«I due presidenti» – Quattordicesimo Capitolo
Spy story di Guido de Mozzi
IL PERIODO DEI DUE
PRESIDENTI
PERSONAGGI |
MARCO BARBINI |
A mia Madre, che mi ha
insegnato ad amare, |
Capitolo 14.
All'ingresso del mio villaggio il guardiano non sapeva cosa fare
perché nessuno lo aveva avvisato. Allora mia moglie scese
dall'ambulanza per spiegare che stavano riportandomi a casa,
scortato dalla polizia, in convalescenza dopo l'attentato che avevo
subìto.
"E' in stato di arresto?" - Chiese indicando la polizia.
"No, Freddy. E' stato vittima di un attentato."
"Un altro attentato?" - Chiese.
"Sì, Freddy. Ne parleremo un'altra volta."
"Lei mi garantisce che non succederà più?"
"Non succederà più cosa, Freddy?"
"Un attentato."
"Che cosa? Io dovrei garantirti che non succederà più nulla?" -
Chiese mia moglie dopo un attimo di stupore. - "Non so mio marito,
Freddy, ma io farò il possibile per mandarti via."
"Via, signora?"
"Sulla strada, Freddy."
"Sulla strada. " - Confermò.
"Ecco, vedo che hai capito."
"Sì, signora contessa."
"E non chiamarmi contessa."
"Sì signora contessa."
Si affrettò a far entrare la carovana. Per un attimo si chiese se
fosse il caso di dare a tutti gli estranei un passi, ma comprese
per tempo dove avrebbe dovuto metterseli.
In Florida i pappagalli sono di casa da tempi molto recenti, cioè
da quando hanno iniziato a scappare dalle gabbie dei loro
proprietari. Si sono moltiplicati in fretta, trovando un clima
particolarmente favorevole alla loro natura. E' uno dei tanti
inquinamenti di cui gli ambientalisti non si sono ancora accorti,
occupati a bloccare il tentativo in corso di pavimentare la
Florida.
Tuttavia, il chiasso delle cocorite in giardino mi fece star subito
meglio. Stavo all'ombra in calzoncini corti, con dei cerottoni
bianchi "ecologici" sul petto. Forse l'indomani potevo entrare
nell'idromassaggio o prendere un po' di sole, ma intanto cercavo di
godermi all'ombra il clima della Florida di fine gennaio. Tra un
po' sarebbe venuto a trovarmi Jeff Flit, e probabilmente sarebbe
stata l'ultima volta che lo incontravo.
Mia moglie portò un paio di gin fizz. Di solito ero io a
prepararli, ma ero in convalescenza e ne approfittavo.
La sorveglianza ci informò che c'erano alla reception due persone
delle quali un certo Mr. Flit, nero, aveva chiesto di noi. Diceva
di essere della Security. Da come l'avevano annunciato, i guardiani
dovevano essersi chiesti se non fosse già stato convocato il
titolare di un'altra agenzia di vigilanza privata.
Mia moglie lo attese all'ingresso di casa e lo accompagnò da me.
Gli chiese se poteva andar bene la stessa cosa che bevevo io e
disse di sì senza domandare cosa fosse. Un suo collega che lo aveva
accompagnato rimase all'ingresso.
"Come va?" - Mi chiese con un caldo sorriso. Era cambiato molto con
me dal momento dell'attentato. Era stato lui ad occuparsi del mio
trasferimento a Fort Lauderdale e organizzare la trappola giusta.
Mi pareva di capire che ora mi stesse dando del tu in una lingua
che non conosce la forma di cortesia.
"E tu come stai?" - Chiesi.
"Beh, Jill manca anche a noi."
"Già." - Feci una pausa sospirando, poi affrontai l'argomento. -
"Avete ricostruito come sono andate le cose?"
"Devi sapere che il tuo Governo ha collaborato fin dall'inizio,
come sempre quando tratta con noi. Il merito va all'Ambasciatore
italiano a Washington. Lui riesce sempre a raccordare tutto e
tutti." - Introduzione di circostanza.
"Ti hanno detto qualcosa?"
"Sapevano più o meno già tutto."
Mi colse impreparato. - "Sapevano tutto cosa?"
"Tu sei venuto per tua iniziativa, ma il tuo governo ne era al
corrente."
"E chi glie lo avrebbe detto?"
"Tu, naturalmente. Senti Marco, per semplificare le cose smettiamo
di nasconderci dietro un dito. Ormai ne siamo sicuri: tu eri
d'accordo con i tuoi."
