allora? Io parlerei di quote fucsia, ma donne di valore!»
Quote rosa sì anche per Massimo Fasanella D'Amore, «ma non possono diventare l'alibi per non cambiare nulla».
«Le grandi aziende sanno che la diversità favorisce la competitività e quindi il problema non si pone. Quote rosa per cambiare la mentalità, quindi, per progredire e per cambiare».
Sara Ferrari ha detto per inciso che preferisce essere chiamata assessora perché «se dovessi usare un termine maschile per essere considerata autorevole, significa che devo aver sbagliato qualcosa».
Partendo dalla sua esperienza personale di insegnante prima e di donna che presta servizio in politica poi, vede nelle quote rosa uno strumento per far emergere le esperienze, le competenze e le capacità che anche le donne possiedono e sanno mettere a disposizione.
Cristina Scocchia, per parte sua s'è detta favorevole alle quote, perché far emergere il talento femminile è innanzitutto un problema economico.
«Nessuna azienda può fare a meno dell'apporto che può dare l'altra metà del mondo. Certo, però, che le quote non possono diventare la regola, perché nel lungo periodo il talento non può essere imposto.»
Per rompere finalmente il «soffitto di vetro», quindi, è necessario un vero cambio di cultura, come ha ribadito Anna Maria Tarantola, e su questo siamo completamente d’accordo.
«Un mutamento epocale che consenta agli uomini e alle donne di dare il meglio di sé per il bene di tutti.»
Daniela Del Boca si è invece augurata che i provvedimenti del nostro governo vadano nella direzione della diminuzione dei costi del lavoro per favorire così l'occupazione femminile (e anche giovanile); Cristina Scocchia chiede invece alle aziende di fare la loro parte, impegnandosi ad esempio a puntare sulle donne per avere un effettivo aumento della produttività.
«Perché in Italia è così difficile? Due sono gli ostacoli: il primo è un impedimento culturale che obbliga ad esempio le donne a essere più impegnate degli uomini; il secondo riguarda un rinnovamento del sistema normativo che incentivi l'uso delle tecnologie e il lavoro flessibile per rendere più umani i ritmi e i carichi di lavoro.»
Infine è stata Sara Ferrari a illustrare sinteticamente l'esperienza trentina del marchio Family Audit, «uno strumento per incentivare e per premiare chi organizza la propria azienda o il proprio ente avendo una attenzione particolare per le esigenze delle famiglie».
«Ma se è vero che in Trentino l'occupazione femminile è di dieci punti superiore rispetto all'Italia e la natalità è dell'1,6%, è anche vero che i progetti della nostra Autonomia sono a disposizione dell'intero Paese, visto ad esempio che ieri, a Roma, abbiamo premiato con il marchio Family Audit cinquanta aziende italiane che si sono sottoposte ai criteri di valutazione che abbiamo individuato per le realtà trentine.»