Napoleone moriva il 5 maggio 1821 – Di Luciana Grillo

Un bicentenario da non dimenticare: nonostante tutto, il fascino di Napoleone permane nell’immaginario collettivo

C’era una volta, nella scuola di un tempo, l’abitudine di far imparare a memoria agli studenti le poesie più famose della nostra letteratura. Si cominciava con Valentino vestito di nuovo di Pascoli, si proseguiva, per stare allegri, con Pianto antico di Carducci e poi, via via, si arrivava al 5 maggio di Manzoni.
Per noi, alunni della scuola di quel tempo, guardare il calendario, leggere 5 maggio, pensare a Napoleone e dire Ei fu è automatico.
Questo 5 maggio 2021 è un Cinquemaggio speciale perché Napoleone morì esattamente 200 anni fa, solo e gravemente ammalato, a Sant’Elena.
 
Cosa ricordare di lui, a parte i versi di Manzoni?
Che era un po’ italiano per parte di madre, che non ebbe riguardi per l’Italia quando l’attraversò armato, ma che forse, nei suoi ultimi anni, se ne pentì, tanto da confessare a qualche assistente: «Per l’Italia avrei dovuto fare di più».
Che nacque ad Ajaccio, in Corsica, nel 1769, un anno dopo la cessione dell’isola da parte dei Genovesi alla Francia.
Che frequentò con profitto le scuole militari di Brienne e di Parigi, rivelando prontezza di riflessi e capacità strategiche non comuni.
Che a 27 anni comandò la spedizione in Italia, con un esercito modesto perché non era necessario altro per battere i Piemontesi e distrarre gli Austriaci. Eppure fu questo piccolo esercito a decidere l’esito della guerra, non gli altri due ben più numerosi e meglio organizzati!
Che noi italiani citiamo il passaggio di Napoleone e della sua truppa non tanto per le battaglie vinte, per la nascita delle Repubbliche, per l’umiliazione inflitta al Papa Pio VI costretto a firmare il Trattato di Tolentino, quanto per le scorrerie, i furti e i danneggiamenti delle opere d’arte perpetrati dai suoi soldati.
 
Se noi studenti di allora abbiamo buona memoria, di Napoleone ricordiamo certamente il tradimento operato contro di noi a Campoformio, con la cessione del Veneto all’Austria, e i vibranti versi di Ugo Foscolo che gli aveva dedicato l’inno «A Bonaparte Liberatore», modificato velocemente in «A Bonaparte Conquistatore», e aveva citato l’editto di Saint Cloud nel Carme dei Sepolcri: pur nuova legge impone oggi i sepolcri fuor dai guardi pietosi
E ricordiamo anche il Concordato con la Santa Sede del 1802 quando, riconoscendo il culto cattolico, convinse la Santa Sede a rinunciare ai beni ecclesiastici incamerati nel 1789; il Codice napoleonico che fissò i principi dello Stato borghese nato dalla rivoluzione; la sua politica che favorì riforme amministrative e finanziarie, agricoltura, industria, commercio e pubblica istruzione.
 
Sicuramente non ci sfugge il fatto che proprio Napoleone, figlio della rivoluzione francese, solo 10 anni dopo la presa della Bastiglia, con la Costituzione dell’anno VIII segnò la negazione di ogni principio rivoluzionario.
E si fece proclamare Primo Console, poi Console a vita, infine Imperatore dei francesi… come se la rivoluzione non ci fosse stata!
Dal grande sogno di «liberté egalité fraternité» ci si svegliò sotto il dominio di Bonaparte la cui scalata al potere era stata appoggiata dalla borghesia, timorosa di nuovi bagni di sangue e di trasformazioni traumatiche dell’assetto socio-economico.
Nel 1809, con la Pace di Vienna, l’Impero raggiunse la sua massima estensione, dal Mare del Nord allo Stretto di Sicilia, dall’Atlantico al Reno… Manzoni ha paragonato la velocità di spostamento di Napoleone e del suo esercito al fulmine che tenea dietro al baleno… dall’Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno … da Scilla al Tanai, dall’uno all’altro mar.
 
Inutile elencare battaglie e coalizioni, matrimoni, divorzi e amanti. Certamente, Napoleone è stato un genio dal punto di vista militare, ma era un uomo gelido, ambizioso e presuntuoso, estremamente divisivo ancora oggi.
C’è la moda, in questi anni, di rivisitare, rivedere, riproporre la storia del passato con gli occhi di oggi, dunque è facile abbattere statue, bruciare biografie, mettere a nudo debolezze, accusare di razzismo, sessismo, dispotismo, schiavismo… ma erano tempi diversi, sembrava ovvio che un padre di famiglia avesse potere assoluto su moglie e figli, e, quanto alla schiavitù che Napoleone ristabilì nel 1802, era pratica diffusa e considerata ovvia, e così via.
Nonostante tutto, il fascino di Napoleone permane nell’immaginario collettivo.
Il Generale ha sicuramente lasciato una forte impronta in Europa, in Italia ha contribuito al risveglio della coscienza nazionale, ha dato impulso a lavori pubblici, all’industria e al commercio perché – non dobbiamo dimenticarlo – l’Italia napoleonica vive una fase di grande progresso e negli italiani maturano germi che daranno vita al Risorgimento.
 
È stato amato? Sicuramente dalla madre, Maria Laetitia; probabilmente dalla prima moglie Giuseppina de Beauharnais; teneramente dalla giovane amante polacca Maria Walewska; tiepidamente dalla seconda moglie Maria Luisa d’Asburgo che gli diede un figlio, ma che non gli permise di vederlo crescere, anzi, ne fece un austriaco pavido, cambiandogli perfino il nome, da Napoleone – Re di Roma a Franz.
Gli ultimi anni della sua vita a Sant’Elena devono essere stati durissimi, Manzoni sembra disegnare i rai fulminei, le braccia al sen conserte, la stanca man che cade su pagine bianche.
 
Sono stata a Sant’Elena: quegli spazi inospitali, quei campi brulli, quel senso di immensa solitudine e di lontananza infinita mi hanno lasciato senza parole.
E, quanto a Napoleone, tutte queste cose me lo hanno fatto amare, ne ho scoperto la fragilità, ne ho capito la disperazione, ne ho valutato l’umiliazione: Napoleone, l’ultimo Imperatore dei Francesi, è stato relegato su un’isola inospitale, lontana da Dio e dagli uomini, prigione senza mura… con l’unico, piccolo conforto di una giovane amica, la quattordicenne Betsy Balcombe che gli si affezionò, lo distrasse dai pensieri bui, lo fece sorridere con le sue moine e, forse, diventata donna, lo amò.