"No. Agivo da solo. Su questo non devono sorgere dubbi."
"Tu non hai voluto lavorare in collaborazione con i servizi
italiani perché nel tuo Paese c'è una legge che vieta ai
giornalisti di lavorare per i Servizi."
"Bravo, quindi..."
"Non dire stronzate. E' la legge più violata in Italia."
"Non da me."
"OK, d'accordo, non da te. Ma ciò non toglie che il tuo Paese non
fosse informato di cosa eri venuto a fare."
"Ho amici. Piuttosto, anche Growe ne era informato?"
"Questo no. Qui lo sapeva la NSA e basta."
"Com'è che ci eravate arrivati?"
"Dopo Gladio. L'Italia è uno strano Paese. Non riuscirà magari a
risolvere i problemi più semplici, ma ha sempre avuto una struttura
dello Stato solida almeno come il resto d'Europa. Riesce sempre a
trovare al suo interno la forza di reagire e superare le
crisi."
"Non mi hai detto come ci siete arrivati."
"Quando è saltata Gladio, appunto."
"Una Stay-behind è una struttura segreta dormiente, punto e basta."
- Dissi. - "E' segreta per definizione. Come d'altronde lo era
Sumergible."
"Non mi pare che Sumergible fosse proprio dormiente... Ma quando fu
resa pubblica l'esistenza di Gladio," - proseguì - "noi abbiamo
studiato come era stata messa in piedi, come veniva alimentata,
agli ordini di chi rispondeva, come aveva fatto a rimanere segreta
tanto a lungo e soprattutto perché e da chi era stata fatta
saltare. Così abbiamo scoperto che tutti i vostri Capi del Governo
erano sempre stati al corrente dell'esistenza di Gladio.
"Bella forza, era un'organizzazione legale."
Annuì. - "Ma così, quando saltò Gladio, interrogando un paio di
Gladiatori di Trento, venimmo a sapere che un certo Marco Barbini
stava svolgendo un'indagine tutta sua su una Stay-behind che non
poteva essere nella maniera più assoluta Gladio."
"E così vi siete dati da fare."
"Beh, da quel momento l'indagine non rimase più una tua
esclusiva... Ti abbiamo seguito momento per momento. Alla fine
sapevamo tutto... meno che i nomi. A proposito, come facevi a
conoscere il nome del sicario?"
"Mio padre aveva individuato ben ottantatrè persone nell'Alto Adige
e ottantuno in Trentino. Il primo giorno di ricerca nell'archivio
storico avevo letto sul dossier Sumergible una decina di nomi,
tutti citati da mio padre. Daidda era tra questi."
"E perché noi non lo abbiamo saputo?"
"L'ho tenuto per me."
"Incosciente. Ma Daidda oggi dovrebbe avere più o meno
ottant'anni..."
"Il sicario era suo figlio. Avrà avuto sì e no cinquant'anni, ma
era identico a suo padre."
"Lo conoscevi?"
"Avevo visto la sua foto."
Qualche giorno prima, mentre preparavamo la trappola nella mia
stanza d'ospedale, io e Flit ci eravamo scambiati davvero buona
parte delle nostre informazioni. Io l'avevo informato sulla tesi di
mio padre e sulle ragioni per cui doveva essere tutto vero. Lui mi
aveva confermato la concretezza dell'ipotesi, convenendo che era
giunto il momento di far saltare il coperchio. I dilettanti fanno
casino, nel nostro lavoro. Aveva detto. Ma sono imprevedibili anche
per gli avversari."
"Le vicende legate alla Sicilia erano balle, vero?" - Dissi
d'improvviso.
"Non erano balle. Abbiamo scoperto che lì l'organizzazione era
entrata all'opera prima ancora dello sbarco in Sicilia, perché
tutti sapevano che ai Siciliani importava che la guerra finisse
subito, ad ogni costo."
"Ma la mia ricerca d'archivio vi era servita, oppure era una
trovata per far scattare la trappola?"
"Lì per lì non potevamo capire quanto lavorassi da solo o di
concerto con i Servizi italiani."
"Cambiava qualcosa?"
"Guarda un po' te!"
"Quindi Clinton non c'entrava per niente, vero?"
"Come no? Era stato messo in piedi uno scandalo per eliminare il
principale fautore della liberalizzazione del segreto di stato
sugli avvenimenti della Seconda Guerra Mondiale. Ti pare poco?"
