Destra Adige: se la vegetazione viene prima della popolazione

Un disegno per Piedicastello: i cinque errori indicati da Italia Nostra Trento

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Il piano per la riorganizzazione urbanistica dell'ex‐Italcementi si annuncia come l'ennesimo errore nella pianificazione della città.
C'è da chiedersi perché l'urbanistica – che pure aspirerebbe a un posto tra le discipline scientifiche – non impari mai dai propri sbagli, condannandosi a ripeterli.
La domanda non è oziosa, considerati gli effetti della cattiva urbanistica sulla vita di noi tutti.
Avete mai sentito un urbanista ammettere, anche di fronte alla più orribile delle periferie moderne: forse dovremmo rivedere le nostre teorie basate, paradossalmente, sul rifiuto della città? Può esistere un'urbanistica anti‐urbana? Purtroppo sì, e il piano dell'ex Italcementi ne dà, ancora una volta, dimostrazione.
 
Il primo errore, tipico dell'anti‐urbanesimo, è il decentramento dei servizi di rango elevato, come un polo fieristico o un centro polifunzionale.
Si ritiene che attività fortemente attrattive vadano collocate ai margini, per non congestionare il centro, ma è un'idea ingenua che produce più effetti negativi di quelli che presume di evitare.
In particolare, mette fuori gioco il trasporto collettivo, impossibilitato a servire efficacemente un ambito periferico. Infatti, il piano per Piedicastello ne ignora l'esistenza.
Prevede, invece, non a caso, un nuovo grande parcheggio.
 
Il secondo errore, ricorrente nella politica, è ignorare la topologia. Qualcuno pensa che l'ex‐Italcementi non sia una zona periferica perché dista 750 metri da piazza Duomo, intesa come l'ombelico della città.
Ma all'Italcementi Trento finisce, perché oltre c'è solo la parete del Bondone: un luogo non può essere contemporaneamente marginale e centrale.
Piedicastello è – e rimarrà sempre – il limite della città, con tutte le conseguenze del caso.
Piazza Duomo, per contro, non è affatto la meta per antonomasia degli utenti della città. Aperitivi a parte.
 
Il terzo errore è ignorare l'orografia, la forma del territorio: un fiume non è una striscia azzurra su una mappa; una parete rocciosa non è un accumulo, sulla carta, di curve di livello.
Nella realtà, l'Adige è un canale tra argini in rilievo: come si può pensare di affiancarci un parco fluviale?
La parete del Bondone è un muro di pietra alto cento metri che già allunga la sua ombra poco dopo mezzogiorno: come si possono costruire abitazioni al suo piede?
Questa è la decisione più incomprensibile, poiché contrasta con il mero buonsenso: destinare alla vegetazione le parti più pregiate del territorio – con la migliore esposizione, le migliori vedute, i migliori rapporti con la città – per confinare invece gli abitanti nell'angolo più recondito e insalubre, dove il sole tramonta a mezzodì.
Privilegiare la vegetazione a scapito della popolazione: non è il mondo alla rovescia?
 
Il quarto errore è continuare a vedere le strade come fonte di disagi anziché come luogo civile per eccellenza; eliminandole o allontanandole invece di riappropriarsene come spazio connettivo, come ambito di relazione.
Non a caso, la parte migliore del piano è quella supportata da via Papiria e via Verruca, tracciate in un'epoca in cui le strade godevano di migliore reputazione.
 
Il quinto errore è disegnare, ancora una volta, la città attorno a qualche specifica funzione, pur sapendo che le funzioni sono quasi sempre provvisorie, mentre la forma urbana è molto spesso definitiva.
Il giorno in cui il polo fieristico sarà dismesso (chi pensa che non possa accadere non conosce la storia universale delle città) che cosa ne faremo di uno scatolone circondato dal nulla?
 
Il piano per l'ex‐Italcementi porta la firma dell'architetto che lo ha disegnato, ma la responsabilità di questi errori, che non mancheranno di produrre i loro effetti, va ricercata in gran parte altrove: attraversa gli amministratori guidati da luoghi comuni e opportunismi; l'urbanistica incapace di emendarsi e riscattarsi, perseverando nei suoi fallimenti; una società in generale diffidente verso le città che abita, ma per le quali non nutre più alcun desiderio.
Disaffezione certamente comprensibile, considerato il lascito deprimente dell'anti‐urbanesimo e dell'anti‐urbanistica.
Tuttavia, poiché delle città non potremo mai fare a meno, sarebbe meglio cominciare a prendersene cura, per esempio imparando come non progettarle.

Italia Nostra, Comitato per Piedicastello.