Pienone per Umberto Galimberti: il Teatro sociale e gli altri spazi non bastano

Il pensiero calcolante ci ha tolto la soggettività e domina la nostra vita. L'auspicio? Disporre ancora di un pensiero alternativo

Se qualcuno nutriva dei dubbi sul fatto che la tecnica stesse pervadendo tutta la nostra vita, dopo aver ascoltato Umberto Galimberti non può che avere una sola certezza: la tecnica è un condizionamento universale per realizzare qualsiasi scopo, al di là di qualsiasi finalità.
Scritta così è quasi inquietante ma, se caliamo questo ragionamento nella realtà della nostra vita, ci accorgiamo che va quasi sempre in questo modo. Galimberti, da maestro qual è, ha condotto un teatro stracolmo e una platea assiepata davanti ad un grande video, in un percorso articolato e chiarificatore del concetto di filosofia (pensiero astratto che prescinde dal sensibile), di scienza (che traduce la qualità in quantità; è l'essenza dell'umanesimo), di economia (che regola i rapporti investendo non sulle persone ma sulle sue prestazioni) e di tecnica (che è efficienza, produttività ed influisce sul concetto di verità). Tutte queste discipline hanno in comune il fatto di espellere la soggettività e se l'economia, pur essendo ancora la forma più alta di razionalità raggiunta dall'uomo, soffre ancora di una passione (quella del profitto), certamente la tecnica non ha questo problema.
La macchina funziona con un sistema binario e diventa, senza ombra di dubbio, la più alta forma di razionalità umana, improntata all'efficienza per la realizzazione di qualsiasi scopo.
Dunque, la tecnica non ha nessuno scopo, diventa il fine.

Secondo Umberto Galimberti il pensiero calcolante, che regola la dimensione tecnica, influisce sul concetto di verità: ciò che si realizza è vero. Il resto non esiste. La tua libertà è limitata dalla tua competenza. Il mondo della tecnica attiva il meccanismo per cui non si è più riconoscibili per il tipo di persona ma solo per il ruolo. E, inevitabilmente, il pensiero calcolante (quello economico) domina le nostre vite, mentre il pensiero ideologico- passionale rimane solo nella politica. La politica diventa retorica (arte della persuasione) perché gestisce le passioni collettive. Anche se spesso la politica è accusata di essere pensiero calcolante.
Umberto Galimberti ha definito, in questo scenario, anche il concetto di democrazia «che è finita perché la tecnica ci chiede cose che vanno al di là delle nostre competenze».
La burocrazie si inserisce in tutto questo: è una dimensione razionale e la struttura della razionalità ha un modello, la macchina. Sono due i criteri della macchina: l'efficienza e la produttività. Dunque la macchina arriva all'oggettivazione dell'intelligenza umana collettiva che supera la competenza del singolo.

L'uomo è inadeguato rispetto alla tecnica. In questo contesto l'identità non è più qualcosa che l'individuo possiede (la sua storia, il suo percorso di vita, la sua istruzione). L'identità gli viene conferita dall'apparato a cui appartiene. La macchina diventa il modello su cui si misura la capacità e l'efficienza e l'individuo è riconoscibile per la sua efficienza, produttività e responsabilità della buona e corretta mansione che svolge.
Il «teatrino di provincia» in questo senso è stato il nazismo: ciascuno era responsabile della sua azione ma non del suo effetto. Gli appartenenti al nazismo erano perfetti esecutori di un mansionario.

Con la tecnica che la fa da padrona tutto ciò che riguarda la persona, la dimensione soggettiva, va via, viene tolto. La tecnica ci rende irresponsabili: gli scopi finali non sono di competenza nostra. Dunque la tecnica ci propone un'identità di apparato, riduce la responsabilità collettiva, ci costringe ad un'intelligenza binaria, «tutto sommato molto modesta» dice Umberto Galimberti.
Il pensiero calcolante funziona con i numeri 1-0, sistema binario e, se ci pensiamo, molte ammissioni all'università, propongono dei quiz (che richiedono intelligenza binaria) e così l'esame di maturità. Il personal computer ci allena all'intelligenza binaria. «La tecnica - dice Galimberti - è rimozione del mondo.»

La globalizzazione ci propone due strade: o il pensiero calcolante che diventa universale e, soprattutto pone la razionalità del mercato, o il pensiero umanistico che supera i rapporti formali e fa si che le persone s'intendano davvero al di là delle rappresentazioni «simboliche».

La tecnica invade la nostra vita e Galimberti parla di come questo comporti un cambiamento anche nella genesi di una malattia come la depressione: l'uomo di fronte al mondo pervaso dalla tecnica si sente inadeguato. E mentre prima la depressione era fondata sul senso di colpa, ora, tutto si gioca sul senso di inadeguatezza. Ogni giorno una continua lotta, sul «ce la faccio o non ce la faccio» e, quotidianamente, l'obiettivo si sposta sempre più in alto con ripercussioni ovvie sull'umore e la vita delle persone.

Dunque la tecnica non ospita il mondo della vita intesa come rigogliosità, abbondanza e la figura della funzionalità invade tutto il nostro vivere ed emargina il vero senso del vivere. Il personal computer è essenziale. Il pensiero non calcolante è sovrabbondante e dunque «non è il mondo che non cambia, l'inquietante è che non siamo preparati alla sua trasformazione e, peggio ancora, non disponiamo di un pensiero alternativo a quello calcolante.»

(fs)