"Mi riferisco alle sue amicizie pericolose."
"Mi riserbo. Leggiti i giornali di quand'eri in coma e fatti l'idea
che ti pare."
"La ricerca del primo giorno, almeno, era autentica?" - Chiesi
conoscendo la risposta.
"Si. Dovevamo farti fare il tuo lavoro. Eri la nostra fonte
principale... Ehi, non starai pensando che il secondo giorno fosse
stato tutto una montatura?"
"In ritardo magari, ma ripensandoci in ospedale avevo capito che il
CD-Rom che mi avevate fatto navigare la seconda giornata era stato
fatto apposta per me. Avevo intuito subito che si trattasse di una
trappola e lo avevo fatto capire anche a Jill."
"Ah, e a te cosa lo avrebbe fatto pensare?"
"Prima di tutto trovai molto singolare che si parlasse di
Sumergible anche su un documento legato alla Sicilia e lo comunicai
a Jill spiegandole in codice che ci era stata tesa una trappola,
anche se non sapevo chi l'avesse preparata. Ma la certezza la ebbi
poi in ospedale, ripensandoci meglio e con calma. Compresi che
eravate stati voi."
"E perché?"
"Il CD-Rom era un Gold. Cioè una copia provvisoria, quelle che si
fanno prima della versione definitiva. Non poteva essere in un
archivio storico; un Gold prima o poi si sarebbe deteriorato."
"Quindi secondo te l'idea di Chittum non sarebbe poi stata una
grande trovata?"
"Era un capolavoro, se è per questo, perché in un giorno siete
riusciti a fare un Gold eccezionale; per la scelta dei contenuti,
per la funzionalità multimediale, per i percorsi di navigazione che
mi hanno portato in piena libertà esattamente dove volevate voi...
a Sumergible, appunto. Si trattava di materiale originale,
vero?"
"Sì, non potevamo correre il rischio che mangiassi la foglia per
banali errori di ricostruzione storica."
"E perché?"
"La verità è che dovevamo capire in quale misura Sumergible fosse
intoccabile."
Fece una pausa per trovare il modo di dirmelo.
"Dovevamo capire... Non è così semplice. Ci sono delle cose che non
posso dire."
"Ho capito io. Dovevi comprendere quale fosse il mio ruolo." -
Rimase in silenzio lasciandomi rispondere da solo. - "Volevi sapere
se appartenevo anch'io a Gladio? Beh, mi pareva chiaro fin
dall'inizio che non poteva essere così."
"Non era proprio così evidente..."
"E perché? Non mi hai detto che furono proprio dei Gladiatori a
fare il mio nome come persona estranea all'organizzazione."
"Potevano averlo fatto per tenerti fuori, dato che non eri negli
elenchi ufficiali."
"Poteva essere evidente dalle mie note caratteristiche che avevate
messo in mano a Growe, secondo le quali io non avrei ideali…"
"La mancanza di ideali non provava niente."
"Già. E c'era un solo modo per scoprirlo, vero?"
"Proprio così. Alla fine abbiamo capito che c'era un modo
solo."
"Insomma, se mi avessero sparato, non ero con loro."
"Non vorrei che pensassi che siamo cinici."
"Ma no, figurati! A questo punto solo Jill potrebbe pensarlo, non
ti pare?"
Girò la faccia verso il giardino.
"Era una cara ragazza."
"Chi, Jill?" - Riprese Flit dopo un po'. - "Già. Avevate una
relazione, vero?"
"Sì." - Ammisi dopo un po', guardandolo in faccia.
"Me l'ero immaginato, ma non avevo attivato le contromisure che si
dovrebbero prendere in questi casi. Non avrei neanche saputo come
fare... Ma poi avevo voluto considerare un altro aspetto. Jill non
aveva mai avuto una sua vera e propria privacy da quando aveva
iniziato a lavorare per noi... E i suoi incarichi perlopiù
riguardavano bambini o donne. Mi spiaceva solo sapere che la
relazione sarebbe finita."
"So che ti teneva informato su di me."
"Mi ha detto solo quello che secondo lei sarebbe stato utile per
aiutare te e la tua famiglia."
"Ah, e come lo sai?"
"Me lo ha detto lei, quando hai trovato la minaccia dei proiettili
sul letto."
"Aveva genitori?" - Jill me ne aveva parlato, ma volevo sentirne
parlare da lui.
"No, non più. Era figlia di un ufficiale dell'Aviazione Americana e
di un'italiana di Aviano, dove c'è la base americana. Ma li aveva
persi entrambi a Beirut in un attentato. Noi l'avevamo tirata su
perché suo padre aveva lavorato per noi e ci sentivamo in debito.
Io non volevo che lavorasse con noi, ma si sentiva figlia d'arte.
Le piaceva avere missioni da svolgere per il suo Paese."
"Aveva una cugina italiana con la quale teneva rapporti regolari,
vero?"
"No." - Sorrise pensandoci. - "Quando citava sua cugina, si
riferiva ad un amico che aveva avuto all'inizio del suo lavoro,
quando lavorava alla sicurezza dell'Ambasciata Americana a Roma. Lo
faceva per evitare di parlarne. Il ragazzo era un professionista di
Golf, l'unico sport che aveva mantenuto anche quando era passata ai
nostri reparti operativi."
All'Indian Creek mi ero comportato come un incommensurabile
stronzo. Mi venne un nodo alla gola e Flit volle interrompere
l'imbarazzo.
"Growe e l'ambasciatore italiano a Washington, sono riusciti
addirittura ad organizzarti un incontro col Presidente."
"Col Presidente?"
"In persona."
"Quale dei due?"
"L'unico. Ora ne abbiamo uno solo."
"Clinton?"
"Clinton."
"E perché Growe e l'ambasciatore mi avrebbero organizzato
l'incontro?"
"Perché, se qualcosa fosse andato storto, dovevano farne un caso di
superiore interesse internazionale. In altre parole avrebbe potuto
esserci necessario un eroe."
"Vuoi dire se morivo, eh?"
"Più o meno."
"Mentre la morte di Jill, non è stato un cazzo, vero?"
Scosse la testa guardandosi le scarpe. - "Era il suo lavoro."
"Esatto, lo era. Adesso si può anche renderle onore, no?"
"Non vuoi proprio capirlo. Nessuno deve sapere di lei."
"E per quale diavolo di motivo?"
Si alzò in piedi, mi fissò dall'alto e alzò un po' la voce.
"Perché lavorava nel tuo paese da un anno! Ti stava proteggendo
senza che tu lo sapessi. Quando ti è stata presentata ti conosceva
quasi come tua moglie!"
Mi alzai in piedi anch'io dallo stupore. Improvvisamente mi
ricordai che conosceva il nome della mia segretaria senza che
glielo avessi detto io.
"Ma ormai che è morta..." - Provai a dire.
"Non era sola e devo coprire gli altri. Si sta per fare pulizia in
casa tua, lo vuoi capire?"
Vidi mia moglie che stava per venire da noi e volli fargli
un'ultima domanda prima che arrivasse.
"Pensi che la mia famiglia ora correrà dei rischi?"
"Ne ho parlato. Noi, il SISMI e il GICO vi terremo sotto protezione
finché ce ne sarà bisogno. Ma come ti ho detto, tra un po' salterà
tutto, quindi..."
Venne mia moglie e chiudemmo il discorso. Il Capo rimase con noi
ancora un quarto d'ora, poi ci salutò.
"Le ricordo un giuramento che ha fatto, dott. Barbini."
"E quale?" - Chiesi interrogativo.
"Per 5 anni lei non può fare parola ad anima viva di quello che è
successo."
Non ci saremmo più incontrati.
Quel pomeriggio, alle 4, il campanello di casa suonò ancora. Dato
che non ci aveva avvisato la Sicurezza, non poteva che trattarsi di
qualche vicino di casa. Luigi, magari.
"Non c'è un attimo di pace!" - Dissi a mia moglie sbuffando.
"Beh," - ironizzò - "non siamo mica in vacanza."
Si alzò ed andò alla porta. Ci vollero 5 minuti prima che l'ospite
venisse in giardino da me.
"Indovina chi c'è."
Mi girai e devo ammettere che si trattava di una piacevole
sorpresa. C'erano un'infermiera e una giovane fanciulla che si
reggeva in piedi apparentemente per miracolo.
"Elisabeth! Chi non muore si rivede... Dio, scusami. Non volevo...
E' una frase fatta."
"Chi non muore si rivede!" - Mi disse di rimando.
"Che bello vederti!"
Mi alzai dolorante e lei venne da me con fatica. Potevamo chiedere
di essere ammessi al Veteran Club di Miami.
Ci abbracciammo affettuosamente con qualche doloretto malcelato.
Sentivo l'elasticità delle sue tette giovanili in contrasto con la
rigidità della fasciatura che le avevano fatto appena sotto il seno
per rimetterle insieme le costole.
"Come stai piccola?"
"Benissimo."
"Anch'io."
"Vedo."
"Già."
Ci venne da ridere e con un paio di smorfie oscene ci piegammo in
due dal male. Accorse l'infermiera per sostenere Liz, ma lei
orgogliosamente la fermò. Ci prendemmo a braccetto per andare fino
al bordo della piscina, dove ci sedemmo per parlare un po' delle
nostre sventure con i piedi nell'acqua.
"Era il caso di prendersela con me al punto di farmi sparare?" - Mi
chiese lamentandosi come un gatto viziato.
"E tu, dovevi proprio portarmi sfiga solo perché non te lo volevo
dare?"
"Cazzo! Hanno tentato di uccidermi!"
"No, hanno tentato di uccidere più me di te."
"Raccontami come è andata in ospedale."
"Prima tu."
Mentì per mezz'ora di cose intime che i medici le avrebbero
inferto, sperando di suscitare in me dio sa quale insano desiderio.
Ma visto che a me avevano infilato canne e cannette dappertutto, mi
si rizzarono solo i capelli. Alla fine le chiesi di farmi vedere le
ferite. Mi girò la schiena per farmi slacciare un fermaglio che le
teneva insieme una specie di camiciotto. Poi l'aiutai a sfilarselo.
Trattenne un po' la camicia con le mani sulle tette dicendomi che
ovviamente era senza reggiseno.
"Beh, non vergognarti, adesso, signorina."
"Non è che tua moglie sarà gelosa?"
Mia moglie stava per raggiuncerci e la sentì. - "Beh, non montarti
la testa adesso, piccola mia."
Elisabeth venne a trovarmi tutti i pomeriggi finché non giunse il
momento di andarmene.
"Quando tornerai," - mi aveva detto, riuscendo ad essere di nuovo
se stessa, - "ti farò vedere che non si vedrà neanche una
cicatrice."
"Guarderò proprio volentieri."
"A proposito, le tette non sono la cosa più eccitante che ho."
"Ah sì, e cos'hai di meglio?" - Chiesi fingendo di cercare con lo
sguardo.
"La lacrima."
"Sì, hai degli occhi molto belli, ma..."
"Non mi riferivo agli occhi."
Lasciammo Fort Lauderdale. Stavolta niente aerei speciali ma un
volo di linea, e neanche diretto da Miami a Milano perché volevano
incontrarmi a Washington. Un casino, dato che questo significava
fare tre scali prima di arrivare a casa, e stavolta la sacca da
golf era pesante perché avevo comperato il set per il mio amico. In
compenso potevamo partire da Fort Lauderdale, che ha un aeroporto
molto meno stressante di Miami. Ci accompagnò l'amico Luigi.
A Washington c'era ad attenderci Growe. Ci ospitò nella sua
macchina, una limousine nera, e ci portò prima allo Hoover Building
a prendere il suo Capo, quindi all'ambasciata italiana dove caricò
l'ambasciatore ed un suo funzionario per una visita del tutto
privata alla Casa Bianca.
Le presentazioni avvennero in auto e fu estremamente piacevole
perché pareva di essere insieme con dei comuni cittadini.
In Piazza Lafayette chiesi a Growe di fermarsi vicino ad un
Barbone. Growe ululò appena appena per non suscitare la sensibilità
dell'Ambasciatore, così non riuscì ad impedire che l'autista si
fermasse. Stavolta vennero in cinque e mi preparai più
banconote.
"Signor Ambasciatore." - Dissi. - "Signor Direttore, non è che
avreste qualcosa anche voi per i miei amici? Io ho solo tre pezzi
da..."
L'ambasciatore fece cenno che non aveva un solo dollaro con sè e
allora lo chiesi al suo assistente, il quale tolse dal portafoglio
un biglietto di 5 dollari. Lo presi e lo allungai al più
vicino.
"Tutto bene, amico?" - Chiese il beneficiario vedendo le facce
delle persone in auto con me.
"Tutto OK, Sem. Grazie."
Growe finalmente fece cenno all'autista di premere
sull'acceleratore, mentre il suo Capo stava ancora fingendo di
cercare qualche dollaro in tasca. Nessuno disse niente, a parte i
barboni e, credo, il colon di Growe.
Ci fecero entrare alla Casa Bianca senza controllare le
credenziali.
Percorremmo vari corridoi interrati e delle scale non molto lunghe.
Poi entrammo in un bel salotto con dei quadri di personaggi
presumibilmente famosi e un grande tappeto persiano di colore a
base azzurra e decorazioni floreali senza cornice. Vi restammo una
decina di minuti, poi ci portarono in un altro salotto. Qui ci
fecero accomodare, ci offrirono tè e caffè con dei pasticcini
piccoli piccoli. Ne assaggiai uno e presi un caffè. Così cattivo lo
sapeva fare anche la povera Jill.
Prima entrò un funzionario per informarci che il Presidente avrebbe
concesso di incontrarci.
"Guardi che non l'ho chiesto io." - Dissi, mentre mia moglie mi
stringeva il braccio per impedirmi di dire altre stronzate. Growe
guardò l'Ambasciatore ed entrambi parevano rassegnati. Povera
signora Barbini.
Finalmente ci fecero accomodare nel Salotto dei Trattati dove, dopo
pochi minuti, entrò il Presidente.
Clinton ci venne incontro. Salutò calorosamente prima
l'ambasciatore, poi passò a mia moglie e a me.
Ci strinse la mano e ci fece un sorriso rasserenante. Espresse
alcuni complimenti, che io accettai volentieri. Mi ero preparato
delle battute che però non mi sentii più di pronunciare. Mi
comportai invece come chiunque, schiacciato dall'incredibile
fascino che porta con sè un Presidente degli Stati Uniti.
L'incontro durò solo alcuni minuti, e parlò solo lui. Mi spiace per
i barboni che alloggiano in Piazza Lafayette, davanti alla Casa
Bianca, perché mi ero ripromesso di chiedere l'intervento del
Presidente in loro favore. A pensarci col buonsenso di oggi, forse
fu proprio meglio così. Già Reagan aveva fatto promesse elettorali
sui barboni della città e non le aveva mantenute, come ogni
politico di razza.
Arrivammo alla Malpensa alle 9 di mattina. Appena scesi dalla
scaletta, ci avvicinò una hostess di terra.
"Dottor Barbini?"
"Sono io." - Dissi curioso.
"Prego, vengano con me."
Ci fece strada verso una Panda di servizio dell'aeroporto.
"Le abbiamo riservato il percorso VIP."
"Non ce n'era bisogno." - Dissi, guardando mia moglie, che non
sembrava molto tranquilla.
La hostess non rispose, e in pochi minuti ci portò al passaggio di
frontiera riservato, poco lontano da quello ufficiale. Lasciò
l'auto vicino l'ingresso e ci accompagnò all'interno.
Fummo accolti da un appuntato della guardia di Finanza e da un
carabiniere, entrambi in divisa. L'hostess ci lasciò a loro, i
quali ci chiesero i documenti e ci pregarono di attendere un
minuto.
Mia moglie ne approfittò per mandarmi un massaggio personale.
"Ora che è tutto finito, dovrò farti un discorsetto."
"Su cosa?"
"Non fare il finto tonto. Io ricorderò sempre con riconoscenza Jill
Moore. Ma è bene approfittare proprio di questa situazione per
parlare chiaro sulle tue avventure quando sei in giro per il
mondo..."
Gli agenti interruppero provvidenzialmente il confronto e ci
accompagnarono in un ufficio. Lì c'erano due uomini in
borghese.
"I signori Barbini." - Ci presentò il carabiniere, restituendoci i
documenti; poi se ne andò.
"Dottor Barbini, signora contessa..." - Ci diedero la mano.
"Sono il capitano Cau del SISMI e questo è il tenente Federici del
GICO."
"Sì?"
"Abbiamo arrestato quattro persone di Trento in seguito
all'operazione congiunta tra i servizi italiani e quelli
statunitensi nella quale si è trovato coinvolto."
"Quattro?" - Chiesi con circospezione.
"Sì. Sono Leo Prosser, Romano Tasin, Riccardo Leproni e Angelo
Primon."
Non sapevo cosa dire. Vide la mia perplessità e si affrettò a
precisare le ragioni dell'incontro.
"La sua famiglia è sotto la nostra protezione."
Nell'immaginario collettivo l'idea di essere protetti dai servizi
segreti può sembrare affascinante. Ma dato che in questi casi più
che proteggerti ti tengono sotto controllo, nella realtà il fascino
scompare. Anzi, ti viene spontaneo di toccarti le palle.
Misi la mano in tasca.
Fine
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